28/12/2020

Con la sentenza del 2 dicembre 2020, n. 258, la Corte Costituzionale si è pronunciata sulla legittimità di alcuni articoli della legge della Regione Puglia 23 luglio 2019, n. 34, recante “Norme in materia di promozione dell’utilizzo di idrogeno e disposizioni concernenti il rinnovo degli impianti esistenti di produzione di energia elettrica da fonte eolica e per la conversione fotovoltaica della fonte solare e disposizioni urgenti in materia edilizia”, in riferimento agli art. 117, co. 2, lett. s) e 117, co. 3, della Costituzione.

La legge reg. Puglia n. 34 del 2019, in particolare, muove dall’obiettivo di valorizzare l’idrogeno come combustibile alternativo alle fonti fossili e di favorire l’ammodernamento degli impianti eolici e fotovoltaici, semplificando le procedure per gli interventi di potenziamento o di rifacimento degli stessi. Proprio nel solco di tale obiettivo, dunque, si inseriscono le disposizioni oggetto della sentenza della Corte.

Anzitutto, la Corte ha vagliato la legittimità dell’art. 3 della legge regionale avente ad oggetto il Piano regionale dell’idrogeno (PRI), nella parte in cui ne omette di esplicitare l’assoggettabilità al procedimento di VAS.

Come noto, la valutazione ambientale strategica (VAS) costituisce un procedimento amministrativo, previsto e disciplinato dal codice dell’ambiente, diretto ad accertare la compatibilità dei piani e dei programmi che possono avere impatti significativi sull’ambiente, tra i quali rientra senza dubbio il PRI.

La suindicata disposizione, seppur priva di un espresso richiamo alla procedura di VAS, è stata ritenuta legittima dalla Corte Costituzionale. Invero, la Corte ha ritenuto che

“ove non esclusa, l’applicazione della disciplina statale sulla protezione ambientale oper(i) senz’altro e a prescindere da disposizioni regionali che specificatamente la richiamino”.

In secondo luogo, la Corte si è pronunciata sulla legittimità dell’art. 10 rubricato “Valutazione preliminare dei potenziali impatti ambientali”, in riferimento alla disciplina statale sulla Valutazione di Impatto Ambientale (VIA) che, come affermato più volte dalla stessa Corte, rientra nella competenza statale esclusiva di cui all’art. 117, co.2, lett. s) della Costituzione.

Con l’art. 10, il legislatore regionale ha inserito alcune ipotesi di esclusione di assoggettabilità a VIA, in base a specifici criteri individuati nella medesima disposizione, con ciò, dunque, esorbitando dai margini di intervento rimessi alla competenza Regionale. Pertanto, la Corte ha dichiarato illegittima tale previsione, argomentando che:

“la ricerca del punto di equilibrio tra l’esigenza di semplificare le procedure per esercitare impianti alimentati da fonti di energia rinnovabili e la tutela dell’ambiente in cui essi si trovano è un compito dello Stato. Non spetta, dunque, alle Regioni decidere quali siano le condizioni che determinano l’esecuzione dalle verifiche d’impatto ambientale”.

Da ultimo, la Corte si è pronunciata sulle disposizioni regionali aventi ad oggetto le procedure per l’abilitazione all’esercizio di impianti da fonti rinnovabili, di cui agli articoli 11 e 12.

La prima delle citate disposizioni disciplina il regime abilitativo delle modifiche – sostanziali e non – degli impianti esistenti. Nello specifico, l’art. 11 prevede che le modifiche dell’impianto che non amplino la dimensione degli apparecchi, delle strutture e della superficie occupata, vadano considerate non sostanziali e, dunque, vengano assentite con procedura abilitativa semplificata (PAS). Al comma 4, però, precisa che le modifiche non sostanziali degli impianti assentiti con procedure semplificate non possono sottoporsi alla PAS se, come effetto dell’intervento, si ottiene un impianto di potenza superiore a 1 MW.  La questione sottoposta alla Corte, dunque, mira a valutare la legittimità di una siffatta previsione regionale che, limitando l’utilizzo della PAS, potrebbe determinare l’applicazione di procedure più gravose di quelle previste dalla legge statale.

In realtà, la Corte ha dichiarato legittimo l’art. 11 ritenendo che la previsione del ricorso ad AU non contrasti con la normativa nazionale costituendo, piuttosto, una disposizione con finalità antielusiva. Già in altre occasioni, la Corte ha infatti dichiarato

“la questione non fondata una volta accertato che «si tratta chiaramente di una norma antielusiva, volta a impedire surrettizi “frazionamenti” degli impianti, finalizzati a rendere possibile l’autorizzazione semplificata (basata sul silenzio-assenso) in luogo dell’autorizzazione unica, con conseguente esclusione della valutazione di compatibilità ambientale» (sentenza n. 86 del 2019; così anche sentenza n. 286 del 2019)”.

L’art. 12, infine, concerne il rinnovo del titolo abilitativo all’esercizio degli impianti eolici e fotovoltaici. Secondo parte ricorrente, la questione di legittimità origina dalla considerazione che l’art. 12 imporrebbe delle condizioni per ottenere il suindicato rinnovo che la legislazione statale non prevede. Accogliendo tale impostazione, la Corte ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 12 evidenziando che

“il compito della semplificazione delle procedure riguardanti i titoli abilitativi in questa materia non spetta al legislatore regionale, come questa Corte ha affermato più volte. È infatti lo Stato che, in attuazione della normativa europea, ha il compito di dettare norme ispirate «alle regole della semplificazione amministrativa e della celerità» (sentenza n. 106 del 2020), al fine di favorire gli investimenti nel settore”.

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