27/04/2020

Attraverso la sentenza n. 125/23/20 del 16 gennaio 2020, la Commissione Tributaria Provinciale di Milano ha sancito la rilevanza ai fini IMU degli impianti fotovoltaici presenti sui tetti dei fabbricati, anche in assenza della loro iscrizione in catasto nell’anno in cui viene contestato l’omesso pagamento dell’imposta da parte dell’Ente impositore.

La pronuncia muove le premesse dall’attribuzione a tali manufatti di una natura immobiliare, nonostante essi risultino stabilmente infissi nel suolo esclusivamente attraverso e mediante il loro collegamento con l’edificio su cui insistono.

Sicuramente la CTP di Milano offre lo spunto per una panoramica completa sulla normativa in essere in tema di tassazione ai fini IMU degli impianti fotovoltaici, dal momento che in essa è possibile individuare con particolare sistematicità le argomentazioni sia lato contribuente – titolare del bene accertato – sia lato Comune – in qualità di Ente accertatore – a sostegno delle rispettive tesi.

La fattispecie controversa trae origine dall’impugnazione di un avviso di accertamento per IMU 2012, attraverso il quale il Comune contestava la mancata denuncia – e il conseguente mancato pagamento dell’imposta – da parte del proprietario in relazione a due impianti fotovoltaici insistenti sui tetti dei propri fabbricati, i quali venivano accatastati soltanto successivamente nel corso del 2018 e del 2019, anni in cui attraverso la procedure DOCFA erano dichiarate le rendite catastali attribuibili ai manufatti accertati in una misura inferiore rispetto all’importo individuato dall’atto impositivo.

In  sede di ricorso introduttivo, la ricorrente deduceva a favore della non autonoma assoggettabilità all’imposta dei manufatti in questione una pluralità di considerazioni, le quali possono essere sinteticamente enucleate nel modo che segue:

  • innanzitutto, gli impianti fotovoltaici installati sul tetto dell’edificio non risulterebbero assimilabili ai beni immobili e ciò per l’assenza nel caso di specie di quelle caratteristiche tipiche che generalmente connotano tali beni, come, ad esempio, l’incorporazione naturale od artificiale al suolo;
  • in ogni caso, le centrali fotovoltaiche in questione, nell’anno d’imposta oggetto di accertamento (2012), non risultavano iscritte in catasto: esse, infatti, come sopra anticipato, venivano accatastate soltanto nel 2018 e nel 2019 attraverso la presentazione di appositi DOCFA, con i quali ne veniva dichiarata la relativa rendita – più bassa di quella determinata dal Comune, sulla cui base era liquidata la maggiore IMU 2012 – su iniziativa spontanea della proprietaria;
  • infine, deporrebbe a favore del mancato autonomo accatastamento di tali impianti anche la circostanza secondo cui essi non inciderebbero in misura rilevante sul valore dell’immobile cui appartengono. Più in particolare, il loro obbligo di accatastamento sarebbe escluso in quanto essi non determinerebbero  un incremento di almeno il 15% del valore dell’edificio al quale accedono, così come chiarito più volte dalla prassi attraverso la circolare n. 36/E del 19 dicembre 2013 della Agenzia delle Entrate e, ancora prima, con la circolare dell’Agenzia del Territorio n. 10 del 4 agosto 2005 e con la nota Agenzia del Territorio n. 31892 del 22 giugno 2012. A tal proposito, giova ricordare come i richiamati documenti abbiano ribadito – seppur in relazione a fattispecie diverse – che, con riferimento alle installazioni fotovoltaiche poste su edifici ed a quelle realizzate su aree di pertinenza, comuni o esclusive, di fabbricati o unità immobiliari censiti al catasto edilizio urbano non sussiste l’obbligo di accatastamento come unità immobiliari autonome, in quanto possono assimilarsi agli impianti di pertinenza degli immobili, e che, piuttosto, si rende necessario procedere, con dichiarazione di variazione da parte del soggetto interessato, alla rideterminazione della rendita dell’unità immobiliare a cui risulta integrato solo

    allorquando l’impianto fotovoltaico ne incrementa il valore capitale (o la relativa redditività ordinaria) di una percentuale pari al 15% o superiore, in accordo alla prassi estimativa adottata dall’amministrazione catastale. In tal senso, erano state fornite istruzioni con circolare n. 10/T del 4 agosto 2005, nell’ambito dell’applicazione dell’art. 1, comma 336, della legge 30 dicembre 2004, n. 311” (così, in particolare, la circolare n. 36/E del 19 dicembre 2013 della Agenzia delle Entrate, che recepisce e sintetizza i contenuti dei precedenti interventi sul punto).

