Il rimborso che il dipendente percepisce da parte del proprio datore di lavoro per le spese di acquisto di energia elettrica finalizzata alla ricarica dell’autoveicolo elettrico o ibrido aziendale assegnato in uso promiscuo, nonché per le spese eventualmente sostenute per l’installazione delle infrastrutture (wallbox, colonnine di ricarica e contatore defalco) presso la propria abitazione, non rientra nel novero dei c.d. “fringe benefit” di cui all’art. 51 comma 4 lettera a) del TUIR[1], ma rappresenta reddito di lavoro dipendente da assoggettare a tassazione.

Questo l’importante chiarimento fornito dall’Agenzia delle Entrate nella risposta ad interpello n. 421 dello scorso 25 agosto 2023 con la quale l’Amministrazione è tornata ad occuparsi della coesistenza tra sostenibilità ambientale e imposizione fiscale, esprimendosi con una certa rigidità interpretativa nonostante ben più elastiche riposte fornite nel corso degli ultimi anni e di cui si dirà a breve[2].

Ma andiamo con ordine.

Nel caso in esame, la società istante rappresenta di disporre di una flotta aziendale di circa 230 autovetture assegnate in uso promiscuo ai dipendenti, con addebito del ”fringe benefit” in busta paga.

Al fine di sensibilizzare i dipendenti al ricorso alla mobilità elettrica, la Società sta rinnovando il parco auto attraverso l’inserimento di automezzi a trazione integralmente elettrica o ibrida, ed intenderebbe riconoscere ai dipendenti il rimborso delle spese per l’energia elettrica sostenute per la ricarica effettuata presso la propria abitazione.

La società chiarisce, poi, che

non sarà previsto un importo massimo di rimborso al dipendente a cui è stata concessa l’auto ibrida o elettrica ad uso promiscuo; la spesa rimborsabile sarà determinata sulla base del prezzo medio comunicato da ARERA e dei consumi effettivi: al dipendente saranno fornite due tessere (una per esigenze di lavoro e una per esigenze private) mediante le quali l’azienda potrà monitorare e distinguere i chilometri percorsi per esigenze di lavoro e per esigenze private, oltre che i rispettivi consumi energetici per le ricariche effettuate; il rimborso avverrà pertanto sulla base dei KM percorsi per esigenze di servizio; solo per talune categorie di dipendenti (i.e. dirigenti), il rimborso sarà per l’intera ricarica senza distinzione tra uso privato e per esigenze lavorative». Inoltre, relativamente al contratto relativo al servizio di energia elettrica, la Società chiarisce che «sarà stipulato dal dipendente con il gestore da lui scelto; la società si farà carico dei costi relativi all’eventuale upgrade dei KW richiesti per l’adeguamento dell’utenza domestica all’esigenza di ricarica dell’auto aziendale”.

L’Istante rappresenta inoltre che

il dipendente assegnatario dell’auto ad uso promiscuo dovrà dotarsi di apposito ”wallbox” (dispositivi per la ricarica domestica delle auto elettriche e ibride plugin), in grado di contabilizzare univocamente il prelievo di energia destinato al veicolo oppure dovrà fornire e documentare mensilmente la lettura di un contatore a defalco installato prima del punto di prelievo dell’utenza domestica.”

Il costo dell’installazione delle colonnine e di manutenzione ordinaria (incluso il canone di noleggio wallbox), non compreso nel canone di noleggio dell’auto, sarà a carico dell’azienda.

In ragione di ciò, l’istante ha chiesto all’Agenzia se i rimborsi debbano essere assoggettati a tassazione quale reddito di lavoro dipendente o se gli stessi possano essere ricondotti nella categoria di cui all’articolo 51, comma 4, lettera a), del TUIR quali “fringe benefit”.

Nella soluzione interpretativa prospettata, la società qualifica le spese, da quantificare con criteri oggettivi, sostenute dal dipendente per la ricarica elettrica del veicolo assegnato presso la propria utenza domestica come anticipazione per conto del datore di lavoro e, per l’effetto, escluse da imposizione fiscale ai sensi del predetto art. 51, comma 4 lettera a), del TUIR.

Parimenti, ad avviso della stessa, andrebbero esclusi da tassazione anche gli oneri sostenuti dagli assegnatari per il costo delle infrastrutture.

