28/05/2020

Con l’ordinanza n. 2454 del 4 febbraio 2020, la Cassazione ha ribadito il principio di diritto secondo cui il soggetto passivo del debito doganale è soltanto l’importatore, mentre lo spedizioniere, pur essendo dalla legge chiamato in solido al pagamento del debito tributario, opera in qualità di suo mandatario. Pertanto, l’importatore-proprietario delle merci non ha diritto di rivalsa o regresso con surrogazione nei confronti di quest’ultimo.

La vicenda oggetto della pronuncia in esame può essere brevemente riassunta come segue.

Una società, mandante in un contratto di spedizione, presentava domanda di insinuazione al passivo fallimentare dello spedizioniere doganale, chiedendo che il proprio credito fosse ammesso in via privilegiata. Adduceva, a fondamento di tale istanza, di aver corrisposto allo spedizioniere (poi fallito) le somme costituenti la provvista per il pagamento dei tributi dovuti all’Agenzia delle Dogane. Lo spedizioniere, tuttavia, dopo essersi avvalso della facoltà – prevista dagli artt. 78 e 79 del Testo Unico Doganale (d.p.r. n. 43/1973) – di differire il pagamento dei tributi, a seguito della stipulazione di polizze fideiussorie a garanzia del credito, non versava gli importi dovuti. L’Agenzia, pertanto, escuteva le somme dovute dalle compagnie assicurative, le quali si surrogavano nella posizione creditoria erariale (ex artt. 1949 e 1950 c.c.) nei confronti dell’importatore, proprietario delle merci.

A seguito della dichiarazione di fallimento dello spedizioniere, il credito dell’importatore per le somme versate a titolo di provvista veniva ammesso al passivo come credito chirografario, sul rilievo che lo spedizioniere è un mero mandatario dei proprietari delle merci importate. Lo spedizioniere, infatti, benché assuma l’obbligo di pagare quanto dovuto dall’importatore a titolo di diritti doganali, non acquista la qualità di soggetto passivo del rapporto tributario e, quindi, dell’obbligazione garantita, risultando a tal proposito irrilevante la circostanza che i tributi siano rimasti insoddisfatti a causa dell’inadempimento del mandatario.

La tesi trovava conferma anche in sede di opposizione allo stato passivo ai sensi dell’art. 98 della Legge Fallimentare. Il Giudice del gravame, rigettando l’opposizione, precisava ulteriormente che la condotta dello spedizioniere interferisce non sul debito di imposta, bensì sul rapporto interno di questi con l’importatore e che l’art. 1203 n. 3 (disciplinante la surrogazione legale a vantaggio di colui che, “essendo tenuto con altri o per altri al pagamento del debito, aveva interesse a soddisfarlo”) non potrebbe, in ogni caso, trovare applicazione al caso di specie. Ciò in quanto il soggetto che ha estinto l’obbligazione tributaria (l’importatore), non è un soggetto terzo ma è il soggetto passivo del rapporto tributario e, pertanto, non ha diritto di ripetere quanto versato.

La Suprema Corte, chiamata a pronunciarsi sull’opposizione proposta dal mandante, ha confermato la tesi dei primi Giudici, che si inserisce perfettamente nel solco dell’orientamento consolidatosi (in verità, ormai da lungo tempo) in sede di legittimità.

Aderendo al richiamato indirizzo (cristallizzatosi a partire dalle sentenze, pronunciate a Sezioni Unite, nn. 499 e 500 del 1993[1], e recentemente ribadito da Cass. n. 19362/2017), gli ermellini richiamano il principio secondo cui soggetto passivo dell’obbligazione doganale è solo l’importatore, mentre lo spedizioniere, una volta ottenuta dal primo la provvista, deve unicamente provvedere al pagamento del debito doganale.

Infatti, rileva il Collegio, lo spedizioniere non è tenuto “con altri” al pagamento, ma “per altri”, con la conseguenza che risulta debitore non di un debito (anche) proprio, ma di un’obbligazione assunta nell’esclusivo interesse di un altro soggetto. Il mandatario, pertanto,

“non è un condebitore dell’importatore, ma solo un soggetto legittimato passivo al pagamento del debito doganale”.

