Gli oneri generali di sistema hanno natura tributaria e non sono soggetti ad IVA?

Commissione Tributaria Provinciale di Varese, sentenza n. 504 del 16 ottobre 2019

La decisione della CTP di Varese n. 504 del 16 ottobre 2019 affronta l’interessante e, al momento, poco esplorato tema della legittimità dell’assoggettamento ad IVA degli oneri generali di sistema, riscossi mediante la bolletta energetica, pronunciandosi sulla prodromica questione relativa alla natura tributaria di detti oneri.

1. – Prima di entrare nel merito della controversia, la CTP affronta due questioni preliminari.

1.1. – La prima questione preliminare concerne la legittimazione attiva del consumatore finale ad esercitare direttamente nei confronti dell’Erario il diritto al rimborso dell’IVA indebitamente pagata e, conseguentemente, ad azionare in giudizio quel medesimo diritto.

La CTP di Varese riconosce innanzitutto il diritto della ricorrente, committente dei servizi di fornitura energetica, di richiedere direttamente all’Erario il rimborso dell’IVA indebitamente corrisposta e, discostandosi apertis verbis dall’orientamento prevalente della Corte di Cassazione (Cass. Civ., SS.UU, 31 maggio 2017, n. 13721), afferma quanto segue:

Vero è che formalmente il soggetto passivo dell’imposta è colui che, esercitando attività di  d.P.R. impresa o di lavoro autonomo, è debitore del tributo (art. 17 d.P.R. 633/72), senonchè va considerato che il contribuente finale al quale viene imputato, attraverso il meccanismo della rivalsa, l’onere dell’imposta, è il consumatore del servizio o del bene ceduto. Pertanto impropriamente il soggetto che esercita il diritto di regresso è considerato soggetto passivo dell’imposta laddove il vero soggetto passivo, ossia chi sopporta effettivamente il tributo, è colui che di seguito chiameremo “consumatore”, mentre – all’opposto – chi esercita la rivalsa si limita a fungere da collettore (i.e. sostituto d’imposta).

Da queste premesse, la CTP fa discendere la conclusione secondo cui

Il consumatore che ha versato l’imposta ha diritto, come contribuente finale, a rivolgersi direttamente a chi, come l’erario, ha incassato il tributo, senza dover transitare attraverso eccentrici meccanismi perversi e defatiganti nei confronti di chi ha esercitato la rivalsa.

La Commissione richiama a suffragio della propria tesi il principio di capacità contributiva (art. 53 Cost.). Secondo la CTP, è il consumatore a manifestare detta capacità (mentre per il soggetto passivo in senso formale l’imposta avrebbe carattere neutrale tramite la rivalsa obbligatoria), con la conseguenza che il consumatore medesimo non può essere privato del diritto a ripetere direttamente nei confronti del fisco l’imposta indebitamente corrisposta. Rinviene inoltre una conferma di questa impostazione in due principi processuali di matrice costituzionale:

1)      il principio dell’esclusività della giurisdizione tributaria in capo alle Commissioni Tributarie, alla luce della quale il soggetto inciso dal tributo (il consumatore finale) non potrebbe giammai rivolgersi al giudice ordinario per sottoporgli questioni squisitamente tributarie, quale è la debenza o meno di una data imposta;

2)      il principio del giusto processo e della sua durata ragionevole, che non sarebbe rispettato se l’ottenimento del rimborso della maggiore IVA versata dovesse articolarsi in due differenti steps, l’uno dinanzi al giudice ordinario (tra consumatore e soggetto passivo) e l’altro dinanzi al giudice tributario (tra soggetto passivo e Erario).

La delicatezza e l’importanza dei temi trattati richiederebbero un’amplissima analisi che, per ragioni di brevità, non può svolgersi in questa sede. Non possiamo tuttavia esimerci da qualche considerazione critica sui punti toccati, forse troppo sommariamente, dai giudici. In particolare, è senz’altro vero che, se esaminata nel suo profilo economico, l’IVA è strutturalmente costruita per incidere sul consumatore finale. Nondimeno, di norma la traslazione dell’imposta in capo al consumatore è puramente economica, con la conseguenza che quest’ultimo non ha alcun rapporto giuridico con l’Erario. Del resto, l’art. 18, comma 2, del d.P.R. n. 633/1972 dispone espressamente che “Per le operazioni per le quali non è prescritta l’emissione della fattura”, e cioè per la maggior parte delle operazioni effettuate nei confronti dei consumatori finali, “il prezzo o il corrispettivo si intende comprensivo dell’imposta”, sicché in tali casi la natura economica (e non giuridica) della rivalsa è certa, in quanto la legge prevede espressamente la ricomprensione dell’imposta nel prezzo.

