28/02/2020

Ancora una volta, il TAR Lazio torna a dubitare della legittimità della disciplina nota come “Spalma Incentivi”, ossia delle disposizioni di legge che, nel 2014, nello stabilire nuove modalità di erogazione delle tariffe incentivanti dell’energia elettrica prodotta da impianti fotovoltaici, hanno modificato unilateralmente, in peius, le condizioni contrattuali in essere con i soggetti già ammessi ai benefici di legge.

Si tratta, in particolare, dell’annosa questione relativa alla novella introdotta con l’art. 26 del d.l. n. 91/2014, conv. in legge n. 116/2014, già sottoposta dallo stesso TAR Lazio al sindacato della Corte Costituzionale e, da quest’ultima, ritenuta infondata con la sentenza n. 16/2017.

Con la citata sentenza, la Consulta ha escluso, infatti, che tali norme abbiano inciso all’interno dei rapporti di durata, riconducibili alle convenzioni stipulate dai fruitori degli incentivi con il GSE, in modo irragionevole, arbitrario ed imprevedibile, così da ledere – come denunciato dagli operatori – il principio di legittimo affidamento, per come configurato anche dal diritto europeo.

In particolare, la Corte ha ritenuto legittima la rimodulazione degli incentivi attivata dalla disposizione de qua, in quanto operazione che, da un lato, rispondeva

«ad un interesse pubblico, in termini di equo bilanciamento degli opposti interessi in gioco, volto a coniugare la politica di supporto alla produzione di energia da fonte rinnovabile con la maggiore sostenibilità dei costi correlativi a carico degli utenti finali dell’energia elettrica»

e che, dall’altro, non trovava ostacolo nella necessaria tutela dell’affidamento riposto da un «operatore economico prudente e accorto»,

«risultando la stessa anzi, in qualche modo, preannunciata e finalizzata proprio ad assicurare la “stabilità” presa in considerazione dalle leggi istitutive degli incentivi al fotovoltaico, come caratteristica dell’intero sistema e non del singolo incentivo; oltre a costituire (nel quadro di un mercato “regolato” di settore, come quello di cui si discute) un elemento fisiologicamente riconducibile al rischio normativo di impresa».

Nonostante la chiara ed articolata motivazione della suddetta sentenza, tuttavia il Giudice amministrativo ha ritenuto irrisolti alcuni profili, continuando a dubitare della compatibilità delle suddette previsioni nazionali con il diritto europeo.

Sicché, da ultimo con l’ordinanza n. 1659 del 7 febbraio 2020, il TAR Lazio – ponendosi nel solco di recenti ed identici rinvii pregiudiziali – ha nuovamente rimesso la questione dinanzi alla Corte di Lussemburgo.

Per il giudice rimettente, occorre infatti chiarire, una volta per tutte, se sia consentito al legislatore nazionale – a seguito di una diversa e sopravvenuta valutazione degli interessi in gioco – di intervenire su situazioni già consolidate, in forza di convenzioni stipulate tra la parte pubblica e l’operatore, e in assenza di circostanze eccezionali che lo giustifichino.

In tale prospettiva, il citato art. 26 d.l. n. 91/2014 – con la prevista rimodulazione retroattiva, in peius, delle condizioni e delle modalità per ottenere il pagamento degli incentivi – rischierebbe di porsi in contrasto non soltanto con alcuni principi generali dell’ordinamento dell’Unione europea, tra cui quelli del legittimo affidamento e della certezza del diritto, ma anche con gli articoli 16 (libertà d’impresa) e 17 (diritto di proprietà) della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, nonché con il diritto europeo derivato, ovvero con le direttive adottate al fine di armonizzare le normative nazionali relative alla produzione di energia da fonti rinnovabili, nell’ottica del progressivo sviluppo di una politica energetica comune e maggiormente integrata.

In sintesi, il TAR ritiene che la disposizione in questione,

incidendo in senso sensibilmente peggiorativo sui regimi di sostegno in atto, che dovrebbero essere caratterizzati da stabilità e costanza, non solo colpisce economicamente gli investitori, ma rischia di recare pregiudizio agli obiettivi di politica energetica della direttiva 2009/28/CE, frustrandone l’effetto utile e compromettendo il risultato prescritto dalla direttiva stessa”.

Cosicché, sono stati sottoposti alla Corte di giustizia UE, ex art. 267 TFUE, i seguenti quesiti:

“Se il diritto dell’Unione europea osti all’applicazione di una disposizione nazionale, come quella di cui all’art. 26, commi 2 e 3, del d.l. n. 91/2014, come convertito dalla legge 116/2014, che riduce ovvero ritarda in modo significativo la corresponsione degli incentivi già concessi per legge e definiti in base ad apposite convenzioni sottoscritte dai produttori di energia elettrica da conversione fotovoltaica con il Gestore dei servizi energetici s.p.a., società pubblica a tal funzione preposta;

in particolare, se tale disposizione nazionale sia compatibile con i principi generali del diritto dell’Unione europea di legittimo affidamento, di certezza del diritto, di leale collaborazione ed effetto utile; con gli artt. 16 e 17 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea; con la direttiva n. 2009/28/CE e con la disciplina dei regimi di sostegno ivi prevista; con l’art. 216, par. 2, TFUE, in particolare in rapporto al Trattato sulla Carta europea dell’energia”.

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