26/03/2021

Attraverso l’ordinanza n. 3461 dell’11 febbraio 2021, la Corte di Cassazione ha stabilito che, in tema di imposta di registro, all’atto di costituzione del diritto di superficie su un terreno a destinazione agricola in favore di una società per consentirle di realizzarvi un impianto fotovoltaico si applichi l’aliquota dell’8% (oggi del 9%) prevista dall’articolo 1, comma 1, della Tariffa, Parte Prima, allegata al D.P.R. n. 131/1986 e non quella del 15% prevista dalla stessa norma per i trasferimenti aventi ad oggetto i terreni agricoli.

La vicenda controversa trae origine da un contratto stipulato fra due Società, con il quale la prima, in qualità di concedente, costituiva a favore della seconda il diritto di superficie esclusivo su alcuni terreni a destinazione agricola, finalizzato, come si è detto, alla costruzione di un impianto fotovoltaico. Al momento del relativo rogito, il notaio rogante autoliquidava l’imposta di registro applicando l’aliquota proporzionale nella misura dell’8% (oggi 9%) di cui all’articolo 1, comma 1, primo periodo, della Tariffa, Parte Prima, allegata al D.P.R. n. 131/1986, prevista per gli

“atti traslativi a titolo oneroso della proprietà di beni immobili in genere e atti traslativi o costitutivi di diritti reali immobiliari di godimento”.

L’Agenzia delle Entrate, tuttavia, non accettava tale impostazione e, pertanto, provvedeva al recupero dell’imposta dovuta per la registrazione di tale atto, in quanto − avendo i terreni interessati tutti destinazione agricola − riteneva applicabile al caso di specie la diversa e più alta aliquota dal 15% individuata, invece, dal terzo periodo della stessa norma appena richiamata, prevista

se il trasferimento ha ad oggetto terreni agricoli e relative pertinenze a favore di soggetti diversi dai coltivatori diretti e dagli imprenditori agricoli professionali, iscritti nella relativa gestione previdenziale ed assistenziale”.

Tale atto impositivo veniva tempestivamente impugnato dalla Società concedente e – dopo due gradi di giudizio favorevoli alla ricorrente – la fattispecie in questione era sottoposta all’attenzione della Suprema Corte.

Più in dettaglio, la tesi interpretativa sostenuta dall’Agenzia delle Entrate – peraltro già espressa attraverso la circolare n. 36/E del 19 dicembre 2013 − muove le premesse da una lettura piuttosto “estensiva” delle norme richiamate e, in particolare, del terzo periodo dall’articolo 1, comma 1, della Tariffa, Parte Prima, allegata al D.P.R. n. 131/1986 sopra riportato.

Ed infatti, benchè il testo di tale disposizione preveda letteralmente che, come si è detto, la più alta aliquota del 15% in presenza di atti aventi ad oggetto terreni a destinazione agricola si applichi nelle sole ipotesi del loro trasferimento, ad avviso dell’Ufficio non vi sarebbero dubbi sull’effettiva volontà del Legislatore, il quale, nel formulare la tariffa dell’imposta di registro (art. 1 Tariffa), avrebbe operato una tendenziale assimilazione del concetto di “trasferimento” (utilizzato dal terzo capoverso dell’art. 1, comma 1 cit., in poi) a quello di atto traslativo o traslativo e costitutivo di diritti reali di godimento, in quanto senza tale assimilazione non avrebbero trovato la loro naturale collocazione gli atti costitutivi di diritti reali di godimento su terreni agricoli.

In buona sostanza, secondo le argomentazioni dell’Amministrazione finanziaria in fase di redazione della norma sarebbe stato commesso quasi un “errore di tecnica legislativa” nella formulazione del citato art. 1 della Tariffa Parte Prima, il quale – pur componendosi di una lunga e diversificata serie di previsioni e disposizioni a cui è ricollegata una diversa modalità di imposizione, più o meno gravosa – non sarebbe stato redatto redatto con la dovuta completezza in ogni singola lettera, ma risulterebbe caratterizzato da semplici ed impliciti richiami sintetici. Da qui, l’Ufficio ne conclude, pertanto, che con la parola “trasferimento” il Legislatore avrebbe voluto genericamente riferirsi a tutti i casi accennati al capoverso iniziale del comma richiamandoli, ivi compresi gli atti costitutivi di diritti reali immobiliari di godimento.