È forse troppo ardita e, per quanto rivoluzionaria, non particolarmente convincente la pronuncia della CTP di Varese, quando giunge ad affermare che anche i consumatori finali hanno tout court diritto di azionare nei confronti dell’Erario il rimborso dell’IVA pagata in rivalsa; affermazione forse anche ultronea, atteso che dall’intestazione della sentenza parrebbe di capire che il ricorrente non fosse un privato consumatore, ma una società per azioni, in quanto tale verosimilmente titolata a ripetere la maggiore IVA pagata in rivalsa non nella veste di consumatore finale, ma di soggetto passivo. La Corte di Cassazione, in alcune pronunce, (tra cui Cass. Civ., sez. V, sent. n. 24923 del 6 dicembre 2016), ha infatti affermato che:

il cessionario che acquisisce beni nell’esercizio di un’impresa, a differenza del mero consumatore finale, è egli stesso un soggetto attivo nel rapporto Iva; e come tale puo’ chiedere direttamente all’erario il rimborso delle somme indebitamente versate (e ad esso erario pervenute), promuovendo la conseguente controversia tributaria.

1.2. – La seconda questione preliminare affrontata dalla CTP di Varese concerne l’asserita decadenza dal diritto al rimborso per intervenuta decorrenza del termine biennale di cui all’art. 21 del d.lgs. n. 546/1992.

Secondo la CTP, infatti, il diritto al rimborso del credito IVA non sarebbe soggetto a tale termine biennale di decadenza, bensì all’ordinario termine di prescrizione decennale. Cita, a suffragio della propria tesi, l’ord. n. 5024/2015 della Corte di Cassazione, confermata dalla sent. n. 23580/2012 e dall’ord. 24889/2013, la quale ha affermato che

in tema di IVA, cui si intende in questo giudizio dare continuità, “la richiesta di rimborso relativa all’eccedenza d’imposta, risultata alla cessazione dell’attività, essendo regolata dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 30, comma 2, è soggetta al termine di prescrizione ordinario decennale e non a quello biennale di cui al d.lgs. n. 546 del 1992, art. 21 applicabile in via sussidiaria e residuale, in mancanza di disposizione specifiche

Richiamando tale principio di diritto, la CTP di Varese conclude che

non sarebbe ragionevole riservare un trattamento (decadenziale) diverso al contribuente che non disponga del meccanismo di cui all’art. 30, secondo comma, del d.P.R. n. 633/1972 per recuperare l’IVA indebitamente versata.

Ad ulteriore supporto della conclusione raggiunta, la CTP di Varese aggiunge che il termine di cui all’art. 21 cit. sarebbe comunque illegittimo per eccesso di delega, non prevedendo la l. n. 413 del 30 dicembre 1991 alcun principio e criterio direttivo volto a delegare l’introduzione di termini procedimentali di decadenza.

Rinviene una conferma delle proprie conclusioni nella sentenza della Corte di Giustizia del 15 dicembre 2011 resa nel procedimento C-427/10, Banca Antoniana Popolare Veneta SpA, nella quale i giudici di Lussemburgo hanno affermato che le azioni di ripetizione esercitate dal consumatore verso il soggetto passivo e da quest’ultimo verso l’Erario possono sì soggiacere a termini prescrizionali/decadenziali differenti, purché tale diversità non determini l’impossibilità assoluta, per il soggetto passivo del tributo, di ripetere la maggiore imposta versata.

In questo capo di sentenza, la CTP tocca il delicato tema, connesso a quello esaminato supra, della previsione di due diversi termini, l’uno decennale (di prescrizione) che disciplina il credito per rivalsa nel rapporto tra soggetto passivo e sua controparte, l’altro biennale (di decadenza) che disciplina il diritto al rimborso del soggetto passivo nei confronti dell’Erario. Il disallineamento è risolto dalla CTP ricorrendo all’estensione tout court delle norme sulla prescrizione civile al diritto al rimborso del cessionario, pur precedentemente qualificato dalla stessa CTP come diritto “di natura tributaria”. Anche da questa prospettiva, non sembra convincente l’argomentazione della sentenza, che ricerca nella forzata estensione di norme sostanziali (qual è quella sulla prescrizione) una soluzione che, forse, risiede nella ragionevole applicazione di norme processuali, prime fra tutte quelle in materia di litisconsorzio.

Si noti che sul tema è di recente intervenuto il legislatore che, con un chiaro intento semplificatorio, ha introdotto l’art. 30-bis proprio al fine di disciplinare il meccanismo di recupero dell’IVA non dovuta nei casi, per così dire, “patologici” (atteso che i crediti che derivano dal “fisiologico” meccanismo di applicazione dell’imposta sono disciplinati dal precedente art. 30), che tenta di coordinare il rapporto Erario-cedente e cedente-cessionario anche sotto il profilo della decadenza dal diritto al rimborso. Seppur con qualche criticità (v. L. Salvini, L’IVA non dovuta. Restituzione e detrazione, A. Comelli (a cura di), Nuovi profili dell’IVA. Verso una disciplina definitiva. Atti dell’VIII convegno annuale – Parma 12 aprile 2018, Aracne Editrice, 2019), dalla norma si evince lo sforzo del legislatore di colmare proprio il disallineamento evidenziato dal Collegio varesino e dalla sentenza Corte di Giustizia citata dalla CTP.