Diametralmente opposta la posizione del Comune.

A sostegno dell’autonomo assoggettamento ad IMU delle centrali fotovoltaiche accertate venivano dedotte le seguenti argomentazioni:

a) innanzitutto, dall’accertamento condotto sarebbe emersa l’esistenza dei presupposti impositivi espressamente individuati dall’art. 5, comma 3 del D.lgs. n. 504/92, in quanto compiutamente verificate nel caso di specie:

  • la mancata iscrizione in catasto dei beni accertati; – la loto classificabilità in categoria catastale D (trattandosi di unità assimilabili ad opifici);
  • il loro possesso da parte di imprese (risultando gli impianti in esercizio nel 2012);
  • la loro distinta contabilizzazione;

b) la tassabilità degli impianti prescinderebbe dall’obbligatorietà dell’iscrizione degli stessi al catasto e confermerebbe tale impostazione la sussistenza della norma sopra citata, applicabile proprio nei casi di mancato accatastamento del bene;

c) la loro incidenza sul valore dell’immobile sarebbe un dato del tutto irrilevante, in quanto non esiste alcuna norma specifica nel sistema IMU che impone la rideterminazione della rendita dell’unità immobiliare a cui l’impianto fotovoltaico è integrato solamente quando esso ne incrementi il valore del 15%: tale previsione risulterebbe una mera indicazione fornita dalla prassi, ma non imposta dall’ordinamento;

d) infine, veniva contestata la possibilità di determinare l’imposta sulla base della rendita dichiarata dalla parte nella denuncia spontaneamente presentata con i DOCFA del 2018 e del 2019 e ciò in virtù del principio che limita l’eventuale retroattività dell’iscrizione al catasto di una nuova unità alla data della domanda e non oltre.

Alla luce del quadro di partenza qui sinteticamente descritto, l’adita CTP di Milano emetteva il proprio verdetto, attraverso il quale rigettava integralmente il ricorso e le ragioni di diritto con esso fatte valere dalla ricorrente proprietaria degli impianti fotovoltaici accertati.

Innanzitutto, la Commissione fondava il proprio convincimento in ordine alla autonoma tassabilità a fini IMU degli impianti in questione sulla natura agli stessi ascrivibile, che, secondo la definizione di cui all’art. 812, comma 1, del codice civile − ai sensi del quale sono beni immobili tutti i manufatti incorporati al suolo – sarebbe senza dubbio di tipo immobiliare.

In particolare, secondo la CTP le centrali elettriche fotovoltaiche presenti sui tetti dei fabbricati di proprietà della ricorrente costituirebbero manufatti stabilmente infissi nel suolo seppur in modo mediato e attraverso l’irreversibile collegamento con l’edificio su cui insistono, “dovendosi radicalmente escludere” in tale ottica, “che possano considerarsi come bene mobile”.

In secondo luogo – dimostrando, così, di condividere le argomentazioni sul punto dedotte dall’Ente impositore − la mancata iscrizione al catasto dei manufatti questione non viene ritenuta ostativa alla loro rilevanza ai fini della tassazione così come attestato dal tenore della sopra richiamata disciplina di cui all’art. 5, comma 3, del D.lgs. n. 504/92, che sarebbe destinata a dettare i criteri di valutazione proprio degli immobili classificabili nel gruppo catastale D non ancora accatastati.

Veniva, altresì condivisa l’impostazione adottata dal Comune riguardo l’irrilevanza del fatto che gli impianti fotovoltaici in questione non concorressero ad aumentare almeno del 15% il valore dell’intero edificio su cui sono collocati: siffatta circostanza, infatti, non rappresenterebbe un limite alla loro autonoma accatastabilità, in quanto tale requisito non è imposto da alcuna specifica disposizione di legge, ma risulta, come si è detto sopra, semplicemente individuato dalla sola prassi intervenuta sulla materia.

Infine veniva esclusa l’applicabilità in via retroattiva  per i precedenti anni di imposta (tra cui, quindi, anche il 2012 oggetto di contestazione)
della rendita catastale dichiarata dalla parte con le procedure DOCFA, ritenute inidonee a retroagire ad epoca anteriore alla data di presentazione delle rispettive denunce di variazione.

