La Suprema Corte di Cassazione torna ad occuparsi della cumulabilità fra indennità di mora e sanzione amministrativa da omesso versamento d’imposta in materia di accise: l’ennesimo capitolo di una questione ancora controversa oppure la definitiva soluzione ad un contrasto giurisprudenziale radicato nel tempo?

Con la sentenza n. 19338 del 16 giugno 2022, il giudice di legittimità – intervenendo nuovamente su un tema assai dibattuto – ha riconosciuto la natura risarcitoria dell’indennità di mora di cui all’art. 3, comma 4, D.lgs. 26 ottobre 1995, n. 504, concludendo quindi per la sua legittima cumulabilità rispetto alla sanzione da omesso versamento d’imposta prevista dall’art. 13, commi 1 e 3, D.lgs. 18 dicembre 1997, n. 471.
13/09/2022

La Suprema Corte di Cassazione – attraverso l’articolata sentenza n. 19338 del 16 giugno 2022  si è nuovamente occupata della questione riguardante la cumulabilità fra l’indennità di mora di cui all’art. 3, comma 4, D.lgs. 26 ottobre 1995, n. 504 (il “TUA”) – da un lato – e la sanzione amministrativa da omesso versamento d’imposta prevista dall’art. 13, commi 1 e 3, D.lgs. 18 dicembre 1997, n. 471 (il “Dlgs 471”), dall’altro; in tale sede, la Corte ha ritenuto di poter aderire all’orientamento di legittimità più risalente e, quindi, alla tesi che esclude la natura sanzionatoria dell’indennità di mora, postulando in ultima istanza la legittima cumulabilità di detta misura rispetto alla sanzione amministrativa stabilita in via generale dal citato art. 13 Dlgs 471.

Ora, prima di soffermarsi sulle conclusioni raggiunte dalla Corte nella pronuncia in commento, giova effettuare qualche breve cenno in ordine al contesto in cui si è sorta la questione in esame.

Nel caso di omesso o tardivo versamento delle accise da parte del contribuente, risponde ad una diffusa prassi amministrativa l’applicazione cumulativa – in sede di accertamento – tanto dell’indennità di mora di cui all’art. 3, comma 4, TUA quanto della sanzione amministrativa da omesso versamento d’imposta prevista dall’art. 13, commi 1 e 3, Dlgs 471; la prima risulta essere pari al 6 per cento delle accise non tempestivamente versate (2 per cento se il pagamento avviene entro il termine di 5 giorni dalla scadenza di legge) mentre, come è noto, la seconda viene irrogata in misura pari al 30 per cento del tributo. Da questa impostazione accertativa è quindi disceso un regime particolarmente punitivo, asseritamente valevole per il solo settore delle accise: regime punitivo che ha comportato l’obbligo per il contribuente di corrispondere – oltre, naturalmente, al quantum d’imposta dovuto e ai relativi interessi moratori – un importo pari al 36 per cento del tributo non tempestivamente assolto, laddove – ben diversamente – detto importo, nel caso di tutte le altre imposte, risulta determinato nella minore misura del 30 per cento.

Tale predicato rettificativo ha sollevato plurime osservazioni critiche, in primis da parte della dottrina di settore che ha invece postulato – a fronte del mancato versamento delle accise regolarmente dichiarate dal contribuente – l’irrogazione della sola indennità di mora; ciò in ragione della natura sanzionatoria di detta misura, come tale destinata a prevalere sulla fattispecie generale di cui all’art. 13 Dlgs 471 in virtù del principio di specialità dettato dall’art. 9 Legge 24 novembre 1981, n. 689, a mente del quale “[…]Quando uno stesso fatto è punito da una disposizione penale e da una disposizione che prevede una sanzione amministrativa, ovvero da una pluralità di disposizioni che prevedono sanzioni amministrative, si applica la disposizione speciale”.

