28/12/2020

Con la sentenza n. 22342 del 15 ottobre 2020, la Corte di Cassazione, sezione tributaria, ha riconosciuto che, nell’ipotesi di contestazione di evasione di accise relative al consumo di energia, l’applicazione della sanzione di cui all’art. 59, comma 1, lett. c), d.lgs. 504/1995 (TUA), prevista per i casi in cui si accerti l’evasione (o la tentata evasione) dell’imposta mediante compilazione infedele della relativa dichiarazione, esclude l’operatività dell’art. 13, comma 1, d.lgs. 471/1997 in quanto tale ultima disposizione, operando sul presupposto che la dichiarazione sia veritiera o che siano presenti meri errori materiali o di calcolo, deve ritenersi idonea a sanzionare solamente la condotta di colui che, pur avendo presentato una dichiarazione corretta, non provveda, in tutto o in parte, ad effettuare i versamenti dovuti.

 

La fattispecie in esame trae origine dall’emissione, da parte dell’Agenzia delle Dogane, di un atto di irrogazione delle sanzioni ex art. 13, comma 1, d.lgs. n. 471/1997 per l’omesso versamento delle maggiori accise accertate a carico della contribuente.

A seguito dell’instaurazione del giudizio avverso il predetto atto, mentre la CTP ha rilevato l’incompatibilità della sanzione irrogata ai sensi dell’art. 13, comma 1, d.lgs. 471/1997, con quella più grave ed assorbente di cui all’art. 59, comma 1, lett. c), d.lgs. n. 504/1995 (TUA), già comminata alla ricorrente in ragione della parziale evasione del tributo connessa all’illegittima fruizione dell’esenzione di cui all’art. 52, comma 2, lett. o-bis), TUA, la CTR, in totale riforma del decisum di primo grado, ha riconosciuto la piena legittimità dell’atto impugnato in ragione del fatto che le due sanzioni colpiscono violazioni che, anche sotto il profilo giuridico, devono ritenersi distinte.

 

In annullamento della sentenza di gravame, recuperando in parte le argomentazioni già spese dalla Commissione di primo grado, la Suprema Corte ha accolto il ricorso con cui la contribuente ha fatto valere l’incompatibilità tra la sanzione per omesso versamento dell’imposta di cui all’art. 13, comma 1, d.lgs. 471/1997 e quella per infedele compilazione della relativa dichiarazione prevista dall’art. 59, comma 1, lett. c), d.lgs. n. 504/995 (TUA).

 

In particolare, muovendo dal presupposto per cui le due sanzioni comminate alla contribuente nel caso di specie sono volte a punire due comportamenti omissivi diversi – i quali consistono, nell’ipotesi dettata dall’art. 59, comma 1, cit., nell’evasione dell’imposta mediante la compilazione infedele della dichiarazione relativa all’effettivo consumo di energia e, rispetto alla previsione di cui all’art. 13, comma 1, cit., nella mancata effettuazione, in tutto o in parte, entro le prescritte scadenze, dei versamenti dell’imposta dichiarata -, gli Ermellini hanno osservato, in particolare, che:

una volta che sia stata accertata e contestata al contribuente l’evasione (o la tentata evasione) dell’imposta, determinata dalla sua infedele dichiarazione, e che gli sia stata pertanto irrogata la ben più grave sanzione di cui al TUA, art. 59, non residua più alcuno spazio per contestargli anche l’omesso pagamento dell’imposta ai sensi del D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 13, comma 1, il quale postula che la dichiarazione del contribuente sia stata veritiera o, comunque, affetta da meri, involontari, errori materiali o di calcolo e che dunque l’evasione non vi sia stata (o non sia stata tentata).

A supporto della propria lettura, la Suprema Corte ha aggiunto, inoltre, che:

“… D’altronde, sul piano logico, la nozione di evasione implica, di per sé stessa, l’omesso versamento dell’imposta, già represso con la più grave sanzione prevista qualora si sia in presenza, per l’appunto, di un caso di infedele dichiarazione e non di mero mancato o ritardato pagamento del tributo correttamente dichiarato come dovuto.”

Ad abundantiam, è stato ancora rilevato che:

… la stessa Agenzia delle Entrate, nell’appendice alle Istruzioni di compilazione del Modello Unico SC degli ultimi dieci anni dedicata alle sanzioni amministrative, ha evidenziato come la sanzione prevista dal richiamato D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 13, non si applichi nelle ipotesi di omessa od infedele dichiarazione.