Diametralmente opposta la testi interpretativa sostenuta dalla Società concedente e ricorrente, secondo cui – muovendo le premesse da un’interpretazione letterale sicuramente più aderente del testo normativo − l’atto intervenuto tra le parti, disponendo la costituzione di un diritto reale di godimento, non comportava alcun trasferimento di proprietà del terreno agricolo su cui sarebbe stato costruito l’impianto fotovoltaico e non poteva, pertanto, essere soggetto alla più alta aliquota del 15% riservata ai soli trasferimenti delle aree aventi tale destinazione.

I termini della questione controversa, così come prospettata, hanno indotto i giudici di legittimità a compiere attraverso la sentenza qui in commento una completa e quanto mai opportuna disamina di natura civilista con riferimento al diritto reale di superficie disciplinato dall’art. 952 c.c., sicuramente necessaria per la risoluzione del giudizio e per una corretta interpretazione dei vari capoversi che compongono il primo comma dell’art. 1 della Tariffa, Parte Prima, allegata al D.P.R. n. 131/1986.

Secondo la ricostruzione interpretativa operata dalla Suprema Corte, la richiamata norma del codice civile individuerebbe due specifiche fattispecie, dal momento che la “costituzione del diritto di superficie” può, sostanzialmente, esprimersi attraverso due distinte modalità.

Ed infatti, il proprietario del fondo interessato ha la facoltà:

  1. sia di “costituire” il diritto di fare e mantenere al di sopra del suolo una costruzione a favore di altri, che acquisirà la proprietà del manufatto, una volta completato;
  2. sia di alienare la proprietà della costruzione già esistente, separatamente dalla proprietà del suolo, dando luogo, quindi, al trasferimento della titolarità giuridica di un immobile distintamente dalla proprietà del terreno che rimane in capo al concedente.

In entrambe le configurazioni contemplate dall’art. 952 c.c. si assiste alla separazione tra la titolarità giuridica del fondo e quella della costruzione (da edificare o già esistente) e non si verifica mai un frazionamento della titolarità giuridica del suolo − il quale, come si è detto, rimane in capo al relativo proprietario – ma, piuttosto, una compressione del diritto di proprietà da parte del soggetto concedente a seguito della sua rinuncia ad esercitare il pieno potere di disposizione sul bene gravato dal diritto di superficie.

La peculiarità del diritto di superficie è, quindi, quella di mantenere distinta la proprietà della costruzione dalla proprietà del suolo, con la diretta conseguenza che la “costituzione” a favore di terzi di un diritto reale di godimento (quale il diritto di superficie) non determina alcun effetto estintivo della titolarità del diritto di proprietà in capo all’originario proprietario concedente, sul quale grava solo l’obbligo di  consentire la costruzione dell’opera e di astenersi da modalità d’uso del suolo che possano successivamente arrecare pregiudizio alla costruzione. Specularmente, in capo al soggetto superficiario vi è, invece, la costituzione del diritto di fare e mantenere l’opera sopra o sotto il suolo e/o la costituzione del diritto di proprietà sulla costruzione.

Come affermato dalla Corte, tale precisazione è fondamentale e preliminare per individuare il corretto trattamento tributario applicabile al caso di specie.

Da quanto appena rappresentato discende conclusivamente, infatti, che la “costituzione” del diritto di superficie su terreni da parte del cedente a favore del superficiario non può le regole dettate per gli atti aventi per oggetto il trasferimento, in quanto – per le ragioni sinteticamente esposte −  il diritto di superficie si “costituisce” e non si “trasferisce”, né in senso tecnico, né in senso civilistico.