La risposta dei tecnici delle Entrate si concentra innanzitutto nel definire la portata dell’art. 51 del TUIR, assunta a base giuridica delle proprie conclusioni, chiarendo come il co. 1 del medesimo sancisca il c.d. “principio di onnicomprensività” del reddito di lavoro dipendente, in base al quale “sia gli emolumenti in denaro sia i valori corrispondenti ai beni, ai servizi ed alle opere ”offerti” dal datore di lavoro ai propri dipendenti costituiscono redditi imponibili e, in quanto tali, concorrono alla determinazione del reddito di lavoro dipendente”.

Il successivo co. 3 dispone poi che ai fini della determinazione in denaro dei valori di cui al comma 1, si applicano le disposizioni relative alla determinazione del valore normale dei beni e dei servizi contenute nell’articolo 9 del medesimo TUIR il quale, come chiarito dalla circolare del Ministero delle Finanze 23 dicembre 1997, n. 326 (al par. 2.3), rappresenta il criterio generale di valutazione dei beni ceduti e dei servizi prestati al dipendente.

L’Agenzia ricorda inoltre che lo stesso art. 51 prevede una serie di deroghe al principio di onnicomprensività, elencando le componenti reddituali che non concorrono a formare la base imponibile o vi concorrono solo in parte.

Fatta tale premessa di fondo, la risposta si impernia dunque sul dettato del co. 4, lett. a) dell’articolo in questione, rilevando come la disposizione in esame nel definire il regime fiscale degli autoveicoli, motocicli e ciclomotori concessi in uso promiscuo ai dipendenti, preveda per gli stessi un criterio di determinazione forfetaria del quantum da assoggettare a tassazione (cfr. circolare n. 326 del 1997, paragrafi 2.3.2 e 2.3.2.1) in deroga al generale criterio di tassazione dei fringe benefit basato sul loro ”valore normale”.

A supporto della propria posizione, l’Agenzia ricorda come il legislatore, al fine di incentivare il ricorso all’utilizzo di veicoli meno inquinanti, con la legge di bilancio 2020 (L. 160/2019), ha previsto, ai fini dell’imponibilità, un valore forfetario del benefit più basso per i veicoli meno inquinanti, aumentando, invece, gradatamente la base imponibile del valore dei veicoli con emissioni di anidride carbonica superiori ai 160 g/km.

Con riferimento ai veicoli ad uso promiscuo, nella C.M. n. 326/1997 è stato chiarito che la determinazione del valore imponibile sulla base del totale del costo di percorrenza esposto nelle tabelle ACI costituisce una determinazione dell’importo da assoggettare a tassazione del tutto forfetaria, che prescinde da qualunque valutazione degli effettivi costi di utilizzo del mezzo e anche dalla percorrenza che il dipendente effettua realmente. È del tutto irrilevante, quindi, che il dipendente sostenga a proprio carico tutti o taluni degli elementi che sono nella base di commisurazione del costo di percorrenza fissato dall’ACI.

Nel medesimo documento di prassi è stato altresì chiarito che il datore di lavoro, oltre a concedere la possibilità di utilizzare il veicolo in modo promiscuo, può fornire, gratuitamente o meno, altri beni o servizi (es. l’immobile per custodire il veicolo), che andranno separatamente valutati al fine di stabilire l’importo da assoggettare a tassazione in capo al dipendente.

Alla luce di quanto riportato, l’Agenzia giunge dunque alle proprie conclusioni.

In relazione innanzitutto all’installazione delle infrastrutture (wallbox, colonnine di ricarica e contatore a defalco) effettuata presso l’abitazione del dipendente, la stessa ritiene che “rientri tra i beni che vanno separatamente valutati al fine di stabilire l’importo da assoggettare a tassazione in capo al dipendente e, pertanto, da assoggettare a tassazione come reddito di lavoro dipendente.”

Con riferimento poi al rimborso delle spese sostenute dal dipendente per la ricarica elettrica del veicolo assegnato presso la propria utenza domestica, lo stesso viene qualificato dall’Agenzia come un rimborso spese sostenuto dal lavoratore da assoggettare a tassazione quale reddito di lavoro dipendente, non rappresentando detto rimborso, ad avviso dell’Amministrazione, rimborso di spese anticipate dal dipendente nell’esclusivo interesse del datore di lavoro e non rientrando neppure nelle specifiche deroghe dei rimborsi analitici delle spese per trasferte[3].

