Il rappresentante indiretto è responsabile per i maggiori dazi rimasti inevasi a causa dell’erroneità dei dati indicati nella dichiarazione doganale

In caso di regolare introduzione della merce sul territorio comunitario, il vincolo paritetico di responsabilità solidale deriva dall’applicazione dell’art. 201 del Regolamento CE n. 2913/1992 e del correlato onere di verifica sostanziale delle informazioni trasmesse dall’importatore
27/04/2020

Il rappresentante indiretto risponde in solido con l’importatore per i dazi evasi a seguito della presentazione in dogana di una dichiarazione affetta da errori materiali che hanno impedito il regolare assolvimento dell’obbligazione d’imposta: questo il principio ribadito dalla Suprema Corte attraverso la recente ordinanza n. 34644 del 30 dicembre 2019.

Di agevole lettura i fatti di causa.

La vicenda sub judice originava dall’impugnazione – da parte di uno spedizioniere doganale, operante quale rappresentante indiretto in dogana per conto di una società importatrice – di alcuni atti di contestazione emessi dall’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli a seguito della rettifica dei valori di transazione ab initio dichiarati con riferimento a taluna merce oggetto di importazione. Nello specifico, l’ente accertatore imputava al rappresentante indiretto la mancata effettuazione dei doverosi controlli in ordine alla correttezza dei dati indicati nell’ambito della dichiarazione doganale, rivelatisi – nel caso in esame – inferiori all’effettivo corrispettivo fatturato dall’importatore all’atto della cessione di tale merce.

Lo spedizioniere, pro domo sua, riteneva – in quanto mero rappresentante indiretto dell’importatore – di essere esonerato dall’obbligo di verificare la congruità delle informazioni fornitegli da quest’ultimo, ex se fatte oggetto di dichiarazione all’atto dell’espletamento delle formalità doganali.

L’adito giudice di prime cure accoglieva le doglianze dello spedizioniere, circoscrivendo la portata della responsabilità gravante sul medesimo ad un controllo puramente formale della documentazione afferente i beni importati, escludendo – di contro – la sussistenza di un ulteriore dovere di verifica sostanziale. Dello stesso avviso risultava essere il giudice dell’appello.

L’ADM presentava pertanto ricorso innanzi la Suprema Corte di Cassazione, ribadendo la responsabilità del rappresentante indiretto per le violazioni – commesse in sede dichiarativa – idonee a compromettere l’esatta determinazione dei dazi doganali. Il giudice di legittimità accoglieva la censura dell’ADM, confermando la responsabilità solidale del rappresentante indiretto per i dazi – e le connesse sanzioni amministrative – evasi mediante indicazione, nell’ambito della dichiarazione doganale, di un valore delle merci importate inferiore a quello oggetto di fatturazione.

Di seguito il ragionamento della Corte.

Ad avviso degli ermellini, tale forma di responsabilità trova il proprio fondamento nell’art. 201 del Regolamento CE n. 2913/1992 (i.e., il cd. Codice Doganale dell’Unione Europea; oggi art. 77 del Regolamento UE n. 952/2013), il quale – come è noto – riconduce il momento genetico dell’obbligazione doganale alla presentazione della dichiarazione afferente le merci importate. Da qui la «centralità della figura del dichiarante», responsabile per il corretto adempimento dell’obbligazione tributaria riguardante i dazi doganali.

Il rappresentante indiretto, in quanto tenuto ad assolvere agli obblighi dichiarativi, risponde quindi in prima persona degli eventuali dazi doganali rimasti inevasi, anche qualora la relativa violazione derivi da un’inesattezza delle informazioni trasmessegli dal soggetto importatore: secondo un consolidato orientamento di legittimità – puntualmente evocato dalla Corte nel precedente in commento – il rappresentante indiretto, in ragione delle proprie specifiche competenze professionali, risulta difatti perfettamente in grado di valutare la veridicità dei documenti forniti dall’importatore (cfr. Cass. nn. 15207 del 2019 e n. 9973 del 2010). Ne deriva pertanto l’instaurazione di una responsabilità solidale fra il titolare delle merci e il suo rappresentante indiretto in dogana, entrambi tenuti a rispondere per i dazi inevasi in misura paritetica, senza alcun beneficio di preventiva escussione.