Ne è così derivato un rilevante contenzioso in ordine alla possibilità di cumulare, in sede accertativa, la sanzione generale prevista dall’ordinamento per l’omesso versamento d’imposta con l’indennità di mora. Contenzioso incentrato sulla natura giuridica di detta ultima misura: risarcitoria e pertanto sottratta all’applicazione del predetto principio di specialità, secondo l’Amministrazione finanziaria; sanzionatoria e quindi, come tale, destinata ad essere irrogata in via esclusiva, nella ricostruzione postulata dai contribuenti.

La Suprema Corte di Cassazione, chiamata ad esprimersi sul punto, ha assunto nel tempo posizioni fra loro contrastanti.

Un primo orientamento di legittimità, risalente all’anno 2008 (così nella sentenza n. 23517 del 12 settembre 2008), ha riconosciuto la legittimità dell’irrogazione cumulativa predicata dagli enti accertatori; la Corte giungeva ad una tale conclusione invocando una presunta diversità in ordine alla funzione svolta dalle due misure in discorso, “afflittiva” nel caso della sanzione di cui al Dlgs 471 e “reintegrativa” del patrimonio dell’Erario nell’ipotesi dell’indennità di cui al TUA. In quest’ottica, l’indennità di mora è stata considerata quale “[…]un accessorio naturale e necessario del tributo che non esclude quindi l’applicabilità della sanzione”.

Successivamente, la Corte è tuttavia tornata sui propri passi, optando per un revirement a partire dalla più recente sentenza n. 30034 del 21 novembre 2018. Tale pronuncia – che ha inaugurato un secondo orientamento di legittimità – ha difatti escluso la cumulabilità fra la sanzione di cui all’art. 13 Dlgs 471 e l’indennità di mora ex art. 3, comma 4, TUA, in ragione proprio della natura prettamente sanzionatoria attribuibile a quest’ultima misura. Detto riconoscimento si è fondato sulle seguenti, dirimenti, considerazioni: (i) la misura fissa e predeterminata dell’indennità di mora, in alcun modo ricollegata – nella sua concreta determinazione – all’entità del ritardo occorso in sede di versamento delle accise e, quindi, all’effettivo danno subito dall’Erario; (ii) la previsione – nell’ambito del citato art. 3, comma 4, TUA – dell’applicazione, in aggiunta all’indennità di mora, degli interessi compensativi (questi sì avente natura risarcitoria) per il ritardato versamento delle accise;  (iii) l’inserimento dell’indennità di mora all’interno di uno schema normativo di progressiva coercizione destinato a concludersi con la misura dell’inibizione, per il contribuente che omette o ritarda il versamento delle accise, dalla facoltà di estrarre altri prodotti dal deposito fiscale. In ragione delle predette caratteristiche dell’indennità di mora, la Corte – superando il proprio precedente orientamento – riconosceva così la natura afflittiva di tale misura e, quindi, l’illegittimità dell’applicazione cumulativa con la sanzione di cui all’art. 13 Dlgs 471.

L’orientamento di legittimità favorevole alle ragioni dei contribuenti si consolidava nel tempo, trovando molteplici conferme nelle successive occasioni in cui la Corte veniva interessata della questione (così, ad esempio, nell’ordinanza n. 1969 del 24 gennaio 2019).

Su questo quadro – apparentemente definito – si è venuta ad innestare la sentenza qui in commento. Sentenza che, giova evidenziarlo, è stata resa nell’ambito di un procedimento che ha visto la Corte rinviare in un primo tempo la causa ivi sub judice a nuovo ruolo, “[…]per acquisire relazione dell’Ufficio del Massimario” sullo stato della giurisprudenza di legittimità formatasi su tale materia.