Il consumo di energia, pertanto, non viene qualificato come un bene o servizio fornito dal datore di lavoro (c.d. fringe benefit).

Orbene, è evidente come la risposta in commento meriti alcune considerazioni.

Come noto, il legislatore non si occupa espressamente delle spese di acquisto di energia elettrica per autotrazione. Infatti, il trattamento fiscale delle auto aziendali viene definito con riferimento all’uso dei veicoli a motore a combustione per i quali, a differenza dei veicoli elettrici che vengono prevalentemente ricaricati presso l’abitazione privata dell’utilizzatore, l’acquisto dell’energia necessaria al loro funzionamento, cioè il carburante, viene normalmente sostenuto presso i distributori ed in nome dell’azienda.

Con l’introduzione nel mercato delle auto ibride e soprattutto elettriche il sistema ha subito, e sta subendo, una profonda trasformazione.

È proprio alla luce di tale contesto in continua e rapida evoluzione che la risposta in commento, che per la prima volta qualifica i rimborsi in questione come reddito di lavoro dipendente da assoggettare a tassazione, appare fornire  una soluzione probabilmente anacronistica e che, a causa della rigidità di interpretazione applicata, rischia di  rappresentare un disincentivo alla diffusione di veicoli elettrici e ibridi[4] e, in generale, alla tanto inseguita transizione energetica[5].

È bene ricordare infatti, come la stessa Agenzia con precedente risposta n. 329 del 10 giugno 2022 si sia mostrata attenta alle tematiche ambientali chiarendo che il servizio di ricarica dell’auto privata elettrica, offerto gratuitamente ai dipendenti dal datore di lavoro, può beneficiare del regime di esenzione IRPEF ex art. 51 comma 2 lett. f) del TUIR nell’ipotesi in cui tale servizio sia soggetto a dei limiti che ne impediscono un utilizzo abusivo e soddisfi altresì il requisito della finalità educativa di cui all’art. 100, co. 1 del TUIR[6].

Nel caso di specie l’istante era una holding mista che, da oltre 10 anni, investiva per aumentare l’efficienza energetica delle proprie aziende svolgendo anche un attento lavoro di informazione e sensibilizzazione sia interna che esterna all’azienda sulle tematiche della sostenibilità ambientale, effettuando altresì investimenti per aumentare l’efficienza energetica e rinnovando il parco auto aziendale con automezzi elettrici o ibridi.

Al riguardo, la società intendeva attuare una nuova iniziativa incentivando il ricorso alla mobilità elettrica dei propri dipendenti anche nell’ambito privato, riconoscendo 6 mesi di ricarica gratuita ai lavoratori che avessero acquistato auto elettriche entro un determinato periodo di tempo, utilizzando ove possibile l’energia elettrica prodotta dai propri impianti fotovoltaici o idroelettrici ovvero, in alternativa, laddove non praticabile, stipulando convenzioni con soggetti terzi fornitori delle ricariche.

In tale contesto l’Agenzia ha ravvisato una finalità di educazione ambientale perseguita dall’azienda: il servizio di ricarica delle auto elettriche, offerto gratuitamente ai dipendenti per 6 mesi, si inseriva infatti in un quadro di interventi portati avanti dal gruppo di cui faceva parte la società istante e aventi lo scopo di informare e sensibilizzare soggetti interni ed esterni al gruppo su specifiche tematiche legate alla sostenibilità, tra cui: educazione ambientale, consumo responsabile, promozione della sicurezza e della salute.

Alla luce di ciò, l’Amministrazione ha ritenuto che il servizio di ricarica gratuito offerto ai dipendenti potesse beneficiare del regime di esclusione dal reddito di lavoro dipendente nell’ipotesi in cui tale servizio fosse limitato in termini di importo e/o di KW totali di ricariche effettuabili (al fine di evitarne abusi) e avesse soddisfatto il requisito della finalità educativa previsto dall’art. 51 comma 2 lett. f) del TUIR.

