Obbligato al pagamento delle accise nei confronti dell’Amministrazione doganale è unicamente il fornitore, rimanendo estraneo da tale rapporto il consumatore finale

al consumatore finale spetta, in caso di indebito, azione civilistica nei confronti del fornitore. Una legittimazione diretta nei confronti dell’Amministrazione finanziaria ha natura eccezionale ed è esperibile solo in casi specifici.
28/12/2020

La Suprema Corte di Cassazione con la recente ordinanza n. 24799 del 5 novembre 2020, confermativa di un orientamento giurisprudenziale ormai consolidato e anche già analizzato in un precedente contributo proprio su questo sito, torna a pronunciarsi sulla legittimazione del solo fornitore ad agire direttamente nei confronti dell’Amministrazione finanziaria per il rimborso dell’accisa indebitamente corrisposta.

Nello specifico, la vicenda trae origine da un ricorso proposto dalla società contribuente, acquirente di gas metano per la produzione di energia elettrica, avverso il silenzio rifiuto opposto dall’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli in relazione a due istanze di rimborso per accise sul gas indebitamente corrisposte.

I giudici di seconde cure accoglievano il suesposto ricorso proposto da parte della società cessionaria, riconoscendo, in capo a quest’ultima, la legittimazione attiva a chiedere il rimborso delle accise illegittimamente corrisposte.

 

La pronuncia in oggetto dà modo ai giudici di legittimità aditi dall’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, di affrontare, anche in questa occasione, il tema della legittimazione a presentare istanza di rimborso all’Amministrazione finanziaria e, in particolare, di svolgere un’analisi del rapporto tributario intercorrente tra fornitore, consumatore finale e la stessa Amministrazione doganale.

Secondo il Testo Unico delle accise (D.Lgs. 26 ottobre 1995, n. 504 – cd. TUA), art. 2, comma 1, per i prodotti sottoposti ad accisa, l’obbligazione tributaria sorge al momento della loro fabbricazione ovvero della loro importazione, ed obbligato al pagamento dell’accisa risulta essere il titolare del deposito fiscale dal quale avviene l’immissione al consumo e gli altri soggetti nei cui confronti si verificano i presupposti per l’esigibilità dell’imposta.

Gli obbligati al pagamento dell’accisa sul gas naturale sono, tra gli altri, “i soggetti che vendono direttamente il prodotto ai consumatori”.

Per di più, ai sensi dell’art. 16, comma 3, TUA, “i crediti vantati dai soggetti passivi dell’accisa verso i cessionari dei prodotti per i quali i soggetti stessi hanno assolto tale tributo possono essere addebitati a titolo di rivalsa”.

Dal combinato disposto di tali disposizioni legislative emerge chiaramente come il titolare dell’obbligazione tributaria di corrispondere l’accisa sia sempre il fabbricante, ovvero l’intermediario che immette i beni al consumo nel territorio dello Stato.

Tali considerazioni portano la Suprema Corte di Cassazione, con la pronuncia in oggetto, a ribadire un principio di diritto già affermato dalla Sezioni Unite, secondo cui: il rapporto tributario si svolge solo tra l’Amministrazione finanziaria ed i soggetti che forniscono direttamente il gas metano, rimanendo ad esso estraneo l’utente consumatore, sul quale il fornitore ha il diritto (e non l’obbligo) di esercitare la rivalsa.

Sulla base di tale impostazione, risulta evidente come l’eventuale diritto al rimborso dell’indebito (da esperire entro due anni dalla data del pagamento) spetti esclusivamente al soggetto passivo dell’imposta, ossia al fornitore.

I rapporti che vengono quindi a configurarsi tra fornitore ed Amministrazione finanziaria e tra fornitore e consumatore, sempre secondo i giudici di ultima istanza, si pongono su due piani differenti: il primo ha rilievo tributario, il secondo civilistico, senza che, tra fornitore e consumatore, si crei un rapporto di sostituzione dal momento che la rivalsa non è obbligatoria.