 

2. – Risolte positivamente le due questioni preliminari, la CTP di Varese entra nel merito delle questioni prospettate e affronta la tematica dell’assoggettamento ad IVA degli oneri generali di sistema.

2.1. – La prima disamina di merito effettuata dalla CTP consiste nell’indagine sulla natura tributaria degli oneri generali di sistema.

In dettaglio, il percorso logico seguito dai Giudici nella sentenza in commento trae origine da un parallelismo della problematica oggetto di analisi con quella – già risolta dalla Corte di Cassazione nella sentenza 2 marzo 2015, n. 41 – riguardante l’assoggettamento ad IVA della Tariffa di Igiene Ambientale (TIA). In proposito, la CTP di Varese evidenzia che, in quell’occasione, la Suprema Corte aveva escluso la possibilità di assoggettare ad IVA la TIA, in virtù della sua natura tributaria emergente da: i) l’assenza di volontarietà del rapporto, ii) la predeterminazione dei costi da parte del soggetto pubblico, nonché iii) l’assenza di un rapporto sinallagmatico sottostante.

Secondo il Collegio varesino, tali elementi sussisterebbero anche in relazione agli oneri generali di sistema, per i quali pure non è ravvisabile un rapporto sinallagmatico tra fornitore e consumatore del servizio energetico, rispondendo essi a fini di finanziamento di obiettivi di interesse generale di vario genere.

Spiace notare che la CTP non si sofferma in dettaglio sulla struttura, funzione e logica degli oneri generali di sistema, limitandosi ad asserire che essi sono simili alla TIA e dilungandosi nella descrizione (solo) di quest’ultima imposta, citando i passaggi della pronuncia della Corte di Cassazione. Perde così l’occasione di esaminare analiticamente un istituto inesplorato in giurisprudenza, ma di assoluto interesse teorico e pratico (per una ricostruzione della struttura e del funzionamento degli oneri generali di sistema, si rinvia a S. Supino, Gli oneri generali di sistema. In particolare, il caso dei consumi elettrici, in S. Supino-B. Voltaggio, La povertà energetica, Strumenti per affrontare un problema sociale, Ed. Il Mulino, 2019, p. 204 ss.).

Su tali basi, la CTP di Varese conclude che

avendo natura di imposta, tributo, o contributo che dir si voglia, non possono costituire base imponibile di un altro tributo come l’imposta sul valore aggiunto, non essendovi prova di alcun valore aggiunto al servizio specifico reso a quel determinato contribuente-utente.

Giova segnalare che, prima della sentenza in commento, già la Corte di Giustizia aveva espressamente qualificato gli oneri di sistema come “tributi”, evidenziandone i) la natura coattiva, ii) la destinazione al riparto degli oneri economici pubblici per finalità di interesse generale (talora anche avulse dal mercato elettrico) e iii) la tendenza a gravare sul consumatore del bene o del servizio (cfr. C.d.G., causa C-189/15 del 18 gennaio 2017).

Anche l’ARERA ha preso posizione sul tema (nota in merito alla  deliberazione 50/2018/R/eel e al documento per la consultazione 52/2018/R/eel – Tema riscossione e versamento oneri generali di sistema), qualificando gli oneri di sistema come “imposte indirette”, in quanto essi

sono previsti dal legislatore al fine di finanziare specifici obiettivi di interesse generale a vario titolo afferenti al sistema elettrico, quali ad esempio il sostegno allo sviluppo delle fonti di rinnovabili, bonus sociale, ecc.; essi hanno natura di imposte indirette, che la legge (d.lgs. 79/99, decreto Bersani) ha costruito come “maggiorazioni” dei corrispettivi del servizio di trasporto di energia elettrica.

In tale contesto, si segnala una diversa impostazione proposta dalla dottrina (L. Salvini, Oneri di sistema e tutela del consumatore, in Rivista Energia, 2018, p. 64), che dubita della natura tributaria degli oneri generali di sistema, ma li riconduce comunque al più generale ambito delle “prestazioni patrimoniali imposte”; ciò in quanto gli oneri, pur in presenza di una partecipazione negoziale dell’obbligato (che stipula il contratto con il fornitore elettrico), trovano la propria causa giuridica nella legge (e non nel contratto) e rispecchiano quindi quello stato di “sostanziale coazione” tale per cui il privato è “obbligato ad obbligarsi”.

