Il requisito della commercialità ai fini p.ex. per le società del settore energia con fase di start-up

Agenzia delle Entrare, risposta a interpello n. 883 del 30 dicembre 2021
24/02/2022

Con la risposta a interpello n. 883 del 30 dicembre 2021, l’Agenzia delle Entrate è tornata a pronunciarsi sul tema della sussistenza del requisito della commercialità ai fini dell’applicazione del regime della participation exemption ex art. 87 del TUIR (di seguito, in breve, “regime p.ex.”) con riferimento alle società in fase di start-up operanti nel settore energetico.

In particolare, con tale documento di prassi l’Agenzia ha ritenuto sussistente il requisito della commercialità nel caso di società che avevano svolto, nei tre anni precedenti, una serie di attività riconducibili alla fase di start-up, prodromiche alla costruzione di cinque parchi fotovoltaici (i.e. la ricerca dei siti ove ubicare gli impianti, l’ottenimento dei permessi e delle autorizzazioni, la conclusione di accordi commerciali e finanziari, la progettazione e la costruzione degli impianti medesimi).

Giova ricordare in proposito che, in passato, la stessa Agenzia, non tenendo conto della realtà operativa di alcuni settori di attività, aveva negato il requisito della commercialità (e dunque l’applicabilità del regime p.ex.) per società che avevano solo iniziato i lavori di predisposizione dei propri siti produttivi ma che non erano ancora in grado di svolgere un’attività di produzione. Ed invero, nella risoluzione n. 323/E/2007 essa aveva disconosciuto il suddetto requisito con riguardo ad una società immobiliare che aveva operato interventi di ristrutturazione su un immobile al fine di renderlo idoneo, al termine degli stessi, allo svolgimento di un’attività alberghiera, così affermando:

Non basta, pertanto, ai fini della “commercialità'” di cui trattasi, la mera costituzione in forma di società di capitali. Nel caso prospettato dall’istante, peraltro, gli elementi di fatto e di diritto previsti dalla citata disposizione (l’art. 87, co. 1, lett. d), TUIR, n.d.r) sono riscontrabili solo dal momento in cui l’immobile de qua può essere considerato “immobile strumentale direttamente utilizzato” nell’attività d’impresa, ossia dal momento in cui – terminati i lavori di restauro – lo stesso è effettivamente destinato all’attività alberghiera[1].

Da tale indirizzo interpretativo, sembrava, pertanto, potersi desumere un principio di carattere generale secondo cui la verifica della sussistenza del requisito della commercialità dovesse avvenire sulla base dell’attività de facto svolta in concreto dalla società e, dunque, solo una volta avviata l’attività produttiva.

Senonché, nella successiva circolare n. 7/E/2013 l’Agenzia delle Entrate ha “corretto il tiro”, precisando che:

  • il requisito della commercialità potrebbe considerarsi sussistente già nella fase di start-up nel caso in cui la società partecipata, dopo aver ultimato le fasi preparatorie ed essersi così dotata di un apparato organizzativo autonomo, inizi a svolgere l’attività per la quale è stata costituita;
  • con specifico riferimento alle imprese operanti nel settore energetico, l’esercizio di un’impresa commerciale si configura già nel momento in cui sono poste in essere alcune attività, attinenti alla fase di start-up, che, in astratto, potrebbero considerarsi di natura prodromica allo svolgimento dell’attività “tipica” dell’impresa. Si legge, in particolare, nella predetta circolare che:

 “il complesso delle attività concernenti le operazioni di finanziamento, di ricerca dei siti, di progettazione e realizzazione degli impianti, non ha natura meramente preparatoria ma integra immediatamente la realizzazione, seppur parziale, dell’oggetto sociale dell’impresa” e, quindi, “per tali soggetti l’esercizio di impresa commerciale deve ritenersi sussistente già a partire dall’avvio del complesso delle attività in esame.