Come già rilevato da attenti commentatori[7], l’Agenzia in tale occasione si è mostrata alquanto  innovativa e sensibile alla tematica ambientale, riconoscendo il valore di benefit all’iniziativa, seppur limitata nel tempo e con la predetta finalità educativa, in quanto ulteriore passo verso una transizione ecologica realizzata mediante una mobilità sostenibile, specifico obiettivo tra l’altro del Pnrr.

Ciò che infatti veniva valorizzato dall’Amministrazione con la risposta 329/2022, ai fini dell’imponibilità o meno del servizio, era l’elemento intenzionale e di obiettivo del servizio stesso rappresentato dall’educazione ambientale, piuttosto che l’elemento oggettivo o soggettivo del servizio.

Ebbene, appare evidente come la riposta 421/2023 in commento si sia mossa in direzione assolutamente diversa, dimostrando di ignorare un chiarimento che avrebbe potuto rappresentare un punto di svolta nel processo di transizione energetica e giungendo a stabilire una disparità di trattamento fiscale tra veicoli a combustione, per i quali il sostenimento diretto dei costi dei rifornimento da parte dell’azienda non crea alcuna materia imponibile per i dipendenti assegnatari, e i veicoli elettrici, a grave discapito dei secondi.

È ovvio che tale aspetto non è passato e non passerà sotto traccia, soprattutto per quelle aziende che avevano intenzione o avevano già cominciato un processo di elettrificazione del proprio parco macchine.

In conclusione, a parere di chi scrive, condividendo soluzioni già avanzate in dottrina[8], una soluzione per ovviare a tale differenza di tassazione, che rappresenta una fondamentale discriminante di cui molti fleet manager devono e dovranno tenere conto, potrebbe essere individuata nel demandare direttamente al dipendente l’acquisto di energia elettrica, riconoscendo poi in capo allo stesso un rimborso spese da parte del datore di lavoro sulla base dell’esatto consumo di energia cosi come puntualmente rilevato dalle wallbox e specificamente indicato nella bolletta del lavoratore.

Cosi facendo, si scongiurerebbe qualunque abuso o possibile arricchimento da parte del dipendente, attraverso un meccanismo di rimborso preciso di spese sostenute nell’esclusivo interesse del datore di lavoro.

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[1] Art. 51, TUIR

[2] Si veda Ceccato D., “Ricarica auto elettriche dei dipendenti: in quali casi i rimborsi spesa sono soggetti a tassazione, IPSOA, 13 settembre 2023.

[3] A tal riguardo, si veda Sirocchi S., Uso promiscuo, la ricarica dell’auto elettrica effettuata a casa è reddito tassabile, in Sole 24Ore Norme e Tributi Plus, 25 agosto 2023 il quale ricorda che “Tale impostazione è contraria a quanto sostenuto dalla Dre Lombardia che ha ricondotto i rimborsi di carburante delle auto date in uso promiscuo nell’alveo dell’articolo 51, comma 4, (Protocollo 93679 del 30 ottobre 2000). Peraltro, l’interpello fa sorgere il dubbio sul trattamento fiscale della spesa di ricarica se sostenuta direttamente dal datore di lavoro: in quanto elemento alla base di commisurazione del costo chilometrico fissato dall’Aci, la stessa non dovrebbe essere imponibile”.

[4] Si veda Sirocchi S., Auto elettrica con ricarica domestica esentasse se il costo è dettagliato, in Sole 24Ore Norme e Tributi Plus, 2 novembre 2023

[5] In tal senso, Guarnerio G., Tassabile in capo al dipendente il rimborso delle spese di ricarica per le auto aziendali elettriche?, in Il Fisco, 2023, fasc. 44, pp. 4151-4155

[6] Cfr. ris. n. 34/2004, circ. n. 28/2016 e ris. n. 55/2020

[7] Si veda Magnani M., Auto elettriche dei dipendenti, la ricarica entra nel welfare aziendale, in Sole 24Ore Norme e Tributi Plus, 10 giugno 2022 e Valsiglio C., Auto elettriche, cosi la ricarica ai dipendenti può essere esente dall’Irpef, in Sole 24Ore Norme e Tributi Plus, 21 luglio 2022

[8] Cfr. Sirocchi S., Auto elettrica con ricarica domestica esentasse se il costo è dettagliato, in Sole 24Ore Norme e Tributi Plus, 2 novembre 2023

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