Ad avviso di chi scrive, i contenuti della sentenza esaminata non appaiono condivisibili, ma, piuttosto, censurabili sotto diversi profili.

Innanzitutto, la pronuncia non risulta conforme con il dettato normativo del D.lgs. n. 504/1992 – valevole anche ai fini IMU − e, in particolare, con i relativi articoli 1 e 2 dello stesso decreto, i quali individuano, rispettivamente, il presupposto dell’imposta e la definizione di fabbricati ed aree ad essa soggetti.

Il citato articolo 1, al comma 2 – così come richiamato dall’art. 8 del D.lgs. n. 23/2011 istitutivo dell’IMU e dell’art. 13 del D.L. n. 201/2011 che ha anticipato tale imposta in via sperimentale − prevede che il presupposto dell’imposta sia il possesso di fabbricati, aree edificabili e terreni agricoli, mentre il seguente art. 2 specifica che per fabbricato debba intendersi l’unità immobiliare iscritta o che deve essere iscritta nel catasto edilizio urbano, dovendosi considerare “parte integrante del fabbricato l’area occupata dalla  costruzione  e quella  che  ne  costituisce  pertinenza”, definizione, quest’ultima, riproposta dal comma 741 dell’art. 1 della L. n. 160/2019 senza variazioni per la “nuova” IMU in vigore dal 2020.
Le richiamate norme inducono a svolgere le seguenti considerazioni.In primis, stando alle suddette disposizioni, contrariamente a quanto affermato dalla CTP di Milano, laddove non ricorrano i presupposti per l’iscrizione in catasto di un determinato cespite non si realizza nemmeno il presupposto impositivo per il pagamento dell’IMU. Dal richiamato impianto normativo, si evince, infatti, in via immediata che la legittima assoggettabilità ad IMU di un determinato manufatto è condizionata alla sua ricomprensibilità nella nozione di unità immobiliare iscritta o quantomeno iscrivibile in catasto.Ex multis, si legge in Cass. 23 giugno 2006, n. 14673:

in tema d’imposta comunale sugli immobili, gli art. 1, 2° comma, e 2, 1° comma, lett. a), d. lgs. 30 dicembre 1992 n. 504, individuando quale presupposto dell’imposta il possesso di fabbricati a qualsiasi uso destinati, ivi compresi quelli strumentali, e definendo il fabbricato come unità immobiliare iscritta o che deve essere iscritta nel catasto edilizio urbano, dettano una nozione di immobile urbano assoggettato ad imposta che coincide sostanzialmente con quella di immobile suscettibile di accatastamento, ai sensi degli art. 1, 4, 5 e 10 r.d.l. 13 aprile 1939 n. 652.

In tale prospettiva, argomento insuperabile ai fini di legittimare la tassazione dei manufatti in analisi doveva essere individuato nel fatto che le più sopra richiamate norme catastali e la correlativa prassi applicativa della stessa Agenzia delle Entrate escludono l’obbligo di accatastamento degli impianti fotovoltaici quando gli stessi non determinano un incremento di almeno il 15% del valore dell’edificio al quale accedono (così nelle richiamate circolare n. 36/E del 19 dicembre 2013 della Agenzia delle Entrate e, ancora prima, circolare dell’Agenzia del Territorio n. 10 del 4 agosto 2005 e con la nota Agenzia del Territorio n. 31892 del 22 giugno 2012). Consequenzialmente non poteva legittimamente essere considerata realizzata la nozione di fabbricato assoggettabile ad IMU.

Sotto un distinto, concorrente profilo la non assoggettabilità ad IMU dei manufatti de quibus discende anche dalla carenza di una autonomia funzionale e reddituale dei richiamati impianti.

Come è ben noto, dispone espressamente l’art. 5 del r.d.l. n. 652/1939 che

“Si considera unità immobiliare urbana ogni parte di immobile che, nello stato in cui si trova, è di per sé stessa utile ed atta a produrre un reddito proprio”.

E’ stato ulteriormente riconosciuto nella circolare dell’Agenzia del Territorio 4/T del 2006 che

“l’espressione ” atta a produrre un reddito proprio ” è stata ulteriormente affinata, in sede regolamentare, con la locuzione ” che rappresenta, secondo l’uso locale, un cespite indipendente “, la quale non solo chiarisce che l’unità deve essere idonea a produrre un reddito indipendente, e quindi avere autonomia funzionale e reddituale, ma collega le modalità di individuazione dell’unità immobiliare agli usi locali, come già era stato anticipato dall’Istruzione II per l’accertamento ed il classamento del 24 maggio 1942”.