Orbene, conformemente a quanto chiarito nella predetta circolare, nella risposta a interpello n. 833/2021, oggetto del presente contributo l’Agenzia delle Entrate, ha ribadito che per le società operanti nel settore della produzione di energia l’esercizio d’impresa commerciale deve ritenersi sussistente già dall’avvio del complesso delle attività nella fase di start-up determinando, di conseguenza, un generale effetto di “trascinamento all’indietro” del suddetto requisito. Nello specifico:

[…] nell’ipotesi di società partecipate che operano nel settore della produzione di energia, la cui attività tipica è necessariamente preceduta da una serie di attività preliminari astrattamente riconducibili alla fase di start-up quali, a titolo esemplificativo, la ricerca dei siti ove ubicare gli impianti, l’ottenimento dei permessi/autorizzazioni, la progettazione e la costruzione degli impianti medesimi, la stessa Circolare 7/E ha chiarito che nell’ambito dei procedimenti autorizzativi per la costruzione e l’esercizio di infrastrutture energetiche dichiarate di interesse pubblico o di pubblica utilità sulla base della normativa di settore, il complesso delle attività concernenti le operazioni di finanziamento, di ricerca dei siti, di progettazione e realizzazione degli impianti non ha natura meramente preparatoria, ma integra immediatamente la realizzazione, seppur parziale, dell’oggetto sociale dell’impresa”.

Con tale risposta a interpello, l’Agenzia assume dunque posizioni molto più vicine alla razionalità fattuale dell’impresa in fase di start-up identificando come momento iniziale della commercialità tutti quegli atti e quelle attività che, seppur astrattamente riconducibili alla fase di start-up, siano diretti a costituire, definire e rendere operativa la struttura aziendale, comprese quelle attività correlate a studi preparatori, all’ottenimento di permessi, licenze o autorizzazioni, all’addestramento del personale e all’ottenimento delle risorse finanziarie. Ed infatti, l’attività tipica delle società che operano nel settore della produzione di energia risulta inevitabilmente preceduta da una serie di attività preliminari che risultano necessarie allo svolgimento della attività d’impresa, integrando immediatamente il requisito di commercialità richiesto ai fini del regime p.ex.

In questa prospettiva, l’A.F. ha altresì affermato che:

Il requisito della commercialità ricorre, altresì, nel caso in cui l’impresa disponga della capacità – anche solo potenziale – di soddisfare la domanda del mercato nei tempi tecnici di norma previsti, da individuarsi in relazione alle specificità dei settori economici di appartenenza.

Non è ostativo al riconoscimento di un’impresa commerciale, inoltre, il fatto che l’impresa generi ricavi a distanza di anni dalla sua costituzione, circostanza che in alcuni settori può essere del tutto fisiologica, giacché il conseguimento di ricavi costituisce un indicatore utile ma non essenziale ai fini della verifica”.

Il descritto orientamento interpretativo dell’Agenzia delle Entrate, a ben vedere, risulta del tutto coerente con quella che è la littera legis dell’art. 87, co. 1, lett. d), del TUIR il quale dispone che, ai fini dell’applicazione del regime p.ex., la società eserciti “un’impresa commerciale secondo la definizione di cui all’articolo 55” dello stesso TUIR.

Il risultato di tale esplicito rinvio è stato quello di far coincidere il concetto di “impresa commerciale” cui si riferisce la normativa ai fini p.ex. con quello concepito ai fini fiscali dal predetto articolo 55 del TUIR, laddove l’impresa commerciale coincide con le attività che danno luogo a reddito d’impresa.

E’ ben noto, tuttavia, che ai fini tributari il concetto di esercizio d’impresa fa riferimento all’“esercizio per professione abituale ancorché non esclusiva” delle attività a prescindere dalla ricorrenza del requisito dell’«organizzazione» che rappresenta, invece, carattere qualificante e imprescindibile per la definizione d’impresa commerciale ai fini civilistici (art. 2082 c.c.).

Ebbene, nonostante la littera legis del combinato disposto degli articoli 87 e 55 del TUIR sia limpida e inequivocabile l’Agenzia delle Entrate, con la citata circolare n. 7/E/2013, ha all’uopo interpretato in maniera estensiva il requisito della commercialità richiedendo anche la sussistenza di un’idonea organizzazione aziendale.

