In materia di accise, la Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 5165 del 2025, ha affermato che l’esenzione prevista per l’energia elettrica impiegata nella produzione di elettricità, nonché per il mantenimento della capacità produttiva, non può essere negata per la sola omissione della richiesta formale presso l’Ufficio doganale. Il beneficio, infatti, risulta applicabile laddove, in concreto, l’energia sia stata effettivamente destinata agli scopi agevolati. Il principio affermato si fonda sulla prevalenza della sostanza sulla forma, che trova piena applicazione nel contesto delle imposte indirette armonizzate.
La fattispecie sub judice trae origine da un contenzioso insorto a seguito dell’emissione di un avviso di pagamento da parte dell’Amministrazione finanziaria, con cui veniva contestato l’omesso versamento dell’accisa sull’energia elettrica fornita, nel triennio 2017-2019, ad un soggetto titolare di licenza per la gestione di una centrale elettrica, con contestuale irrogazione di sanzioni. Il contribuente aveva eccepito la spettanza dell’esenzione ai sensi dell’art. 52, comma 3, lett. a) del Testo Unico delle Accise (TUA), trattandosi di energia destinata ai consumi ausiliari della centrale, vale a dire al mantenimento della capacità produttiva dell’impianto stesso.
In primo grado, la Commissione Tributaria Provinciale rigettava il ricorso, ritenendo che la fruizione dell’esenzione non potesse considerarsi automatica, in assenza di adempimenti dichiarativi e formali da parte del fornitore, sul quale incombeva l’obbligo di comunicare all’Amministrazione gli elementi necessari per la verifica del corretto trattamento fiscale dell’operazione. La decisione veniva tuttavia riformata in appello dalla Commissione Tributaria Regionale (la “CTR”), la quale riconosceva la legittimità della condotta del contribuente, valorizzando l’effettiva destinazione dell’energia a scopi produttivi e l’assenza, nel dettato normativo, di una subordinazione dell’esenzione ad autorizzazioni espresse o alla preventiva installazione di apparati di controllo. La CTR osservava, infatti, che l’agevolazione trova fondamento nel dato sostanziale, confermato nel caso di specie dalla documentazione prodotta – tra cui la licenza per la produzione di energia elettrica e il verbale di collaudo e avviamento dell’impianto – e che le omissioni formali non potevano incidere sull’an del diritto all’esenzione.
Avverso tale pronuncia, l’Agenzia delle Dogane proponeva ricorso per cassazione, denunciando la violazione e falsa applicazione degli artt. 52, comma 1, lett. a), 55, comma 6, e 56, comma 1 del D.lgs. n. 504/1995, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., lamentando che la contribuente non avesse dimostrato l’effettivo utilizzo dell’energia per la sola produzione di elettricità o per il mantenimento della capacità produttiva, e che, nel caso di impieghi promiscuamente destinati anche alla cessione in rete, sarebbe stata necessaria la preventiva richiesta all’Ufficio doganale, che avrebbe potuto subordinare l’esenzione all’adozione di “speciali congegni di sicurezza o di apparecchi atti ad impedire l’impiego di energia elettrica a scopo diverso da quello dichiarato”.
La Suprema Corte, con la suindicata ordinanza n. 5165/2025, ha rigettato il ricorso ritenendo infondato il motivo sollevato dall’Amministrazione finanziaria. In particolare, ha ribadito l’adesione ad un consolidato indirizzo giurisprudenziale secondo cui, “in tema di imposta erariale di consumo sull’energia elettrica, regolata dal D.lgs. 26 ottobre 1995, n. 504, la mancata ottemperanza alle prescrizioni di cui agli artt. 53 e 55, comma 8 – riguardanti, rispettivamente, la preventiva denuncia di officina elettrica e l’applicazione degli speciali congegni di sicurezza – non produce effetti preclusivi del diritto alle esenzioni o alle agevolazioni” (Cass. n. 19321/2011; Cass. n. 24517/2023).
La Suprema Corte ha, infatti, puntualizzato che “gli adempimenti in questione non costituiscono condizioni sine qua non per la nascita del diritto, che può comunque essere utilmente esercitato ove si dia la dimostrazione, con gli altri mezzi istruttori predisposti dalla legge, delle quantità di energia impiegata, rispettivamente, per usi soggetti ad imposta e per usi esenti” (Cass. n. 12589/2004).
