27/12/2021

La consapevolezza della drammatica urgenza di affrontare il cambiamento climatico, come recentemente confermato dalla comunità scientifica internazionale con l’ultimo rapporto IPCC[1],  è oggi alla base della politica legislativa europea sotto più profili d’azione. In primo luogo, il legislatore europeo è intervenuto predisponendo un nuovo e innovativo piano di carbon pricing dei beni importati all’interno dell’unione, la c.d. carbon border tax,[2] a completamento del sistema di scambio di permessi di emissioni (c.d. Emissions Trading System – ETS)[3] introdotto con la  Direttiva n. 2003/87/CE e poi successivamente implementato e modificato con la Direttiva n. 2018/410. In secondo luogo, le istituzioni europee stanno implementando un nuovo sistema di tracciamento e di valutazione dell’impatto ambientale e sociale delle grandi imprese nei confronti sia della società che dell’ambiente.

Sotto quest’ultimo profilo, il 21 aprile 2021, la Commissione europea, in linea con il piano d’azione sulla finanza sostenibile previsto dall’European Green Deal[4] e con gli obiettivi di neutralità climatica dettati dal Regolamento UE 2021/1119, ha pubblicato una proposta di direttiva sul reporting di sostenibilità, denominata Corporate Sustainability Reporting Directive (c.d. CSRD), finalizzata alla revisione della Direttiva 2014/95/UE  sulla rendicontazione non finanziaria (c.d. non-financial Reporting Directive – NFRD), anche nota come direttiva ESG (Environmental, Social, Governance)[5]. Mediante tale proposta di direttiva, la Commissione Europea intende introdurre requisiti di trasparenza più stringenti sulla sostenibilità delle imprese, nonché standard di reporting europei uniformi, che garantiscano la comparabilità delle informazioni per consumatori, finanziatori e investitori.

 La direttiva sulla rendicontazione non finanziaria (NFRD) e la proposta di revisione dello scorso aprile (CSRD) si basano sull’assunto che le esigenze di informazione dei consumatori/utenti sull’impatto delle imprese in tema di sostenibilità siano notevolmente cresciute negli ultimi anni e che questa tendenza sia destinata a crescere ulteriormente nel futuro prossimo. I motivi di questa tendenza sono molteplici: in primis, bisogna sottolineare come gli investitori siano sempre più consapevoli del fatto che le questioni di sostenibilità possono mettere a rischio i risultati finanziari delle imprese; in secondo luogo, un ulteriore fattore trainante è dato dalla crescita nel mercato economico-finanziario dei prodotti di investimento che cercano di conformarsi sia ai principi che agli obiettivi di sostenibilità. Inoltre, un’ulteriore elemento da tenere in considerazione è dato dal moltiplicarsi, all’interno dell’Unione, di interventi normativi e regolamentari volti a promuovere la sostenibilità: si pensi al Regolamento UE 2019/2088  (Sustainable Finance Disclosure Regulation – SFDR) relativo all’informativa sulla sostenibilità nel settore dei servizi finanziari e al Regolamento UE 2020/852  (Taxonomy Regulation – TR) che ha introdotto, nel sistema normativo europeo, la tassonomia delle attività economiche eco-compatibili, ossia una classificazione delle imprese che possono essere considerate sostenibili in base all’allineamento agli obiettivi ambientali dell’Unione Europea.

Le ragioni finora prospettate giustificano la necessità di colmare l’attuale divario tra le informazioni sulla sostenibilità comunicate dalle imprese e le esigenze degli utenti a cui tali informazioni sono destinate. Da un lato, infatti, ciò comporta che gli investitori non sono in grado di tenere sufficientemente conto dei rischi legati alla sostenibilità nelle loro decisioni di investimento, il che potrebbe a sua volta creare rischi sistemici a danno della stabilità finanziaria. Dall’altro lato, l’asimmetria informativa si traduce nella materiale impossibilità per gli investitori di convogliare risorse finanziarie verso imprese con attività e modelli aziendali sostenibili. In definitiva, quest’ultima circostanza compromette il conseguimento degli obiettivi del Green Deal europeo e, inoltre, ostacola la capacità di tutti gli stakeholders di esigere che le imprese rendano conto del loro impatto sulle persone e sull’ambiente, creando un deficit di responsabilità in grado di compromettere il funzionamento efficace dell’economia sociale di mercato[6].