“il criterio formale di qualifica del reddito di cui al citato articolo 55 costituisce condizione necessaria ma non sufficiente ad individuare il requisito della commercialità, che va definito sulla base di un criterio sostanziale, secondo il quale non tutti i redditi prodotti nell’esercizio d’impresa sono riferibili ad un’attività commerciale nel senso richiesto dalla disciplina in esame (…).In tale contesto, si è in presenza di “un’impresa commerciale” ai fini pex nell’ipotesi in cui la società partecipata risulti dotata di una struttura operativa idonea alla produzione e/o alla commercializzazione di beni o servizi potenzialmente produttivi di ricavi”.

Ed invece, anche durante la fase di organizzazione dei fattori produttivi necessari allo svolgimento della propria attività, può manifestarsi, sebbene in chiave prospettica, una capacità di produrre reddito che potrebbe essere economicamente apprezzabile e suscettibile di essere monetizzata attraverso la cessione delle partecipazioni della società. Del resto, il passaggio dalla fase start-up alla piena operatività si svolge gradualmente, senza interruzioni, e dunque, senza che sia possibile individuare una precisa soluzione di continuità tra i due momenti.

D’altronde, ragioni di ordine sistematico indurrebbero a ritenere che escludere “a priori” il riconoscimento del requisito della commercialità alle imprese in fase di start-up risulterebbe del tutto incompatibile con la ratio dello stesso art. 87 del TUIR.

Il legislatore, infatti, con la previsione del requisito della commercialità ha inteso evitare che attraverso la circolazione di partecipazioni potessero essere dissimulate plusvalenze su titoli (in regime di esenzione) in luogo di plusvalenze sui beni che sarebbero tassate solo in occasione della loro cessione diretta.

Si tratta, nelle intenzioni dello stesso, di un chiaro correttivo a situazioni in cui la società non esercita né un’attività d’impresa né un’attività di mero godimento, ma semplicemente gestisce, mediante atti di disposizione a favore di terzi, i cespiti materiali o immateriali di proprietà. Non a caso, infatti, l’Agenzia si era espressa in termini negativi ai fini del riconoscimento del requisito della commercialità con riferimento alle società immobiliari (vedi sul punto la citata risoluzione n. 323/E/2007) che non avevano ancora completato i lavori necessari a rendere gli immobili strumentali allo svolgimento della relativa attività d’impresa.

Tuttavia, suddetto orientamento non può in alcun modo essere applicato con riferimento a società – come nel caso oggetto d’interpello in commento – il cui patrimonio non è prevalentemente costituito da beni di mero godimento, destinati a circolare per mezzo della cessione della partecipazione della società che li detiene, quanto piuttosto da veri e propri asset necessari allo svolgimento dell’attività d’impresa, vale a dire la produzione di energia.

Pertanto, l’eventuale maggior valore delle partecipazioni detenute in una società di start-up non discenderebbe dalla valutazione dei cespiti di propria proprietà quanto, piuttosto, dalla loro capacità reddituale prospettica, tale da integrare sin da subito il requisito della commercialità ai fini p.ex.

Diversamente ragionando, si giungerebbe alla paradossale conclusione – contraria alla ratio legis – che per poter accedere al regime p.ex. la società partecipata deve risultare operativa (e non già “impresa commerciale” come legislativamente disposto) da almeno un triennio.

[1] Sul punto, si veda anche la risposta alla interrogazione parlamentare 29 luglio 2009, n. 5-01695 dell’On. Fugatti: “Disciplina tributaria applicabile alle plusvalenze da cessioni di partecipazioni in società in fase di start up”. Analogo principio è stato espresso anche nella risoluzione 18 agosto 2009, n. 226/E, in cui è stato ulteriormente precisato che “nel contesto dell’art. 87 del TUIR il criterio formale di qualifica del reddito perde importanza, a favore di un criterio sostanziale, visto che non tutti i redditi conseguiti da soggetti passivi IRES si considerano prodotti nell’esercizio di un’attività commerciale”.

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