La Suprema Corte, con la sentenza depositata il 5 novembre 2020, n. 24728, ha ribadito e ulteriormente precisato l’indirizzo precedentemente espresso da Cass. n. 23226 del 23 ottobre 2020 (già commentata su in altro contributo su questo blog), stabilendo il principio secondo cui

«in tema di esenzione d’accisa per l’utilizzazione di carburante per la navigazione, il D.Lgs. n. 171 del 2005, art. 2, comma 1, lett. a), limitandosi a prevedere che “l’unità da diporto è utilizzata a fini commerciali: a) quando è oggetto di contratti di locazione e di noleggio”, va disapplicato perché in contrasto con l’art. 14, p. 1, lett. c), della Direttiva del Consiglio n. 2003/96/CE, dovendosi invece accertare, con onere della prova in capo al soggetto che invoca l’esenzione, che la navigazione da parte dell’utilizzatore implichi una prestazione di servizi a titolo oneroso».

La sentenza in esame ripercorre la disciplina e la giurisprudenza unionale, traendone la convinzione che la normativa italiana in tema di agevolazioni relative all’ accisa sul carburante utilizzato per le navi da diporto si presta a facili frodi ed abusi, ed è così palesemente in contrasto con le chiare previsioni comunitarie che non si rende nemmeno necessario chiedere in via incidentale un giudizio interpretativo ex art. 267 TFUE in ordine a queste ultime: l’art. 2, comma 1, lett. a), d. lgs. n. 171/2005 va semplicemente disapplicato.

In particolare, si ricorda che la disciplina comunitaria prevede la tassazione dei carburanti  ma anche (cfr. l’art. 14, p.1, lett. b) e c) della direttiva n. 2003/96/CE del 27 ottobre 2003, che ristruttura il quadro comunitario per la tassazione dei prodotti energetici e dell’elettricità) esenzioni o aliquote ridotte per i prodotti energetici forniti per essere utilizzati come carburante per la navigazione aerea e quella navale, ad esclusione di quella da diporto.

La regola generale vuole la tassazione del carburante: essa però trova eccezione nell’agevolazione di usi commerciali del medesimo (rectius,  per il caso di carburante impiegato nell’ambito di una attività di tipo commerciale): è  evidente la ratio legis di favorire lo sviluppo economico e le relazioni commerciali dei Paesi membri. Coerentemente, nel caso del “diporto” (che è sostanzialmente una attività non commerciale, almeno per il fruitore del servizio), si ritorna alla regola generale, che è di assoggettamento ad accisa del carburante. Nondimeno, quando l’unità navale da diporto è utilizzata per scopi commerciali, è nuovamente ammesso il regime agevolato. A tale ultimo riguardo, l’art. 2 D. lgs. n. 171 del 2005, stabilisce che:

“1. L’unità da diporto è utilizzata a fini commerciali quando:

a) è oggetto di contratti di locazione e di noleggio;

b) è utilizzata per l’insegnamento professionale della navigazione da diporto;

c) è utilizzata da centri di immersione e di addestramento subacqueo come unità di appoggio per i praticanti immersioni subacquee a scopo sportivo o ricreativo.”

Orbene, le attività sub b) e c) hanno una natura oggettivamente commerciale, e giustamente meritano l’agevolazione sul carburante. La previsione  sub a), tuttavia, come rileva la Suprema Corte, si presta ad abusi, dal momento che la ratio del sistema (che è di favorire le attività commerciali) può essere facilmente aggirata; al proposito, la Cassazione evidenzia a titolo di esempio che

“… il proprietario del bene può limitarsi a cedere a (o farla acquistare da) una società dal medesimo costituita e a lui riferibile (o da altro soggetto disponibile) per poi riottenerla, per il suo uso privato, con un contratto di noleggio, così fruendo del carburante in esenzione d’accisa per l’alimentazione dei motori e la navigazione”.

L’art. 2, comma 1, lett. a), cit., va quindi disapplicato laddove ricollega la destinazione commerciale dell’unità da diporto (a cui consegue il riconoscimento dell’esenzione d’accisa) alla mera stipula di un contratto di locazione o noleggio,  senza richiedere, invece, un accertamento sull’effettivo uso “commerciale” del natante da parte dell’utilizzatore.

Giova altresì notare che, nel caso esaminato dalla sentenza qui in commento, il soggetto accertato è stata una società italiana che forniva carburante a navi battenti bandiera extra-comunitaria, e che i giudici di merito (in primo ed in secondo grado) avevano annullato l’avviso di pagamento emesso dall’Amministrazione doganale per il motivo di violazione del principio di legittimo affidamento, e perché qualunque operazione di navigazione in acque unionali per scopi commerciali sarebbe esente da accise, senza esclusione delle imbarcazioni battenti bandiera extra UE.

La Cassazione, accogliendo il ricordo delle Dogane, ha taciuto del fatto che il legittimo affidamento, ex art. 10, l. n. 212/2000, può al più comportare la non debenza delle sanzioni, ma non elidere il diritto dell’Erario alla percezione del tributo; e non ha affrontato il tema della “bandiera-extra UE”. Essa ha infatti ritenuto preliminare ed assorbente (o, comunque, più “liquida”) la ragione della carenza di prova di commercialità della navigazione delle unità rifornite di carburante, alla luce del fatto che nel caso di specie andava certamente disapplicato l’art. 2, comma 1, lett. a), D. Lgs. n. 171/2005.  Poiché quest’ultima è una indagine di fatto rimessa al giudice del merito, la Suprema Corte ha quindi rinviato l’esame di tale circostanza ad altra sezione della Commissione tributaria regionale,

“dovendosi invece accertare, con onere della prova in capo al soggetto che invoca l’esenzione, che la navigazione da parte dell’utilizzatore implichi una prestazione di servizi a titolo oneroso”.

Riassumendo, per il riconoscimento dell’esenzione sul carburante occorre la prova dell’uso commerciale dell’unità rifornita,  il cui onere incombe sul richiedente e che in caso di lite con l’Amministrazione andrà verificata in concreto dal giudice di merito (fermo restando che detta prova, stante l’incompatibilità comunitaria dell’art. 2, comma 1, lett. a), D. Lgs. n. 171/2005 rilevata dalla Cassazione, non può più consistere nella mera conclusione di un contratto di noleggio). La Suprema Corte non giunge ad indicare in cosa possa o debba consistere la prova in questione: di fatto, è ragionevole ritenere, pro futuro, che i fornitori di carburante, cautelativamente,  applicheranno l’aliquota ordinaria salvo che l’acquirente fornisca una inequivoca ed oggettiva documentazione scritta dell’attività commerciale che va a svolgere mediante la specifica unità di volta in volta rifornita.

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