Ebbene, attraverso la sentenza n. 19338 del 16 giugno 2022, la Corte – con un indubbio coup de théâtre – ha sconfessato l’orientamento fino ad allora consolidato, restituendo vigore a quel più risalente insegnamento di legittimità che sembrava essere oramai definitivamente superato. Ne è così discesa la riaffermazione del carattere risarcitorio dell’indennità di mora prevista dall’art. 3, comma 4, TUA e, in ultima istanza, la sua legittima cumulabilità con la sanzione amministrativa di cui all’art. 13 Dlgs 471.

Per giungere ad una tale conclusione, la Corte di Cassazione ha valorizzato – in particolare – la collocazione sistematica del citato art. 3 all’interno del TUA, da una parte, nonché il contenuto degli interventi normativi recentemente succedutisi in subiecta materia, dall’altra.

Con riferimento al primo aspetto, la Corte ha rilevato come la norma de qua sia stata inserita all’interno del TUA in un contesto “generale” – ovverosia quello relativo ai termini e alle modalità di pagamento delle accise – del tutto autonomo rispetto alla disciplina sanzionatoria, la quale, invece, ha trovato collocazione in una sezione “specifica” del TUA stesso. Da qui, secondo la Corte, se ne dovrebbe desumere che “[…]il legislatore delegato ha inteso operare una evidente distinzione logico-sistematica tra le misure conseguenti al tardivo pagamento dell’accisa (interessi ed indennità di mora) e quelle specificamente sanzionatorie, configurando una differenziazione concettuale tra funzione riparatorie e risarcitoria delle prime rispetto a quella afflittiva delle seconde”.

Anche il contenuto dei successivi provvedimenti normativi intervenuti sul punto, ad avviso del giudice di legittimità, confermerebbe la diversità di funzione fra l’indennità di mora e la sanzione amministrativa per omesso versamento d’imposta. In particolare, la Corte si è soffermata sul comma 4-bis dell’art. 3 TUA, il quale stabilisce le conseguenze dell’omesso versamento delle accise nell’ipotesi in cui il contribuente abbia in precedenza avuto accesso ad un piano di pagamento dilazionato (possibilità introdotta nell’anno 2016): tale norma, in questo caso, prevede espressamente l’obbligo per il contribuente di corrispondere sia l’indennità di mora che la sanzione amministrativa di cui al Dlgs 471, con ciò escludendo – in radice – ogni possibile incompatibilità fra dette misure. Nello stesso senso, sempre secondo la Corte, deporrebbe anche il tenore del successivo art. 131 D.L. n. 32/2020, con cui – in via eccezionale – sono stati differiti i termini per il versamento delle accise relative ai prodotti immessi in consumo nel mese di marzo 2020, dal momento che il Legislatore ha escluso l’obbligo per il contribuente che si avvale del termine differito di versare le sanzioni “e” l’indennità di mora.

Infine, la Corte ha valorizzato la misura ridotta degli interessi di mora previsti dall’art. 3, comma 4, TUA, al fine di negare loro una finalità risarcitoria rispetto al danno patito dall’Erario a fronte dell’omesso versamento delle accise; diversamente, gli stessi rappresenterebbero solamente il “costo minimo” dovuto per l’illegittima fruizione – da parte del contribuente – di un termine più ampio per l’adempimento degli obblighi di pagamento d’imposta.  La finalità risarcitoria, secondo la Corte, sarebbe invece assolta proprio dall’indennità di mora.

Sulla base di queste considerazioni, la Corte ha quindi “recuperato” il più risalente insegnamento di cui alla precedente sentenza n. 23517 del 12 settembre 2008, postulando per tale via la legittima cumulabilità fra l’indennità di mora di cui all’art. 3, comma 4, TUA e la sanzione amministrativa da omesso versamento d’imposta prevista dall’art. 13, commi 1 e 3, Dlgs 471.

Queste le conclusioni rassegnate nella sentenza n. 19338/2022 in commento.