La direttiva sulla rendicontazione non finanziaria, a partire dall’anno finanziario 2017[7], ha quindi introdotto per le grandi imprese nuovi oneri di rendicontazione, di natura non finanziaria, che si fondano sul  “principio della doppia materialità”. Tale principio si sostanzia nell’obbligo in capo alle imprese di effettuare una duplice comunicazione: in primis, le imprese devono trasmettere le informazioni attinenti al modo in cui le questioni legate alla sostenibilità influiscono sui propri risultati, sulla propria situazione patrimoniale e sul proprio andamento economico-finanziario (c.d. prospettiva outside-in) e, in secondo luogo, esse devono comunicare tutte le informazioni inerenti al proprio impatto sulle persone e sull’ambiente (c.d. prospettiva inside-out). La ratio di tale onere si fonda sull’assunto che solamente attraverso il miglioramento dei dati comunicati dalle imprese riguardo ai rischi di sostenibilità a cui sono esposte e all’impatto che esse producono sulle persone e sull’ambiente sarà possibile dare attuazione al Green Deal Europeo.

L’obiettivo principale della recente proposta di direttiva CSRD è, quindi, incrementare la quantità, la qualità e la comparabilità delle informazioni di sostenibilità che vengono divulgate dalle imprese e che possono essere utilizzate dagli investitori per integrare le strategie d’investimento, nonché soddisfare gli esigenze informative della clientela. Il raggiungimento dell’obiettivo di proposta CSRD è assicurato attraverso l’adozione delle seguenti misure:

  1. l’estensione dell’obbligo di rendicontazione non finanziaria a tutte le società di grandi dimensioni e a tutte le società con titoli quotati nei mercati regolamentati dell’UE, ad esclusione solamente delle microimprese;
  2. l’ampliamento delle informazioni ESG che devono obbligatoriamente essere ricomprese nell’informativa non finanziaria;
  3. l’uniformità degli standard di rendicontazione per tutte le imprese europee.

Quanto ai soggetti sottoposti alla rendicontazione non finanziaria NFRD, la direttiva fa attualmente riferimento alle

“imprese di grandi dimensioni che sostituiscono enti di interesse pubblico e che, alla data di chiusura del bilancio, presentano un numero di dipendenti occupati in media durante l’esercizio pari a 500”,

le quali devono includere

nella relazione sulla gestione una dichiarazione di carattere non finanziario contenente almeno informazioni ambientali, sociali, attinenti al personale, al rispetto dei diritto umani, alla lotta contro la corruzione attiva e passiva in misura necessaria alla comprensione dell’andamento dell’impresa, sei suoi risultati, della sua situazione e dell’impatto della sua attività”.

La proposta di direttiva sul reporting di sostenibilità CSRD punta ad estendere notevolmente il campo di applicazione della direttiva NFRD, abbassando i criteri dimensionali per coprire tutte le «grandi» società. I nuovi requisiti di reporting dovranno essere rispettati:

  1. da tutte le aziende di grandi dimensioni, indipendentemente dal fatto che siano quotate o meno, con più di 250 dipendenti (rispetto alla precedente versione della normativa decade quindi la soglia minima di 500 dipendenti, mentre restano valide quelle di fatturato superiore a €50 milioni e di bilancio superiore a €43 milioni);
  2. a tutte le PMI quotate sui mercati europei a eccezione delle micro-imprese, cioè quelle con meno di 10 dipendenti e con fatturato o bilancio inferiore a €2 milioni.

In totale, la Commissione stima che con la suddetta modifica il numero delle imprese soggette ai nuovi obblighi salirà dagli attuali 11.600 a 49.000.

Inoltre, sotto il profilo oggettivo, gli obblighi di rendicontazione imposti dalla proposta CSRD includono, rispetto alla precedente versione della direttiva, informazioni più approfondite sulla strategia e sugli obiettivi delle aziende, sul ruolo del board e del management e sull’utilizzo degli intangible assets. Inoltre, le imprese dovranno fornire dati e informazioni sulle proprie catene mondiali di approvvigionamento, esplicitandone gli impatti sugli obiettivi di sostenibilità. I dati divulgati dovranno essere di tipo qualitativo e quantitativo, storici e prospettici e, a seconda delle necessità, dovranno coprire il breve, lungo e medio periodo.

