Le “Comunità Energetiche Rinnovabili” di cui all’art. 31, d. lgs. n. 199/2021, oltre che alla loro normativa settoriale[1], sono soggette alla disciplina generale delle accise prevista dal d. lgs. n. 504/1995 (di seguito, Testo Unico Accise, o “TUA”).

Le CER sono soggetti giuridici autonomi, suscettibili di assumere diverse forme giuridiche, che possono produrre energia “utilizzata prioritariamente per l’autoconsumo istantaneo in sito ovvero per la condivisione con i membri della comunità secondo le modalità di cui alla lettera c), mentre l’energia eventualmente eccedentaria può essere accumulata e venduta anche tramite accordi di compravendita di energia elettrica rinnovabile, direttamente o mediante aggregazione” (cfr. art. 31, comma 1, lett. b, d. lgs. n. 199/2021).

In base alla richiamata lettera c) del predetto art. 31, comma 1, lett. b, d. lgs. n. 199/2021, la condivisione tra i membri della comunità avviene “utilizzano la rete di distribuzione per condividere l’energia prodotta, anche ricorrendo a impianti di stoccaggio”.

Premesso che in base all’art. 52 TUA l’accisa sull’energia elettrica (salvo le ipotesi di esclusione e di esenzione) è dovuta in relazione alla sua fornitura al consumatore finale oppure in relazione al consumo dell’energia prodotta per uso proprio, al fine di definire il quadro impositivo e amministrativo in materia di accise occorre esaminare le attività della CER, sia sul lato della produzione/approvvigionamento dell’energia elettrica, sia su quello della sua successiva destinazione.

Si consideri quindi che la CER può disporre di energia elettrica:

  • Perché la produce da sé, in un impianto proprio;
  • Perché la produce in un impianto altrui, ma di cui ha la disponibilità e il controllo;

La CER può poi

  • Immettere l’energia elettrica nella rete nazionale (tale energia si considererà condivisa con i membri, per la corrispondente quantità che questi ultimi trarranno dalla rete);
  • Utilizzarla per scopi propri (es. scopi ausiliari di centrale);
  • Fornirla ad un membro/socio della CER mediante un collegamento diretto, senza passare dalla rete (tale caso, che pare teorico o comunque residuale, non pare riconducibile alla figura della “condivisione”: cfr. lo Studio del CNN n. 38-2024, E. Cusa, pag. 9),

La Circolare 12/D del 12 luglio 2014, resa in tema di “Sistemi di efficienza energetica” e in linea di principio applicabile anche al caso di specie, ricorda che: “Con il termine “titolare dell’impianto di produzione” si intende il produttore, cioè il soggetto responsabile della gestione dell’impianto per la produzione di energia elettrica e, in quanto tale, titolare della licenza fiscale di esercizio dell’officina elettrica di produzione, e non il proprietario degli asset di produzione”. Va altresì ricordato che, in genere, il proprietario di un impianto di produzione di energia elettrica è anche il proprietario della medesima energia elettrica prodotta[2].

Orbene, una CER può sicuramente essere proprietaria di un impianto di produzione di energia elettrica azionata da fonti di energia rinnovabile

  • di potenza uguale o inferiore ai 20kW, nel qual caso vi è esclusione da accisa e dai relativi adempimenti, compresa la licenza d’esercizio);
  • di potenza superiore ai 20 kW, nel qual caso potrà o meno esservi sottoposizione ad accisa in ragione della destinazione dell’energia elettrica, e un diverso regime di adempimenti amministrativi in ragione dell’assetto dell’attività in concreto svolto.

In particolare l’energia elettrica prodotta dalla CER, se ceduta interamente alla rete (c.d. cessione in blocco), non è soggetta ad accisa perché non si verificano le ipotesi di fornitura al cliente finale e di autoconsumo di cui all’art. 52, comma 1 TUA. Dal punto di vista amministrativo, con la cessione in blocco dell’energia prodotta la CER non rientra nel campo applicativo dell’art. 53, TUA, ma nel più semplice regime dell’art. 53 bis TUA: è quindi tenuta a (i) comunicazione di inizio attività; (ii) dichiarazione annuale dei consumi con indicazione dell’energia prodotta e di quella immessa nella rete; (iii) dotarsi di codice ditta.

