Il TAR Calabria, Catanzaro, sui requisiti per l’installazione di un impianto agrivoltaico

TAR Calabria, Catanzaro, sentenza n. 1537 del 30 settembre 2025
27/10/2025

In data 30 settembre 2025, il TAR Calabria, Catanzaro, si è pronunciato in merito alla possibilità per le amministrazioni locali di introdurre limitazioni alla realizzazione di impianti agrivoltaici non previste dalla normativa nazionale.

La vicenda prende avvio dalla domanda di PAUR presentata da una Società operante nel settore energetico e avente ad oggetto la realizzazione di un impianto agrivoltaico nel cosentino, di potenza totale pari a 14,4 MW.

L’istanza era stata inizialmente respinta, in conseguenza del parere non favorevole espresso dall’Amministrazione comunale, cui si era aggiunto anche quello parimenti negativo espresso dalla Struttura Tecnica di Valutazione in sede di conferenza dei servizi.

Tale diniego veniva però successivamente cassato dal TAR Calabria, con la sentenza n. 900/2023.

A seguito di questa pronuncia, il procedimento veniva riattivato d’ufficio, mediante una nuova valutazione tecnica da parte della STV, questa volta favorevole, e l’indizione di una nuova conferenza di servizi decisoria, nell’ambito della quale il Comune ribadiva invece il proprio dissenso.

Nonostante il diniego espresso dall’Amministrazione comunale, tuttavia, il procedimento si concludeva in senso favorevole, con l’accoglimento dell’istanza presentata dalla Società.

Avverso tale deliberazione ricorreva il Comune innanzi al TAR Calabria, Catanzaro.

Nel merito, l’Amministrazione contestava in particolare: (i) la mancata verifica circa la sussistenza di usi civici nelle aree interessate dall’impianto; (ii) l’irrealizzabilità dell’opera per carenza dei presupposti ambientali, in quanto l’area sarebbe stata individuata dalla Protezione civile come “zona d’emergenza-ricovero”, nonché per il divieto di cui alla Legge n. 353/2000, che vieta nuovi interventi edilizi su aree precedentemente colpite da incendi.

Quanto alla questione degli usi civici, il Tribunale, nel respingere la relativa doglianza, ha richiamato un’importante sentenza della Corte costituzionale, la n. 103 del 2024, nella quale si legge che “la mancata inclusione delle aree gravate da usi civici tra quelle “idonee” non comporta la loro assoluta inidoneità all’installazione di impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili, […] né tantomeno comporta il divieto di mutarne la destinazione in conformità al regime degli usi civici”.

Il Collegio ha inoltre rilevato che: (i) la valutazione circa gli aspetti di compatibilità paesaggistica spetta in via esclusiva alla Regione, che può negare l’autorizzazione solo al ricorrere dei tassativi presupposti di cui al d.lgs. n. 387/2003; (ii) il Testo Unico sugli espropri, d.p.r. n. 327/2001, “non prevede il divieto assoluto di assoggettare ad espropriazione beni gravati da uso civico per realizzare impianti energetici, purché siano compatibili con l’esercizio dell’uso civico stesso”.

Il Tribunale, sulla scorta di una propria precedente pronuncia – la n. 27 del 2024 – ha poi sottolineato l’assoluta irrilevanza della qualificazione dell’area come “zona d’emergenza-ricovero”, in quanto “l’assenza di un vincolo di natura tanto espropriativa, tanto conformativa, sul fondo e la natura meramente programmatica del piano di Emergenza Comunale, depongono nel senso della piena disponibilità delle aree ai fini della realizzazione di altri interessi, siano essi privati o pubblici o, come nel caso di specie, di natura composita”.

Infine, riguardo al vincolo derivante dalla Legge n. 353/2000, il Collegio ha richiamato l’orientamento consolidato del Consiglio di Stato, secondo cui la norma sul divieto di edificazione nelle aree percorse dal fuoco deve essere interpretata alla luce del diritto unionale e del favor per le energie rinnovabili. In tale prospettiva, il divieto va letto in senso teleologico, mirato a prevenire comportamenti fraudolenti o speculativi, e non può applicarsi quando l’impianto da fonti rinnovabili risulti già compatibile con la destinazione agricola del terreno ai sensi dell’art. 12, comma 7, del d.lgs. 387/2003.
In conclusione, la sentenza in commento ribadisce la centralità del principio di competenza statale in materia di fonti rinnovabili, escludendo la possibilità per le amministrazioni locali di introdurre limitazioni non previste dalla normativa nazionale. La decisione conferma l’orientamento volto a garantire un equilibrio tra tutela ambientale e sviluppo sostenibile, riconoscendo la prevalenza dell’interesse pubblico alla transizione energetica e alla promozione delle energie rinnovabili.

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