A diverse conclusioni si sarebbe pervenuti nell’ipotesi – tuttavia ben differente da quella esaminata dalla Corte – di introduzione irregolare di beni sul territorio comunitario. In tale caso – disciplinato dal successivo art. 202 del Regolamento CE n. 2913/1992 (oggi art. 79 del Regolamento UE n. 952/2013) – il momento genetico dell’obbligazione tributaria prescinde, per definizione, dalla presentazione di una dichiarazione doganale: lo stesso, difatti, nasce con l’introduzione – irregolare, per l’appunto – della merce. Da ciò, pertanto, ne consegue l’esonero da responsabilità del rappresentante indiretto che – rimasto all’oscuro della violazione realizzata dall’importatore – abbia agito nel rispetto del canone di diligenza di cui all’art. 1176 cod. civ.

In conclusione, la Suprema Corte – rilevando come, nella specie, i presunti maggiori dazi fossero riconducibili proprio ai beni riportati nella dichiarazione doganale regolarmente presentata dallo spedizioniere – statuiva quindi il seguente principio di diritto:

«in presenza di sottofatturazione, conseguente alla introduzione di merci con dichiarazione doganale redatta su dati rivelatisi falsi la quale, per effetto di indicazione di falsi quantitativi e falsi valori di transazione, abbia comportato la mancata riscossione anche solo parziale dei dati dovuti per legge, resta ferma la responsabilità del dichiarante a termini dell’art. 201 CDC, commi 2 e 3, essendo il fatto generatore dell’obbligazione doganale costituito dalla dichiarazione doganale accettata, laddove si rende applicabile l’art. 202 CDC nel solo caso in cui la merce importata non abbia alcuna relazione con quella oggetto della dichiarazione».

Questo l’insegnamento della Suprema Corte in materia di dazi doganali.

Piace a chi scrive, di contro, rilevare come l’orientamento consolidato del giudice di legittimità sia invece giunto a differenti conclusioni – in ordine alla responsabilità del rappresentante indiretto – in ambito IVA. Secondo quanto già riportato dalla parte scrivente in occasione di un precedente intervento (si veda altro contributo su questo sito), la Suprema Corte – attraverso la parimenti recente ordinanza ordinanza n. 29195 del 12 novembre 2019 –  ha difatti escluso la responsabilità del rappresentante indiretto per il mancato versamento della maggiore IVA che si sarebbe resa dovuta in dogana qualora fosse stata applicata la corretta (e più elevata) aliquota d’imposta: una tale conclusione, con la conseguente configurabilità della correlativa responsabilità in capo al solo importatore, è stata tuttavia pur sempre subordinata al mancato coinvolgimento del rappresentante nella condotta – imputabile esclusivamente all’importatore stesso – da cui è derivato l’inesatto adempimento dell’obbligazione IVA[1].

Ciò posto, ecco che la responsabilità del rappresentante indiretto per le violazioni tributarie commesse in sede di importazione si declina quindi diversamente a seconda dell’imposta evasa: la piena assimilabilità fra IVA all’importazione – da un lato – e IVA domestica, dall’altro, comporta difatti l’irriducibilità della prima entro il perimetro dell’obbligazione doganale all’importazione, nonostante l’identità del relativo presupposto impositivo. Da qui, pertanto, la necessità di circoscrivere la più rigorosa disciplina di cui al citato art. 201 del Regolamento CE n. 2913/1992 al solo ambito dei dazi doganali.

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[1] Si rileva peraltro come, sempre nell’ambito di detta pronuncia, la Suprema Corte abbia avuto modo di pronunciarsi – seppur incidenter tantum – anche sulla portata della responsabilità del rappresentante indiretto per i dazi doganali rimasti inevasi. Ebbene, le conclusioni a cui è ivi giunto il giudice di legittimità appaiono pienamente conformi a quanto statuito nell’ordinanza n. 34644/2019 qui in commento: secondo la Corte, difatti, la possibilità di procedere nei confronti del rappresentante indiretto per il recupero dei dazi oggetto di evasione in dogana deve essere comunque esclusa laddove la stessa evasione sia dipesa da fatti – venuti a maturazione solamente in un momento successivo all’introduzione del bene importato sul territorio della Comunità – ascrivibili unicamente alla condotta del soggetto importatore. In queste ipotesi, ad avviso degli ermellini, non sarebbe del resto legittimo imputare al rappresentante indiretto alcuna violazione del proprio obbligo di vigilare – con la diligenza qualificata di cui all’art. 1176 cod. civ. – sull’esattezza delle informazioni contenute nella dichiarazione doganale, trattandosi per l’appunto di errore materiale non conoscibile al momento della presentazione della dichiarazione stessa. Responsabilità del rappresentante che, evidentemente, può invece ben dirsi sussistente nelle ipotesi di erroneità dichiarativa sussistente ab origine, come nel caso esaminato nell’ambito dell’ordinanza n. 34644/2019.

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