Orbene, le statuizioni così riassunte offrono l’occasione per sviluppare alcune brevi considerazioni in ordine al rapporto intercorrente tra le norme sanzionatorie invocate dall’Agenzia delle Dogane nel caso di specie e, più in dettaglio, alla possibile applicabilità dell’art. 13, comma 1, d.lgs. 471/1997 laddove sia già stata irrogata la sanzione prevista ai sensi dell’art. 59, comma 1, lett. c), TUA; si badi bene che questi aspetti sono già stati oggetto di precedenti arresti della Suprema Corte nei quali, tuttavia, sono stati raggiunti approdi diametralmente opposti rispetto alle conclusioni del caso in esame.

 

Procedendo gradatamente, si rende opportuno chiarire, in primo luogo, il perimetro dell’una e dell’altra previsione, al fine di verificare l’eventuale sussistenza di elementi di raccordo in grado di determinare possibili sovrapposizioni nell’applicazione delle due disposizioni.

 

A questo riguardo, e per quanto di rilievo in questa sede, si osserva che la disposizione di cui all’art. 59, comma 1, lett. c), (TUA) prevede che

 

1. Indipendentemente dall’applicazione delle pene previste per i fatti costituenti reato, sono puniti con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma di denaro dal doppio al decuplo dell’imposta evasa o che si è tentato di evadere, non inferiore in ogni caso a 258 euro, i soggetti obbligati di cui all’articolo 53 che:

[…]

c) omettono o redigono in modo incompleto o inesatto le dichiarazioni di cui agli articoli 53, comma 8, e 55, comma 2, non tengono o tengono in modo irregolare le registrazioni di cui all’articolo 55, comma 7, ovvero non presentano i registri, i documenti e le bollette a norma dell’articolo 58, commi 3 e 4; […]”.

 

Come è agevole evincere dal dato normativo, tale disposizione è volta a punire coloro i quali commettono delle violazioni che, concretizzandosi nell’infedele compilazione della dichiarazione relative all’imposta connessa al consumo di energia – che viene quindi indicata in misura inferiore rispetto a quella effettivamente dovuta -, comportano l’evasione, in tutto o in parte, dell’imposta da versare.

La condotta incriminata dalla norma in esame si verifica, quindi, nel momento accertativo poiché una incompleta, inesatta o omessa redazione della dichiarazione annuale di consumi non può che incidere, per l’appunto, sull’accertamento del tributo da versare.

In questa logica, l’ulteriore violazione consistente nell’omesso versamento della medesima imposta non costituisce altro che una inevitabile conseguenza dell’infedele dichiarazione in ordine al quantum effettivamente dovuto a titolo di accise.

 

Diversamente, ai sensi del comma 1 dell’art. 13, d.lgs. 471/1997, espressamente dedicato alle ipotesi di “ritardati od omessi versamenti diretti e altre violazioni in materia di compensazione”, viene stabilito che:

Chi non esegue, in tutto o in parte, alle prescritte scadenze, i versamenti in acconto, i versamenti periodici, il versamento a conguaglio o a saldo dell’imposta risultante dalla dichiarazione, detratto in questi casi l’ammontare dei versamenti periodici e in acconto, ancorché non effettuati, è soggetto a sanzione amministrativa pari al trenta per cento di ogni importo non versato, anche quando, a seguito della correzione di errori materiali o di calcolo, rilevati in sede di controllo annuale della dichiarazione, risulti una maggiore imposta o una minore eccedenza detraibile […]

Limitandoci all’analisi del presupposto oggettivo della richiamata previsione, avendo riguardo al tenore letterale, è possibile comprendere che il comportamento illecito che il legislatore intende sanzionare consiste, questa volta, nell’omesso versamento delle imposte dovute e attiene, quindi, alla fase di riscossione che interviene successivamente alla verifica e all’accertamento.

 

Orbene, secondo il ragionamento condotto dai Giudici di legittimità nel caso in esame, tale seconda disposizione non può trovare applicazione nelle ipotesi in cui la dichiarazione si ritiene veritiera; per completezza, si ricorda che tali sono i casi in cui non si registra alcuna violazione in sede di compilazione oppure sono ravvisabili unicamente errori materiali o di calcolo, inidonei a determinare l’evasione, anche tentata.

Ne deriva, quindi, che l’ambito di applicazione dell’art. 13, comma 1, cit. risulta limitato alle sole condotte relative al mancato versamento, nei termini stabiliti, delle imposte comunque correttamente indicate in dichiarazione.