Tanto doverosamente riportato, chi scrive non può tuttavia esimersi dal rilevare come una tale pronuncia – seppur particolarmente autorevole, ancor di più in virtù delle vicende processuali che ne hanno anticipato la pubblicazione (i.e., acquisizione della relazione dell’Ufficio del Massimario) – presenti tuttavia alcuni aspetti di criticità.

Innanzitutto la Corte sembra non aver affrontato adeguatamente – limitandosi a talune brevi considerazioni, in una certa misura peraltro financo apodittiche – la questione riguardante il potenziale trattamento discriminatorio avvallato alla luce delle conclusioni ivi raggiunte: e difatti, per tale via, nel solo settore delle accise il contribuente moroso si troverebbe costretto a versare un importo pari al 36 per cento del tributo non tempestivamente assolto, in luogo del 30 per cento ordinariamente previsto dall’ordinamento. Una discriminazione, questa, che non appare giustificata da alcuna diversità in ordine al grado di disvalore attribuibile alla medesima condotta omissiva, per il solo fatto che a mutare sarebbe l’imposta non regolarmente versata.

Inoltre, va altresì rilevato come la soluzione raggiunta dalla Suprema Corte possa compromettere la coerenza fra il sistema interno e l’ordinamento comunitario. Come è infatti ben noto, la Corte di Giustizia UE è stata più volte chiamata a valutare la compatibilità – rispetto alla disciplina comunitaria – delle sanzioni elevate dalle Autorità nazionali a fronte dell’irregolare adempimento, da parte dei contribuenti, degli obblighi tributari. Ebbene, in tale contesto, il Giudice comunitario ha fermamente ribadito la cogenza del principio di proporzionalità, a cui deve essere ispirata ogni misura interna – anche di natura sanzionatoria – idonea a produrre effetti con riferimento all’ordinamento eurounitario. Si legge, a tale proposito, nella recentissima sentenza del 15 aprile 2021 – resa nella causa C-935/19 (Grupa Warzywna) – come gli Stati membri, in sede di determinazione della sanzione amministrativa applicabile in ambito tributario, risultino pur sempre “[…]tenuti ad esercitare la loro competenza nel rispetto del diritto dell’Unione e dei suoi principi generali e, di conseguenza, nel rispetto del principio di proporzionalità (v. sentenza del 26 aprile 2017, Farkas, C‑564/15, EU:C:2017:302, punto 59 e giurisprudenza ivi citata). Pertanto, siffatte sanzioni non devono eccedere quanto necessario al fine di garantire l’esatta riscossione dell’imposta e di evitare la frode. Al fine di valutare se una sanzione sia conforme al principio di proporzionalità, occorre tener conto, in particolare, della natura e della gravità dell’infrazione che detta sanzione mira a reprimere, nonché delle modalità di determinazione dell’importo della sanzione stessa (sentenza del 26 aprile 2017, Farkas, C‑564/15, EU:C:2017:302, punto 60)”. Ciò posto, muovendo dall’approccio sostanzialista tipicamente proprio del Giudice comunitario, potrebbe quindi profilarsi un’ingiustificata sproporzione – nell’accezione eurounitaria – rispetto ad una misura, in ultima istanza afflittiva, pari al 36 per cento dell’imposta regolarmente dichiarata dal contribuente, seppur successivamente non versata dal medesimo nei termini di legge. Il tutto, peraltro, nell’ambito di una materia – ovverosia quella delle accise – oggetto di armonizzazione a livello comunitario.

Tali ultime considerazioni inducono quindi a non ritenere necessariamente chiusa la questione afferente la cumulabilità fra l’indennità di mora e la sanzione amministrativa per omesso versamento d’imposta, specialmente in assenza di un (auspicabile) intervento chiarificatore da parte delle Sezioni Unite; sarà quindi interessante osservare i prossimi pronunciamenti della Corte su questa materia, al fine di comprendere se davvero il giudice di legittimità abbia inteso ritornare definitivamente alle proprie origini, disconoscendo i pur significativi contrari approdi raggiunti più di recente.

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