In applicazione di tali principi, dunque, gli Ermellini hanno ritenuto corretta la decisione della CTR, la quale aveva accertato che il fornitore aveva omesso l’applicazione dell’accisa non solo su richiesta del cliente – dichiaratosi utilizzatore in esenzione per finalità produttive – ma anche sulla base di documentazione probatoria, come la licenza per la produzione di energia e il verbale di collaudo, idonea a dimostrare “sulla base delle caratteristiche tecniche dell’impianto, le modalità di impiego dell’energia elettrica”.
La Corte ha comunque rilevato che non era stata rispettata la procedura di cui all’art. 55, comma 6 del TUA, la quale impone un obbligo informativo qualora l’impianto impieghi energia anche per usi diversi. Tuttavia, ha precisato che “il mancato rispetto di tale procedura obbligatoria non incide sul piano impositivo se sussistono, come nel caso in esame, i presupposti sostanziali per beneficiare dell’esenzione”, sebbene possa astrattamente rilevare ai fini sanzionatori ex art. 59, comma 5, circostanza che, nel caso di specie, non si è tuttavia verificata.
La pronuncia si colloca in linea di continuità con la giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (la “CGUE”), e in particolare con la sentenza del 2 giugno 2016, causa C-418/14, ROZ-ŚWIT Zakład Produkcyjno-Handlowo-Usługowy, nella quale è stato affermato che, qualora sia pacificamente accertata la destinazione agevolata di un prodotto sottoposto ad accisa, il mancato assolvimento di taluni obblighi formali non può, di per sé solo, precludere il riconoscimento dell’agevolazione fiscale, in quanto ciò si porrebbe in contrasto con il principio di proporzionalità, fondamento essenziale del diritto tributario armonizzato.
Nello specifico, la fattispecie decisa dalla CGUE riguardava una società polacca attiva nella distribuzione di combustibili destinati ad impieghi di riscaldamento, che beneficiano, ai sensi della normativa interna, di un’aliquota d’accisa agevolata. Il godimento di tale agevolazione era tuttavia subordinato alla presentazione, entro un termine mensile, di un elenco riepilogativo contenente le dichiarazioni degli acquirenti attestanti l’effettiva destinazione d’uso. La ROZ-ŚWIT, pur avendo venduto i prodotti per usi effettivamente agevolati – circostanza documentata e non contestata – non aveva presentato l’elenco nei termini prescritti. In conseguenza di tale omissione formale, le autorità fiscali applicavano l’aliquota ordinaria prevista per i carburanti per motori, ben più gravosa, disconoscendo il diritto al regime agevolato.
Investito della questione, il giudice amministrativo nazionale sospendeva il procedimento e sottoponeva alla Corte di giustizia tre questioni pregiudiziali, chiedendo in sostanza se una normativa nazionale che impone, quale condizione per l’applicazione dell’aliquota ridotta, l’adempimento di un obbligo formale, possa legittimamente prevedere la perdita del beneficio in caso di sua inosservanza, anche quando la destinazione agevolata del prodotto sia certa.
Nel rispondere, la Corte ha innanzitutto riconosciuto la legittimità dell’obbligo formale, osservando che esso rappresenta una misura finalizzata a garantire l’effettività del controllo fiscale. Al punto 25 della sentenza, essa afferma che “un tale obbligo costituisce una misura adeguata a perseguire un obiettivo del genere e non eccede quanto necessario al suo raggiungimento”.
Tuttavia, la Corte distingue nettamente tra la legittimità dell’obbligo in sé e le conseguenze che derivano dalla sua inosservanza, evidenziando come queste ultime debbano comunque rispettare il principio di proporzionalità. La reazione sanzionatoria non può risolversi in un automatismo lesivo del diritto sostanziale del contribuente. In tal senso, al punto 35 si chiarisce che “una tale applicazione automatica dell’aliquota di accisa prevista per i carburanti per motori in caso di inosservanza dell’obbligo di depositare un tale elenco riepilogativo viola il principio di proporzionalità”.