Come anticipato, l’attuale indirizzo seguito dal legislatore europeo mira non soltanto alla “sostanziale” riduzione della CO2 attraverso la leva fiscale del carbon pricing, ma anche al tracciamento costante ed effettivo dell’impatto ecologico e sociale delle grandi imprese, mediante l’imposizione di stringenti oneri di rendicontazione. Queste due direttrici d’intervento, per quanto apparentemente divergenti, sono invero strettamente interconnesse: basti pensare che i principali ostacoli ad un’effettiva ed efficace attuazione della tassazione sul prezzo del carbonio per le importazioni[8], attraverso il c.d. carbon Border Adjustment Mechanism, sono proprio:

  1. la difficoltà di identificazione dell’origine dei prodotti;
  2. e la difficoltà di quantificare la CO2 associata all’intero processo produttivo del prodotto finale importato.

Dalla constatazione di questi due risvolti problematici si evince l’importanza di una corretta applicazione della direttiva sul reporting di sostenibilità, specie in relazione ai nuovi oneri informativi inerenti alla catena mondiale di approvvigionamento delle imprese assoggettate. L’attività di reporting diverrebbe così strumentale all’acquisizione di tutte quelle informazioni essenziali ai fini di una corretta ed efficace attuazione del Carbon Border Adjustment Mechanism.

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[1] L’IPCC (il c.d. Intergovernmental Panel on Climate Change) è un organismo scientifico internazionale, istituito nel 1988 dalla World Meteorological Organization (WMO) e dall’United Nations Environment Program (UNEP), che passa in rassegna e valuta le più recenti informazioni scientifiche, tecniche e socio-economiche prodotte a livello mondiale per la comprensione dei cambiamenti climatici. Lo scorso 9 agosto è stato ufficialmente presentato “il sesto rapporto di valutazione dell’IPCC sui cambiamenti climatici”: quest’ultimo conferma che, inequivocabilmente, è stata ed è l’influenza umana a riscaldare l’atmosfera, l’oceano e le terre emerse, causando cambiamenti diffusi, rapidi e tragici sia per l’intero ecosistema che per la specie umana.

[2] Cfr. S. Supino Il ruolo della fiscalità nel Green Deal europeo e la Carbon Border Tax: tra nuove imposte e vecchi temi, interni (coesione tra Stati) e esterni (rispetto degli obblighi internazionali) ai confini dell’UE.

[3] Cfr. L. Paliaga, Glasgow Climate Pact – il possibile mercato globale delle emissioni di C02 sulla scia dell’emission trading system europeo.

[4] L’11 dicembre 2019, la Commissione Europea ha adottato l’European Green Deal, una nuova strategia di crescita che mira a trasformare l’Unione in un’economia moderna, efficiente sotto il profilo delle risorse e competitiva, che nel 2050 abbia un impatto climatico pari a zero, privo di emissioni nette di gas a effetto serra.

[5] In Italia, la rendicontazione non finanziaria è regolata dal d.lgs n. 254/2016, adottato in attuazione della direttiva 2014/95/EU, che ha introdotto, per determinate grandi aziende individuate dall’art. 2 del medesimo decreto legislativo, l’obbligo di redigere per ogni esercizio finanziario una dichiarazione di carattere non finanziario volta “ad assicurare la  comprensione  dell’attività  di impresa, del suo andamento, dei suoi risultati e  dell’impatto  dalla stessa prodotta”, che copra “i  temi  ambientali,  sociali,  attinenti  al personale, al rispetto  dei  diritti  umani,  alla  lotta  contro  la corruzione attiva e passiva” (art. 3). L’ambito soggettivo, come si è detto, è disciplinato dall’art. 2, il quale stabilisce al comma 1 che “Gli enti di  interesse  pubblico  redigono  per  ogni  esercizio finanziario   una   dichiarazione   conforme   a   quanto    previsto dall’articolo 3, qualora abbiano avuto, in media, durante l’esercizio finanziario un numero di dipendenti superiore a cinquecento  e,  alla data di chiusura del bilancio, abbiano superato almeno  uno  dei  due seguenti limiti dimensionali:  a) totale dello stato patrimoniale: 20.000.000 di euro;  b) totale dei ricavi netti delle  vendite  e  delle  prestazioni: 40.000.000 di euro”.

[6] Per ulteriori approfondimenti, si rimanda alla relazione della proposta Corporate Sustainability Reporting Directive.

[7] Le imprese che rientrano nell’ambito di applicazione della direttiva NFRD hanno dovuto adempiere l’obbligo di informativa per la prima volta nel 2018 per l’esercizio finanziario 2017.

[8] La carbon border tax dovrebbe essere attuata in due fasi: dal 2023 al 2025, l’Unione Europea monitorerà le informazioni che le società comunicano sulle loro emissioni e solamente dopo, nel 2026, inizierà ad essere applicato un prelievo alla frontiera.

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