E difatti, aderendo a tale indirizzo è, quindi, possibile configurare un duplice rapporto: il primo tra Amministrazione doganale e fornitore del servizio, di evidente natura tributaria, con conseguente giurisdizione del giudice tributario, concernente il relativo pagamento dell’imposta; il secondo, intercorrente tra fornitore e consumatore, di natura extra tributaria, sicché eventuali contestazioni rientrerebbero nella giurisdizione del giudice ordinario, concernente il diritto di rivalsa.

È evidente che, pur essendo tali rapporti collegati, non interferiscono tra loro dal momento che soltanto il cedente (fornitore) ha il diritto di agire per il rimborso nei confronti dell’Amministrazione finanziaria, la quale, pertanto, essendo estranea al rapporto tra cedente e cessionario (consumatore finale), non può essere tenuta a rimborsare direttamente a quest’ultimo quanto dallo stesso versato in via di rivalsa.

 

Come anticipato quindi, e come si evince, sia pure indirettamente dalla formulazione dell’art. 14, comma 2, del TUA, il cessionario non è legittimato a chiedere il rimborso dell’imposta indebitamente traslata all’Agenzia delle Dogane, ma lo strumento principale a disposizione del consumatore per ottenere il rimborso delle somme indebitamente versate è costituito dall’instaurazione, nei confronti del fornitore, di un’azione civilistica di ripetizione dell’indebito di fronte al Tribunale civile competente per territorio.

Laddove ottenga una sentenza definitiva favorevole, il fornitore, da un lato è tenuto a corrispondere al consumatore le somme dovute maggiorate degli interessi, dall’altro, dalla data del passaggio in giudicato della sentenza a lui sfavorevole, dispone di un periodo di tempo molto limitato (novanta giorni) per chiedere il rimborso all’Amministrazione che, di fronte ad un giudicato definitivo, non può opporre alcuna resistenza né di carattere amministrativo né di carattere processuale.

È evidente come l’esercizio di tale azione ponga il consumatore in una posizione di vantaggio; egli, infatti, può fruire di un termine di prescrizione ordinario (10 anni) per l’azione civilistica di ripetizione dell’indebito, più ampio di quello di decadenza assegnato al fornitore per il rimborso.

Qualora l’azione di rimborso instaurata nei confronti del fornitore si riveli impossibile o eccessivamente difficile a causa della situazione in cui si trovi quest’ultimo (come accade, ad esempio, nell’ipotesi di fallimento del fornitore), è concesso al consumatore, in via straordinaria al verificarsi dei presupposti in precedenza richiamati, di rivolgersi direttamente all’Amministrazione finanziaria.

In quest’ultimo caso, data la natura eccezionale dell’azione, il cessionario è soggetto ad un rigoroso onere della prova in ordine alla sussistenza dei presupposti legittimanti la sua azione.

 

Conclusivamente, alla luce delle suesposte considerazioni, la Suprema Corte, con specifico riferimento alla materia delle accise, ha, quindi, affermato che:

1) obbligato al pagamento delle accise nei confronti dell’Amministrazione doganale è unicamente il fornitore;

2) il fornitore può addebitare integralmente le accise pagate al consumatore finale;

3) i rapporti tra fornitore e Amministrazione doganale e fornitore e consumatore finale sono autonomi e non interferiscono tra loro;

4) in ragione della menzionata autonomia, il consumatore finale, anche in caso di addebito del tributo da parte del fornitore, non ha diritto a chiedere direttamente all’Amministrazione finanziaria il rimborso delle accise indebitamente corrisposte;

5) il diritto al rimborso nei confronti dell’Amministrazione finanziaria spetta unicamente al fornitore;

6) nel caso di addebito delle accise al consumatore finale, quest’ultimo può esercitare l’azione civilistica di ripetizione di indebito direttamente nei confronti del fornitore, salvo chiedere il rimborso anche nei confronti dell’Amministrazione finanziaria allorquando, l’azione esperibile nei confronti del fornitore sia oltremodo gravosa (come accade, ad esempio, nell’ipotesi di fallimento del fornitore)”.

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