Ancora più incisiva è l’affermazione contenuta al punto 39, dove si sottolinea che “il fatto di applicare ai combustibili per riscaldamento di cui trattasi nel procedimento principale l’aliquota di accisa prevista per i carburanti per motori a causa di una violazione dell’obbligo, imposto dal diritto nazionale, di presentare un elenco riepilogativo delle dichiarazioni degli acquirenti entro i termini stabiliti, qualora si sia constatato che non vi erano dubbi riguardo alla destinazione di tali prodotti a fini di riscaldamento, eccede quanto è necessario al fine di prevenire l’elusione e l’evasione fiscale”.
In conclusione, la Corte ha affermato che il diritto dell’Unione, in particolare la direttiva 2003/96 e il principio di proporzionalità, “ostano a una normativa nazionale in forza della quale, in mancanza della presentazione di un elenco riepilogativo mensile delle dichiarazioni degli acquirenti entro il termine stabilito, l’aliquota di accisa prevista per i carburanti per motori è applicata al combustibile per riscaldamento venduto, sebbene sia stato accertato che è indubbia la destinazione di tale prodotto a fini di riscaldamento” (punto 41).
In questo senso, al punto 42, la Corte conclude asserendo che “la direttiva 2003/96 nonché il principio di proporzionalità devono essere interpretati nel senso che:
– essi non ostano a una normativa nazionale in forza della quale i venditori di combustibile per riscaldamento sono obbligati a presentare, entro un termine stabilito, un elenco riepilogativo mensile delle dichiarazioni degli acquirenti secondo le quali i prodotti acquistati sono destinati al riscaldamento, e
– essi ostano a una normativa nazionale in forza della quale, in mancanza della presentazione di un tale elenco entro il termine stabilito, al combustibile per riscaldamento venduto è applicata l’aliquota di accisa prevista per i carburanti per motori, sebbene sia stato accertato che è indubbia la destinazione di tale prodotto a fini di riscaldamento (punto 42).
L’insegnamento consolidato della Corte di Giustizia dell’Unione Europea – secondo cui, in materia di tributi armonizzati, la mancata osservanza di meri adempimenti formali non può comportare la perdita del diritto a un’agevolazione, laddove siano comunque soddisfatti i presupposti sostanziali – trova piena adesione anche nella giurisprudenza nazionale di legittimità.
Oltre alla ordinanza in commento, che si colloca nel solco di tale orientamento, la Suprema Corte ha avuto in più occasioni modo di riaffermare il principio della prevalenza della sostanza sulla forma, riconoscendo che il rispetto delle condizioni sostanziali per il godimento del beneficio fiscale prevale sulla mera omissione di formalità prive di rilievo elusivo o evasivo. Emblematiche, in tal senso, risultano le pronunce Cass. nn. 1985 del 2019 e 31618 del 2018. Particolarmente significativa, per la chiarezza dei principi espressi, è altresì l’ordinanza n. 25275 del 2019.
La fattispecie sub judice concerne una controversia insorta tra una contribuente, in qualità di autoproduttore di energia elettrica, e l’Agenzia delle Dogane (“l’Ufficio”), relativa al recupero dell’accisa sull’energia per gli anni 2009 e 2010, in seguito alla revoca dell’esenzione precedentemente riconosciuta in virtù del superamento del consumo mensile di KWh 1.200.000,00.
In primo grado, la Commissione Tributaria Provinciale ha accolto la tesi dell’Amministrazione, respingendo il ricorso del contribuente. Il giudice di prime cure ha, infatti, ritenuto che l’omissione della comunicazione mensile costituisse un inadempimento essenziale e preclusivo del beneficio, in quanto funzionale all’esercizio del potere di controllo da parte dell’Ufficio.
In sede di appello, tuttavia, la Commissione Tributaria Regionale dell’Emilia Romagna (la “CTR”), con sentenza parzialmente riformativa, ha accolto l’impugnazione della contribuente, annullando sia l’invito al pagamento che l’atto sanzionatorio. La CTR ha evidenziato come la contribuente avesse correttamente versato l’accisa nei mesi in cui i consumi non superavano la soglia prevista e che, pertanto, non si configurava alcuna evasione d’imposta. Di conseguenza, ha riconosciuto la spettanza dell’agevolazione, qualificando la mancata trasmissione mensile dei consumi come violazione meramente formale, non incidente sull’an del tributo. Con riguardo alle sanzioni, la CTR ha escluso la loro applicabilità, in quanto riferite ad un adempimento accessorio, la cui omissione non è contemplata dall’art. 59, comma 3, lett. c), del T.U.A.