Ad ogni buon conto, quale che sia l’impostazione a cui si voglia aderire, accettare che gli oneri di sistema non sono corrispettivi di pubblico servizio, in quanto non aderenti ai costi o corrispondenti ad una specifica prestazione, comporta molteplici riflessioni di carattere sistematico sotto il profilo giuridico-tributario, tra cui (anche) quello affrontato dalla CTP di Varese relativo al loro assoggettamento ad IVA (per una ricostruzione delle due tesi, sia consentito rinviare a S. Supino, B. Voltaggio, Le misure di contrasto alla povertà energetica: lineamenti e criticità, in Energia 3/2019, pp. 22-33). Sorgono non pochi interrogativi in merito alla rispondenza dei medesimi, come attualmente disciplinati, ai parametri costituzionali e, in particolare:

– all’art. 53, comma 1, in virtù del quale i tributi dovrebbero rispondere non già a logiche di mercato, ma di capacità contributiva;

– all’art. 23 e alla riserva di legge ivi prevista, applicabile sia ai tributi sia, più in generale, alle prestazioni patrimoniali imposte, rispetto alla quale sorgono non pochi dubbi sull’ampiezza dei poteri riservati ad ARERA rispetto alla determinazione del quantum dovuto e alla disciplina della loro riscossione.

2.2. – Dalla prima conclusione (gli oneri generali sono tributi) la CTP fa discendere automaticamente la seconda conclusione: gli oneri generali di sistema, in quanto tributi, non sono gravati da IVA. Afferma infatti la Commissione che

L’individuazione della natura non sinallagmatica ma tributaria dei c.d. oneri generali di sistema addebitai nelle fatture delle imprese distributrici di energia elettrica consente di affermare che su di essi non può essere applicata l’imposta sul valore aggiunto, valore che non è tale.

Tale conclusione è tuttavia fin troppo semplicistica.

La circostanza che un esborso sia riconducibile a un onere tributario non è di per sé sufficiente per concludere che detto onere non concorre alla base imponibile IVA. Del resto, l’art. 78, comma 1, lett. a), della Direttiva del 28 dicembre 2006, n. 112, dispone espressamente che

nella base imponibile devono essere compresi gli elementi seguenti: a) le imposte, i dazi, le tasse e i prelievi, ad eccezione della stessa IVA.

In forza di tale disposizione le imposte, pur essendo ontologicamente prive di sinallagmaticità, possono senz’altro ricadere nella base imponibile IVA (e, quindi, restare assoggettate a tributo) pur non rappresentando un valore aggiunto del bene o servizio scambiato. Sul punto, la Corte di Giustizia ha affermato che:

– affinché un tributo possa rientrare nella base imponibile dell’IVA, pur non rappresentando un valore aggiunto e non costituendo il corrispettivo economico della cessione di beni o della prestazione di servizi, esso deve presentare un legame diretto con tale cessione o prestazione (CdG, sentenza 11 giugno 2015, causa C-256/14);

– un elemento determinante per accertare l’esistenza di un siffatto collegamento risiede nella coincidenza tra il fatto generatore di detto tributo e quello dell’IVA (ibidem);

– nella base imponibile IVA, rientrano quei tributi che gravano sul fornitore dell’operazione soggetta ad IVA, il quale agisce in qualità di “sostituto d’imposta” (CdG, sentenza 5 dicembre 2013, cause riunite C-618/11, C-637/11 E C-659/11, TVI).

Viceversa, la medesima Corte ha escluso da IVA le imposte pagate dal prestatore per conto del committente, in quanto, se esposte in fattura, sono oggetto di mero riaddebito.

Per fare solo il più noto esempio, le accise, della cui natura tributaria – e non sinallagmatica – nessuno dubita, sono pacificamente incluse nella base imponibile IVA in quanto presentano tutte le caratteristiche individuate dalla menzionata giurisprudenza comunitaria e sono oggetto di rivalsa meramente economica (e facoltativa) (sul punto Corte di Cassazione, sentenza 3 ottobre 2018 n. 24015).

Il tema è complesso ed avrebbe forse meritato un maggiore approfondimento da parte della CTP, che avrebbe dovuto soffermarsi più ampiamente sulla struttura e sul funzionamento degli oneri generali di sistema, sull’individuazione del loro “fatto generatore” (il consumo energetico?), dei soggetti passivi di tali “tributi” (probabilmente, i “clienti finali”, come previsto dall’art. 3 del d.lgs. n. 79/1999 e dall’art. 39, comma 3, del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83) e, conseguentemente, sulla natura della rivalsa operata in fattura per l’addebito dei medesimi.

Certamente, va riconosciuto alla Commissione il merito di aver dedicato ampia motivazione ad un tema di assoluto interesse che, a quanto ci consta, era finora inesplorato in giurisprudenza.

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