Viene quindi escluso attraverso la sentenza qui in commento che alla nozione di “trasferimento” possa essere attribuita – come invece vorrebbe l’Agenzia delle Entrate – un’accezione più ampia di quella letteralmente riportata nel testo normativo, in quanto il legislatore ha volutamente adottato tale termine per indicare solo quegli atti che prevedono il passaggio da un soggetto a un altro della proprietà di beni immobili o della titolarità di diritti reali immobiliari di godimento, con la conseguenza che esso non può essere riferito estensivamente anche a quegli atti che, diversamente, costituiscono diritti reali di godimento come il diritto di superficie (o come il diritto di servitù). In queste ultime ipotesi, infatti, non si verifica il trasferimento della proprietà del terreno agricolo, il quale rimane in capo al concedente.

Le conclusioni rassegnate dal Supremo Collegio all’esito di tutte le considerazioni sopra esposte sono le medesime già dichiarate in precedenti pronunce intervenute sullo stesso tema qui esaminato ma rese con riferimento ad un’altra tipologia di diritto reale di godimento − che parimenti non comporta alcun trasferimento della proprietà del terreno agricolo interessato − ossia al diritto di servitù, fattispecie del tutto assimilabile ai fini fiscali a quella in commento.

Ed infatti, viene ritenuto applicabile mutatis mutandis al caso di specie il seguente principio di diritto, già enunciato con la più risalente sentenza di Cassazione del 4 novembre 2003, n. 16495 e qui ribadito, secondo cui:

“il termine trasferimento contenuto nell’art. 1, della tariffa allegata al DPR n. 131 del 1986 è stato adoperato dal legislatore per indicare tutti quegli atti che prevedono il passaggio da un soggetto ad un altro della proprietà di beni immobili o della titolarità di diritti reali immobiliari di godimento e non può essere riferito agli atti che costituiscono diritti reali di godimento come la servitù, la quale non comporta trasferimento di diritti o facoltà del proprietario del fondo servente ma  compressione del diritto di proprietà di questi a vantaggio di un determinato fondo (dominante)”.

Si segnala in questa sede che l’indirizzo giurisprudenziale appena richiamato può ritenersi, ormai, decisamente consolidato in termini “granitici”, dal momento che esso trova piena conferma non solo in ulteriori ed ancor più recenti pronunce di legittimità intervenute sul tema, ma, anche, nella prassi della stessa Amministrazione Finanziaria.

Ed infatti, la Corte di Cassazione, attraverso le sentenze nn. 22198, 22199, 22200 e 222013 depositate il 5 settembre 2019, ha ritenuto di dare seguito al precedente più risalente affermando che, ai fini dell’imposizione di registro, la costituzione del diritto di servitù deve essere condotta nell’ambito applicativo della previsione di carattere generale di cui al primo periodo del comma 1 dell’articolo 1 della Tariffa, Parte Prima. Le conclusioni assunte dal giudice di legittimità si fondano sulla peculiare natura del diritto di servitù, come definito dagli articoli 1027 e seguenti del codice civile.

La Suprema Corte ha infatti ribadito che il termine “trasferimento”, utilizzato nei periodi successivi al primo nell’articolo 1 della Tariffa, Parte Prima, non possa essere riferito anche alla servitù prediale, la quale non comporta affatto il trasferimento di diritti o facoltà del proprietario del fondo servente, ma la mera compressione del diritto di proprietà di questi a vantaggio di un determinato fondo (dominante).

Detta soluzione interpretativa è stata espressamente confermata e rimarcata, poi, nelle successive ordinanze di Cassazione depositate il 9 marzo 2020, nn. 6671 e 6677, e anche dall’ordinanza Cass. depositata il 13 ottobre 2020, n. 22118.

Alla luce dell’indirizzo assunto dai giudici di legittimità, anche l’Agenzia delle Entrate, come sopra anticipato, è doverosamente intervenuta attraverso la risoluzione n. 4 del 15 gennaio 2021 per fornire i necessari chiarimenti in tema di atti costitutivi di servitù su terreno agricolo e di aliquota applicabile ai fini dell’imposta di registro.