Avverso tale decisione, l’Agenzia delle Dogane ha proposto ricorso per cassazione, articolato in un unico motivo, deducendo la violazione degli artt. 52, comma 3, lett. f), e 59, comma 1, lett. c) e comma 3, del D.lgs. n. 504/1995. In particolare, l’Amministrazione contestava che il giudice di secondo grado avesse erroneamente ritenuto non essenziale la comunicazione mensile, “trascurando che essa rispondeva all’esigenza di un pronto controllo erariale“, ed evidenziando che l’obbligo era stato assolto solo successivamente, in quanto l’esenzione era stata sostituita da un regime di aliquota ridotta progressiva. L’Ufficio sosteneva, inoltre, che la mancata comunicazione dovesse comunque integrare una condotta sanzionabile, in quanto “avvenuta con coscienza e volontà”
La Corte di Cassazione, con ordinanza, ha rigettato il ricorso dell’Agenzia delle Dogane, richiamando, in primis, consolidati orientamenti, sia interni che eurounitari, secondo cui in mancanza di una espressa previsione di decadenza, il contribuente non può perdere il diritto al beneficio a causa di omesse formalità, sempre che sussistano i requisiti sostanziali (Cass. SS.UU. n. 21498/2004; Corte giust. UE, sez. VI, n. 272/2014; sez. IX, n. 418/2016).
Sottolinea la Corte che “la natura solo formale dell’adempimento, non influente sul diritto ad avere l’agevolazione, anche testimoniato dalla sua posteriore abrogazione”, unitamente al fatto che “le dichiarazioni annuali avevano permesso al fisco la verifica che nessuna imposta era stata evasa”, giustificassero il riconoscimento del beneficio. Difatti, in conclusione, “in pressoché identiche fattispecie (la Corte n.d.r.) ha riconosciuto l’esenzione (Cass. nn. 1985/2019 e 31618/2018).
Quanto alle sanzioni, la Corte ha escluso che l’omessa comunicazione mensile potesse rientrare tra le fattispecie sanzionabili ai sensi dell’art. 59, comma 3, lett. c), del D.lgs. n. 504/1995, osservando però che “non si possa sostenere che la comunicazione in parola costituisca un elemento costitutivo di un diritto all’agevolazione […] e poi, contraddittoriamente, sanzionare l’omissione della comunicazione come se fosse un obbligo“.
In sintesi, l’ordinanza ha confermato un principio di diritto oramai consolidato: l’adempimento formale, in assenza di specifica previsione decadenziale, non può comprimere un diritto sostanzialmente maturato e verificabile, riaffermando una visione garantista e sostanzialista in tema di benefici fiscali.
Il quadro che emerge con nettezza è allora quello di un sistema tributario che, sebbene strutturato su regole tecniche e procedurali, riconosce pienamente il primato della sostanza sulla forma, soprattutto nel campo dei tributi armonizzati. In tale prospettiva, le agevolazioni fiscali – ed in particolare quelle relative all’energia elettrica – devono essere valutate secondo criteri sostanziali, fondati sulla reale destinazione del bene e sull’effettivo rispetto delle finalità agevolate.
La comunicazione mensile o la richiesta formale presso l’Ufficio doganale, sono strumenti certamente utili all’Amministrazione per l’esercizio delle proprie funzioni di controllo; tuttavia, la loro omissione non può, di per sé, pregiudicare un diritto sostanzialmente maturato, qualora il contribuente dimostri in modo compiuto e documentato l’inerenza dell’utilizzo ai fini legittimanti il beneficio.
Si è consolidato così, sia in campo nazionale che europeo, un modello interpretativo che attribuisce valore primario ai presupposti sostanziali e relega gli adempimenti formali a un ruolo strumentale e accessorio, coerente con la finalità ultima del sistema fiscale: colpire la ricchezza effettiva e non il mero inadempimento tecnico.