25/02/2021

Attraverso l’ordinanza n. 22892 del 21 ottobre 2020, la Corte di Cassazione ha stabilito che, in caso di distruzione o di perdita totale del prodotto in regime di sospensione dall’imposta, l’accisa non è dovuta, e ne è concesso il relativo abbuono, non solo quando il fatto sia stato causato da caso fortuito o da forza maggiore, ma, anche, qualora sia imputabile al contribuente a titolo di colpa, purché non di tipo grave.

La vicenda controversa sottoposta all’attenzione della Suprema Corte trae origine dall’impugnazione da parte di una Società vinicola dell’avviso di liquidazione con cui l’Agenzia delle Dogane pretendeva comunque il pagamento dell’accisa in relazione ad una partita di alcol andato, tuttavia, integralmente disperso − e quindi non immesso in consumo − a causa della rottura accidentale di un serbatoio durante lo stoccaggio del prodotto in regime di sospensione.

Ciò nonostante, ad avviso dell’Ufficio l’accisa risultava in ogni caso dovuta dal contribuente, in quanto, all’esito dei controlli svolti all’interno del magazzino in cui il prodotto era stoccato, emergeva che il guasto del serbatoio non era stato causato da un evento fortuito o di forza maggiore, ma dalla rottura di un tubo dell’impianto determinata dalla sua fisiologica corrosione indotta dall’alcol in esso contenuto, la cui responsabilità era imputabile alla Società.

La società vinicola, invece, invocava a proprio favore e a sostegno della non debenza dell’imposta sul prodotto andato disperso l’applicabilità dell’esimente espressamente prevista dall’art. 4 del D.lgs. n. 504/1992 (cosiddetto “TUA”), rubricato, appunto, “abbuoni per perdite, distruzione e cali”. Prevede, infatti, tale norma che “In caso di perdita irrimediabile o distruzione totale di prodotti che si trovano in regime sospensivo, è concesso l’abbuono della relativa imposta qualora il soggetto obbligato provi, in un modo ritenuto soddisfacente dall’Amministrazione finanziaria, che la perdita o la distruzione dei prodotti è avvenuta per caso fortuito o per forza maggiore. Fatta eccezione per i tabacchi lavorati, i fatti imputabili a titolo di colpa non grave, a terzi o allo stesso soggetto passivo, sono equiparati al caso fortuito ed alla forza maggiore”.

Questa impostazione non era condivisa dall’Agenzia delle Entrate, in quanto il fatto accidentalmente verificatosi non era imputabile al caso fortuito o alla forza di causa maggiore, ma esclusivamente alla responsabilità del contribuente per la sua negligenza ed incuria, laddove non aveva adeguatamente svolto i dovuti controlli sulla struttura destinata a contenere il prodotto stoccato e non aveva fornito alcuna prova sulla corretta conservazione dell’impianto.

Tale forma di vigilanza, inoltre, sempre a parere dell’Ufficio, rientrava nell’ordinaria manutenzione che una società abitualmente operante nel settore vinicolo avrebbe dovuto compiere, la quale – proprio perché consapevole più di qualsiasi altro soggetto della tipica forza corrosiva dei prodotti alcolici − avrebbe dovuto adottare tutte le misure preventive necessarie per evitare eventuali deterioramenti.

Per la Società, tuttavia, l’unica ipotesi che ai sensi dell’art. 4 TUA poteva comportare una radicale esclusione dell’esimente in questione è solo quella della colpa grave, la quale, però, nel caso di specie non poteva configurarsi per una pluralità di ragioni. Ed infatti, il contribuente evidenziava come ad essa fosse imputabile, al più, una colpa di tipo “lieve” e proprio a tale riguardo invocava una serie di circostanze idonee ad escludere un comportamento omissivo o doloso da parte propria, come, ad esempio, il fatto che si trattasse del primo episodio di questo genere verificatosi  in un lungo periodo di attività e che la rottura si fosse verificata in un’area nascosta del serbatoio, non facilmente visibile.

Ebbene, sulla base di tali premesse, i giudici di legittimità hanno accolto l’impostazione prospettata dalla contribuente, con ciò dimostrando di prediligere un’interpretazione strettamente letterale del citato art. 4 TUA.