Ed infatti, preso atto delle plurime pronunce richiamate, l’Amministrazione Finanziaria ha ritenuto opportuno superare le indicazioni precedentemente fornite e conformarsi, invece, al più attuale orientamento giurisprudenziale. Con tale documento è stato quindi reso noto che, ai fini dell’imposta di registro, agli atti costitutivi di servitù su terreno agricolo si applica l’aliquota del 9% prevista dal primo periodo del comma 1 dell’articolo 1 della Tariffa, Parte prima, allegata al DPR n. 131 del 1986 in luogo di quella del 15% fino ad ora applicata dagli Uffici in sede di controllo.

Sulla base di tale indicazione, ecco, pertanto, che l’Agenzia delle Entrate ha invitato le strutture territoriali a riesaminare le controversie pendenti concernenti la tassazione degli atti costitutivi di servitù su terreni agricoli e, ove la tassazione sia stata operata secondo criteri non conformi a quelli sopra illustrati, ad abbandonare la pretesa tributaria con le modalità di rito, tenendo conto dello stato e del grado di giudizio, sempre che non siano sostenibili altre questioni.

Le conclusioni rassegnate attraverso la pronuncia qui in commento appaiono – ad avviso di chi scrive – quanto mai condivisibili e ciò per una pluralità di ragioni.

Innanzitutto, l’interpretazione dell’art. 1, Tariffa, Parte Prima, allegata al D.P.R. 131/1986 offerta dalla Corte di Cassazione si rivela conforme con i criteri di esegesi individuati dall’art. 12 delle Preleggi, il quale impone prioritariamente un canone ermeneutico fondato sul significato proprio delle parole delle norme scrutinate, nella loro combinazione letterale. L’estensione arbitraria del termine “trasferimenti” di cui al periodo terzo dell’art. 1 citato, fino al punto di ricomprendervi anche le ipotesi di “costituzione di diritti reali di godimento sui beni immobili”, si porrebbe invece, a ben vedere, in aperto contrasto con tale canone letterale.

In secondo luogo, anche a voler ritenere applicabile al caso di specie la diversa e più elastica interpretazione logico – funzionale di tipo sussidiario di cui al primo periodo dell’art. 12 delle Preleggi, procedendo ad una lettura c.d. “sistematica” del citato art. 1 e, quindi, ad un’esegesi in grado di andare oltre il significato immediato della disposizione scrutinata, verificando lo scopo che il Legislatore ha inteso realizzare emanandola, le conclusioni non muterebbero.

La diversificazione operata dal Legislatore, laddove ha elevato dal 9% al 15% l’aliquota applicabile in funzione delle diverse ipotesi di atti soggetti alla registrazione in termine fisso, manifesta il chiaro intento di colpire, in maniera più incisiva, i fenomeni speculativi legati al trasferimento di terreni agricoli proprio perché a queste tipologie di transazione è, evidentemente, connessa una maggiore capacità contributiva.

Con lo stesso grado di certezza, però, si può anche sostenere che l’intento speculativo individuato dal Legislatore nei trasferimenti di terreni agricoli non è invece ravvisabile negli atti di costituzione di diritti reali di godimento sui medesimi beni; ciò perché, generalmente, tali atti costitutivi sono connessi ai normali usi agricoli dell’immobile o, addirittura a vere e proprie procedure espropriative per la realizzazione di opere di pubblica utilità, la cui natura, palesemente afflittiva, è evidente. Ecco, pertanto, che, non essendo rinvenibile nessun intento speculativo, in concreto, sugli atti de quibus, applicare a questi casi l’aliquota dell’8%, piuttosto che quella del 15%, appare molto più in linea con lo spirito della legge e con la ratio sottesa alla formulazione delle norme esaminate.

Alla luce del principio esaminato, e in coerenza con le argomentazioni espresse dalla Corte di Cassazione, ne consegue che la “costituzione” del diritto di superficie su terreni di tipo agricolo da parte del cedente − costituente non segue le regole dettate per gli atti aventi a oggetto il trasferimento e che, pertanto, in tema di imposta di registro si applica l’imposta all’8% (oggi 9%) e non al 15% per la costituzione del diritto di superficie su un terreno agricolo in favore di una società per consentirle di realizzarvi un impianto fotovoltaico.

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