Fiscalità energetica e economia sostenibile nei Paesi in via di sviluppo

OCSE, Taxing Energy Use for Sustainable Development: opportunities for energy tax and subsidy reform in selected developing and emerging economies
25/02/2021

Lo studio Taxing Energy Use for Sustainable Development: opportunities for energy tax and subsidy reform in selected developing and emerging economies si pone nel solco degli studi dell’OCSE sulle strategie per perseguire lo sviluppo sostenibile modulando in funzione di questo obiettivo le politiche di fiscalità energetica. Il fine ultimo dell’OCSE è infatti quello di orientare le scelte politiche dei diversi Paesi membri verso soluzioni concrete in linea con gli accordi di Parigi e i Sustainable Development Goals (SDGs) dell’ONU.

Nello studio, si esamina la tassazione dell’energia in quindici Paesi in via di sviluppo siti in Africa, Asia, America Latina e Caraibi[1]. In questi Stati, giova ricordarlo, esistono ancora persone che non hanno accesso a fonti energetiche efficaci e sicure; ben diversa è invece la situazione dei Paesi OCSE che generalmente devono solo garantire la continuità dell’accesso universale all’energia e semmai costruire politiche fiscali volte a preferire l’utilizzo di alcuni vettori energetici in luogo di altri (per una panoramica generale sul tema, cfr. S. Supino-B. Voltaggio, La povertà energetica, Strumenti per affrontare un problema sociale, Ed. Il Mulino, 2019).

L’OCSE osserva che, in tutti i quindici Paesi esaminati nel rapporto, l’83% delle emissioni di CO2 legate all’energia non è tassato. Nessuno degli Stati oggetti di studio utilizza infatti sistemi di carbon pricing o di carbon taxes, né tantomeno meccanismi di scambio di quote di emissioni similari a quelli previsti nell’UE (già commentati in altro contributo).

Non è certo più florida la situazione nei Paesi OCSE e G20: come dimostrato nel precedente studio dell’OCSE Taxing Energy Use 2019 , già commentato in altro contributo, anche in detti Stati circa il 70% delle emissioni derivanti dal consumo energetico sfugge a qualsiasi forma di imposizione.

Si fa quindi sempre più viva la necessità di orientare le politiche fiscali allo sviluppo sostenibile, al fine di prevenire tutti gli effetti negativi del consumo energetico, sia nei Paesi in via di sviluppo che in quelli sviluppati.

Nello studio qui in commento, emerge inoltre che nei Paesi esaminati, per sostenere le famiglie meno abbienti, i combustibili fossili utilizzati per il riscaldamento, la cucina e l’illuminazione sono sottoposti a livelli di tassazione irrisori o nulli e talora oggetto di sussidi pubblici. Questa strategia, oltre a sortire pesanti conseguenze sulle finanze pubbliche, in alcuni casi può incoraggiare un uso eccessivo e sregolato di combustibili fossili.

A questo proposito, l’OCSE rileva che in quattro dei quindici Paesi oggetto di analisi il costo dei sussidi energetici è finanche superiore alle entrate derivanti da tutte le imposte sull’energia, come da immagine che segue (tratta dallo stesso studio):

L’OCSE riconosce tuttavia che i sussidi in favore delle famiglie meno abbienti non possono essere del tutto eliminati, rappresentando comunque un ottimo strumento per contrastare la povertà energetica. Di conseguenza, suggerisce di adottare politiche di carbon pricing e carbon taxing senza tuttavia eliminare la totalità dei sussidi energetici. Peraltro, essendo emerso che tredici dei quindici Paesi hanno ampia esperienza con le accise sui carburanti, l’introduzione di un’imposta sulle emissioni di carbonio sarebbe relativamente semplice da attuare in termini amministrativi.

A questo proposito, è interessante notare che esistono alcuni Paesi in via di sviluppo che non hanno mai promosso l’utilizzo di combustibili fossili, creando ex novo sistemi energetici basati direttamente sulle rinnovabili: in questi Stati, politiche di tal fatta potrebbero addirittura condurre a “scavalcare” del tutto i vettori energetici più inquinanti, strutturando ex novo sistemi energetici basati solo su fonti sostenibili.

Sotto il profilo del gettito, lo studio rileva che negli Stati oggetto di analisi l’introduzione di imposte sul carbonio potrebbe sortire ripercussioni positive sulle entrate nazionali: in media, i Paesi potrebbero registrare un incremento del gettito equivalente a circa l’1% del PIL se introducessero imposte sui combustibili fossili equivalenti a 30 EUR per tonnellata di CO2, come evidenziato nell’immagine che segue (tratta dallo studio):

Fornire l’accesso affidabile ed economico all’energia pulita è fondamentale per incentivare lo sviluppo economico. L’impegno dell’OCSE è costante e continuo in questa direzione: la pianificazione di una fiscalità che guardi alla tassazione delle emissioni inquinanti e all’eliminazione graduale dei sussidi ai combustibili fossili può infatti incentivare gli investimenti in linea con gli obiettivi di sviluppo sostenibile sia nei Paesi sviluppati che in quelli in via di sviluppo. In questi ultimi, tra l’altro, siffatte misure sarebbero altresì utili a contrastare la pesante evasione fiscale soprattutto delle imposte dirette che, come noto, attanaglia le economie emergenti.

In questa prospettiva, la ripresa dopo la pandemia sembra la migliore occasione per ricostruire in tutti i Paesi del mondo economie più pulite, più sane, più resilienti e più inclusive, anche attraverso lo strumento della leva fiscale.

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[1] Costa d’Avorio, Egitto, Ghana, Kenya, Marocco, Nigeria e Uganda in Africa; Filippine e Sri Lanka in Asia; Costa Rica, Repubblica Dominicana, Ecuador, Guatemala, Giamaica e Uruguay in America Latina e Caraibi.

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