Una simile fattispecie, del resto, è tutt’altro che sconosciuta al nostro ordinamento: basti pensare, ad esempio, alla posizione rivestita dal fideiussore nei confronti del creditore garantito.

Così come il fideiussore, lo spedizioniere che paga il debito dell’importatore (obbligato principale) ha diritto di regresso, con surroga, nei suoi confronti. Viceversa, per lo stesso ordine di motivi sin qui evidenziati, l’importatore che paga i dazi dovuti in dogana, in quanto soggetto passivo del rapporto tributario, non ha il diritto di ripetere le somme versate agendo in regresso. Né, tantomeno, può surrogarsi nella posizione creditoria – assistita da privilegio –del garante[2].

Il che è confermato, afferma la Corte, dalla stessa lettera dell’art. 1298 c.c.,

“là dove fa intendere in modo chiaro che – se l’obbligazione è contratta nell’interesse esclusivo di uno solo dei soggetti tenuti in solido al pagamento e se è stato quest’ultimo a pagare il creditore non vi è luogo per nessun regresso e rivalsa …”.

Giungendo verso la conclusione del suo ragionamento, il Collegio rammenta infine che, a norma dell’art. 1719 c.c., il mandante, salvo patto contrario, è tenuto a fornire al mandatario i mezzi necessari per l’esecuzione del contratto.

Ebbene, nel caso di specie l’importatore aveva fornito al mandatario in bonis la provvista per assolvere i tributi doganali, provvista indebitamente trattenuta dallo spedizioniere, dal momento che il debito era stato estinto dalle compagnie assicurative.

Pertanto, la società mandante ha diritto di insinuarsi nel passivo fallimentare al fine di ripetere quanto versato, ma tale insinuazione non rinviene il suo titolo nell’aver pagato i creditori che agivano in surroga (i.e. le compagnie assicurative), bensì in una diversa tipologia di azione, e, precisamente, l’azione di ripetizione di indebito oggettivo, circostanza che legittima l’iscrizione del relativo credito al chirografo.

La tesi del ricorrente non può, dunque, trovare accoglimento, anche in ragione del fatto che la surrogazione – secondo l’interpretazione dell’istituto offerta dalla Suprema Corte[3] – non ha natura circolatoria come ritenuto, erroneamente, dal ricorrente, il quale la equiparava ad una cessione del credito.

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[1] Con la sentenza n. 499/1993, la Corte ha infatti chiarito che la legge doganale individua, …, il soggetto passivo primario della medesima obbligazione [doganale] nel proprietario della merce … (art. 38, primo comma) e dichiara altresì solidamente obbligato al pagamento dell’imposta dovuta colui per conto del quale la merce è importata (ancora art. 38, primo comma). Peraltro, …, la normativa in esame, prescindendo dalla nozione civilistica di “proprietario”, considera tale, a determinati suoi effetti, …, anche il detentore della merce all’entrata nel territorio doganale, il quale compia in nome proprio la dichiarazione di definitiva importazione, realizzando il presupposto oggettivo dell’imposta.” Tuttavia, prosegue la Corte, “tale fictio iuris non è in grado, comunque, di scalfire il principio secondo cui il proprietario (reale) della merce assume e conserva in ogni caso la veste di soggetto passivo del tributo, sia che effettui personalmente la dichiarazione, o che questa venga effettuata da altri per lui, e sia che la sua qualità di proprietario non risulti dalla dichiarazione medesima …”.
[2] L’azione di surroga svolta dal garante nei confronti dell’importatore, infatti, è un’azione che fonda le proprie radici sia nel codice civile che nella legge doganale, la quale riconosce la solidarietà passiva nel debito daziario tra importatore e dichiarante doganale (sia nazionale, ex art. 39, d.p.r. 43/1973, sia comunitaria, ex art. 77 CDU) e permette al soggetto garante, che assolva il debito tributario, di succedere nella posizione della Dogana, acquisendone il credito verso i coobbligati con tutte le caratteristiche originarie.
[3] cfr. Cass. n. 30621/2019.

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