 

Muovendo da tali premesse, è giocoforza concludere, secondo la Suprema Corte, che, laddove sia stata accertata la natura infedele della dichiarazione – natura infedele che, nel caso di specie, discende dall’illegittima fruizione di una norma di esenzione non spettante –, poiché deve certamente trovare applicazione l’apposita disciplina di dettaglio di cui all’art. 59, comma 1, cit., alcuno spazio può residuare per l’operatività della disposizione sanzionatoria prevista, in generale, dall’art. 13, comma 1, cit. per i casi di omesso versamento, sia esso totale o parziale.

E ciò, tanto più se si osserva che la sanzione prevista dall’art. 59, comma 1, cit. risulta certamente ben più grave di quella generale disposta dell’art. 13, comma 1, cit. e, quindi, in grado di attrarre nel proprio ambito di applicazione anche la violazione che, quale logica conseguenza, si estrinseca nell’omesso versamento dell’imposta evasa.

 

Come anticipato, con il precedente arresto n. 15202 del 4 giugno 2019, la sezione tributaria della Corte di legittimità si era già pronunciata in ordine alla cumulabilità delle sanzioni previste dalle disposizioni poc’anzi analizzate.

Tuttavia, sebbene il ragionamento condotto in detto precedente muova dal medesimo assunto per cui le due previsioni sanzionano condotte ontologicamente distinte, è proprio facendo leva sulla diversità del presupposto oggettivo delineato dalle predette norme che, in tale circostanza, la Corte ha riconosciuto la piena legittimità della loro simultanea applicazione, sottolineando che le stesse assolvono funzioni evidentemente differenti.

 

Più nel dettaglio, per meglio comprendere la ragioni sottese alle diverse conclusioni raggiunte nella richiamata sentenza n. 15202 del 2019 (condivise anche dalla più recente pronuncia n. 20825 del 30 settembre 2020), si ritiene utile evidenziare che, in detto precedente, interrogati sulla compatibilità dell’applicazione cumulativa delle disposizioni sanzionatorie in esame con i principi di proporzionalità, ragionevolezza e gradualità consolidati nella giurisprudenza comunitaria, gli Ermellini hanno chiarito che, trattandosi di

[…] sanzioni che hanno funzioni diverse, in quanto dirette a colpire condotte tra di loro diverse sia in termini di condotta materiale, sia in termini puramente cronologici […]”,

e tenendo conto che tale differenza è ravvisabile

[…] anche sotto il profilo dell’offensività in quanto la norma di cui al TUA, art. 59, comma 1, lett. c) è una norma di pericolo … laddove la norma di cui al d.lgs. n. 471 del 1997, art. 13, è una norma di danno […]”,

può definitivamente concludersi che

[…] l’applicazione cumulativa delle due norme suddette non contrasta con il principio di proporzionalità e ragionevolezza non sanzionando due volte la stesa condotta del contribuente.

Ebbene, posto che ambedue le pronunce intraprendono i loro iter logici muovendo dall’assunto per cui le previsioni sanzionatorie in esame devono ritenersi funzionali a punire condotte tra loro ben distinte, non può non rilevarsi come, mentre nel caso esaminato nel presente commento tale circostanza ha condotto i Giudici ad escludere che la sanzione generalmente prevista per l’omesso versamento possa trovare spazio a fronte di una compilazione infedele della dichiarazione già punita con l’art. 59, comma 1, cit., nel precedente richiamato, il diverso ambito di applicazione delle predette norme ha convinto la Suprema Corte a sostenere che le due sanzioni possano essere contestualmente irrogate.

 

In definitiva, sulla scorta delle considerazioni sinora svolte, pare opportuno osservare che il percorso argomentativo sviluppato dalla più recente pronuncia n. 22342 del 15 ottobre 2020 oggi in commento possa ritenersi di particolare pregio in quanto fornisce una chiave di lettura utile per tracciare la linea di confine tra le disposizioni dell’art. 59, comma 1, lett. c), TUA e dell’art. 13, comma 1, d.lgs. 471/1997 e tutelare, in tal maniera, il contribuente dall’assoggettamento ad un duplice regime sanzionatorio.

Ad ogni buon conto, stante l’esistenza di precedenti di segno opposto e la frequente emissione da parte dell’Agenzia delle Dogane di atti ex art. 13, comma 1, cit. a seguito di provvedimenti con cui sono già state comminate sanzioni ai sensi dell’art. 52, comma 1, lett. c), TUA, è verosimile attendersi che la questione esaminata possa essere oggetto di future pronunce aventi contenuti tra loro difformi.

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