La Cassazione, infatti, in conformità con il tenore della richiamata norma e con quanto in essa espressamente previsto, ha, in primo luogo, stabilito che, in caso di perdita irrimediabile o distruzione totale di prodotti che si trovano in regime sospensivo, solo la colpa “grave” del soggetto obbligato al pagamento dell’accisa comporta l’esclusione dell’esimente e, quindi, dell’abbuono dell’imposta. Diversamente, sono equiparati – a tutti gli effetti – gli eventi determinati dalla colpa di tipo “lieve” del contribuente a quelli accidentali cagionati dal caso fortuito o dalla forza maggiore, in presenza dei quali, invece, si ha diritto all’abbuono dell’accisa.

In secondo luogo, è stato escluso, poi, che − alla luce di tutte le circostanza addotte sul punto dalla ricorrente e delle verifiche svolte sul punto dal giudice dell’appello, non censurate dall’Agenzia delle Dogane nel giudizio di legittimità instaurato – nel caso di specie potesse ravvisarsi un profilo di colpa “grave” in capo alla Società accertata, tale da giustificare il diniego dell’abbuono.

 

E’ stato quindi sancito il seguente principio di diritto: “l’abbuono dell’accisa è ammesso anche quando la perdita del prodotto non sia stata causata da caso fortuito ovvero non sia dovuta a forza maggiore, atteso che il fatto imputabile allo stesso contribuente è assunto espressamente dalla normativa vigente quale evento equiparato al caso fortuito e alla forza maggiore, quando non imputabile a titolo di colpa grave”.

 

Sul punto, si rende necessario qui precisare che, come chiarito dalla norma di interpretazione autentica di cui all’art. 22-ter comma 1 del DL 693/80, le “perdite” di prodotto soggetto ad accisa e in regime sospensivo, che danno diritto all’abbuono espressamente previsto dal richiamato art. 4 del TUA, sono solo quelle generate da una “dispersione” del prodotto stesso e non anche quelle determinate da una sua eventuale “sottrazione”, con la conseguenza che l’esimente in commento non trova applicazione in caso di furto o di rapina.

 

A tale riguardo, la stessa giurisprudenza di legittimità (Cass. 20 febbraio 2020, n. 4453) ha affermato che la sottrazione ad opera di terzi comporta esclusivamente lo spossessamento ai danni del contribuente, ma non è di ostacolo alla commercializzazione, ancorché clandestina, del bene sottratto, con la conseguenza che, in questa specifica ipotesi, l’accisa resta comunque dovuta. I contenuti della sentenza appena citata e il relativo tema dell’esigibilità del tributo nei confronti del contribuente anche in caso di sottrazione furtiva dei prodotti soggetti ad accise in regime di sospensione sono stati, peraltro, oggetto di approfondito commento in un altro contributo del presente blog − La sottrazione furtiva del prodotto sottoposto ad accisa in regime sospensivo rende esigibile il tributo”, a cura di Davide De Girolamo − al quale si rinvia per una lettura integrale e per una più completa disamina sul punto.

 

In altri termini, una volta che il legislatore ha interpretato autenticamente la parola “perdita” come dispersione del prodotto e non come sottrazione, la forza maggiore – rilevante ai fini dell’abbuono – è solo quella che determina il primo evento e non anche il secondo.

 

La ratio – pienamente condivisibile, ad avviso di chi scrive − della negata equiparazione tra le due fattispecie risiede logicamente nella circostanza per cui, mentre nelle ipotesi di dispersione o distruzione il bene è irrimediabilmente perduto, con conseguente impossibilità di immetterlo in consumo, la sottrazione, al contrario, non impedisce che la merce sottratta entri comunque nel circuito commerciale e produttivo (Cass. 17 aprile 2013, n. 9279 e Cass. 28 maggio 2007).

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza qui in commento, si è, quindi, pronunciata in conformità con il proprio orientamento giurisprudenziale appena riportato, in quanto ha legittimamente riconosciuto l’operatività dell’esimente in questione − e, quindi, la spettanza nei confronti del contribuente dell’abbuono di imposta − in presenza di una perdita del prodotto in regime sospensivo causata dalla dispersione accidentale del prodotto, non da una sua indebita sottrazione per opera di terzi.

 

Alla luce del principio esaminato, pertanto, non può essere pretesa l’accisa qualora l’Amministrazione doganale non dimostri la colpa grave del contribuente e l’accidentalità della rottura di un serbatoio, per caso fortuito, forza maggiore o per colpa non grave del soggetto passivo, con conseguente mancata immissione in consumo del prodotto, dà, quindi, pieno diritto all’abbuono.

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