Calando tali principi nel caso di specie, nessun reddito indipendente nello stato in cui si trovano, secondo l’uso locale, può essere ascritto agli impianti fotovoltaici isolatamente considerati dai fabbricati ai quali accedono. La loro redditualità si esaurisce, infatti, nella loro funzione servente il fabbricato al quale accedono. Anche sotto tale concorrente profilo, il decisum della Commissione Tributaria Provinciale appare particolarmente criticabile.

In un’altra prospettiva, la sentenza è sbagliata anche nella parte in cui utilizza la regola di determinazione della base imponibile per gli immobili non accatastati e posseduti da imprese (art. 5, comma 3 del d.lgs. n. 504/1992) per legittimare la ricorrenza del presupposto impositivo, che invece, come si è visto, risulta fondata su requisiti totalmente differenti.

Da ultimo, la pronuncia in esame costituisce lo spunto per ripercorrere le sopravvenute disposizioni introdotte dall’art. 1, comma 21, della L. n. 208/2015, norma sui c.d. “imbullonati” che dalla stima catastale degli immobili a destinazione speciale ha escluso – indipendentemente dalla loro rilevanza dimensionale − le componenti di natura essenzialmente impiantistica che assolvono a specifiche funzioni nell’ambito di un determinato processo produttivo e che non conferiscono all’immobile una utilità comunque apprezzabile anche in caso di modifica del ciclo produttivo svolto al suo interno, nonché con l’interpretazione che di tale disposizione ha fornito la prassi dell’Amministrazione finanziaria intervenuta sul punto, i cui contenuti sono stati già oggetto di commento su questo sito.

Sul punto, la circolare n. 2 dell’Agenzia Entrate del 1° febbraio 2016 ha espressamente chiarito che

“non sono più oggetto di stima le caldaie, le camere di combustione, le turbine, le pompe, i generatori di vapore a recupero, gli alternatori, i condensatori, i compressori, le valvole, i silenziatori e i sistemi di regolazione dei fluidi in genere, i trasformatori e gli impianti di sezionamento, i catalizzatori e i captatori di polveri, gli aerogeneratori (rotori e navicelle), gli inverter e i pannelli fotovoltaici, ad eccezione, come detto, di quelli integrati nella struttura e costituenti copertura o pareti di costruzioni”, mentre restano inclusi nella stima catastale “i pannelli fotovoltaici che costituiscono struttura di copertura o di chiusura verticale delle costruzioni, come quelli integrati architettonicamente ai sensi dell’articolo 2, comma, 1 lettera b3) del decreto del Ministero dello Sviluppo Economico 19 febbraio 2007 e riconducibili alle Tipologie specifiche 2, 3 e 8 di cui all’Allegato 3 allo stesso decreto”.

Si tratta nello specifico delle pensiline, delle pergole e tettoie in cui la struttura di copertura è costituita dai moduli fotovoltaici e dai relativi sistemi di supporto, delle porzioni della copertura di edifici in cui i moduli fotovoltaici sostituiscono il materiale trasparente o semitrasparente atto a permettere l’illuminamento naturale di uno o più vani interni nonché delle finestre in cui i moduli fotovoltaici sostituiscono o integrano le superfici vetrate delle finestre stesse.

Alla luce di tali chiarimenti, con la successiva circolare n. 27 del 13 giugno 2016 l’Agenzia delle Entrate ha, poi, previsto la possibilità di rideterminare la rendita catastale degli impianti fotovoltaici già autonomamente dichiarati in catasto prendendo a riferimento per gli impianti a terra i soli locali tecnici che ospitano i sistemi di controllo e trasformazione e le sistemazioni varie, quali eventuali recinzioni, platee di fondazione, viabilità, ecc., posti all’interno del perimetro dell’unità immobiliare.
Invece, per gli impianti fotovoltaici realizzati su edifici e su aree di pertinenza, comuni o esclusive, di fabbricati o unità immobiliari censite nei gruppi D e E non sussiste più l’obbligo di accatastamento come unità immobiliari autonome, in quanto possono assimilarsi agli impianti di pertinenza degli immobili.

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