Per completezza, occorre rammentare che una CER, come ogni esercente di un impianto di produzione, in genere consuma una certa quantità di energia, se non altro per i c.d. “scopi ausiliari”. Questi ultimi, che consistono nell’uso di energia elettrica per produrre o mantenere la capacità produttiva, sono esenti ex art. 52, comma 3, lett. a) TUA. Tuttavia, anche in caso di esenzione, il produttore che utilizza per gli scopi propri l’energia che ha prodotto dovrebbe rientrare tra i soggetti obbligati di cui all’art. 53 comma 1, e come tale essere tenuto agli adempimenti dei commi 4 e ss. del medesimo art. 53 (denuncia preventiva, acquisizione di licenza o autorizzazione, dichiarazione annuale di consumo, ecc.).

Tuttavia, nella prassi applicativa, quando l’energia utilizzata per scopi ausiliari è di misura risibile (ossia la quantità ceduta alla rete è quasi identica a quella prodotta), si tende a ignorare il fenomeno dell’autoconsumo, e la CER dovrebbe essere considerata un “soggetto non obbligato”, tenuto ai soli adempimenti previsti dall’art. 53 bis TUA.

Se invece la CER, in toto o in parte, fornisce fisicamente e direttamente energia elettrica ad uno o più dei propri membri o soci (ossia, mediante una linea connessione tra i destinatari e il proprio impianto produttivo, senza passare per la rete nazionale) che la utilizzano per scopi propri, si realizza una ipotesi di “fornitura ai consumatori finali” ex art. 52, comma 1, TUA. La CER dovrà quindi fatturare l’energia elettrica venduta e assoggettarla ad accisa, e sarà altresì tenuta come “soggetto obbligato” agli adempimenti dell’art. 53, commi 4 e ss. TUA.

Tutto quanto si è sino ad ora illustrato con riferimento al caso in cui la CER è proprietaria e titolare dell’impianto di produzione rinnovabile, vale certamente anche per il caso in cui l’impianto sia di proprietà altrui ma la CER ne abbia la gestione in forza di un contratto, come – ad esempio – di affitto (tanto è vero che la licenza di esercizio dell’impianto, se prevista, dovrebbe essere intestata all’affittuario).

Ma non solo.

È anche ipotizzabile il caso in cui la CER non ha né la proprietà né la gestione dell’officina, che rimane gestita dal titolare dell’impianto (e della licenza di esercizio, se superiore ai 20 kW), sebbene la CER ne abbia la “disponibilità e il controllo” secondo la previsione dell’art. 31, comma 2, lett. a), d. lgs. n. 199/2021. La disponibilità giuridica dell’officina non pare infatti implicare necessariamente la sua gestione, che può rimanere in capo al terzo. Non c’è dubbio che l’energia prodotta dal terzo con impianto nella disponibilità e controllo della CER sia da considerare “autoprodotta” dalla CER ai fini della condivisione e dei relativi incentivi. Inoltre, se si può ritenere che l’energia elettrica prodotta dall’impianto del terzo appartenga ab origine alla CER in ragione del contratto che gli attribuisce la disponibilità e il controllo dell’impianto, in modo simile alla previsione del contratto di tolling, si ricade nuovamente in una situazione identica a quella sopradetta in cui è la CER a produrre con impianto proprio.

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[1] Ci si riferisce, in particolare, al d. lgs. 8 novembre 2021, n. 199 (rubricato “Attuazione della direttiva (UE) 2018/2001 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 dicembre 2018, sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili”), al Decreto del MASE n. 414 del 6 dicembre 2023, e alle “Regole operative” relative a detto decreto.

[2] In realtà, taluni assetti contrattuali possono portare a una scissione tra la figura del proprietario degli impianti e dell’energia: nel contratto di tolling il toller consegna propri prodotti energetici combustibili al titolare e proprietario di un’officina elettrica, affinché li converta attraverso un processo industriale in energia elettrica; si ritiene che l’energia elettrica ottenuta sia ab origine in proprietà  del toller

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