26/05/2021

Con il parere n. 843 dell’11 maggio 2021, il Consiglio di Stato, pronunciandosi su un ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, ha considerato legittimo e corretto il Programma Energetico Ambientale Regionale – PEAR della Regione Lombardia, nella parte in cui pone limitazioni all’installazione di determinate tipologie di impianti fotovoltaici nelle aree agricole, anche se non rientranti nella categoria c.d. di pregio.

In particolare, il caso in esame riguardava la richiesta di annullamento di un Provvedimento della Provincia di Pavia che, in attuazione del PEAR regionale, aveva disposto l’archiviazione di un’istanza di verifica di assoggettabilità a VIA relativa ad un progetto di impianto fotovoltaico a terra, da realizzarsi in area agricola non di pregio, in quanto non conforme alla condizione per cui “nelle aree agricole, possono essere installati impianti fotovoltaici di tipologia F3.13 da installarsi al suolo con potenza di picco risultante dall’estensione in pianta pari al massimo al 5% della SAU, in proprietà dell’impresa agricola iscritta alla specifica sezione del registro delle imprese. L’impianto non può comunque avere potenza di picco maggiore di 1 MW”.

In sintesi, la società ricorrente contestava l’interpretazione del PEAR sottesa a tale provvedimento, in quanto ritenuta in contrasto con la disciplina nazionale di favore per l’installazione di impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, asseritamente improntata a non ammettere divieti generalizzati, né tantomeno limiti, qualitativi o quantitativi, alla realizzazione di tali impianti in aree agricole “ordinarie”, ove non giustificati da specifiche e motivate esigenze di tutela, ovvero senza, quantomeno, una previa valutazione delle reali caratteristiche e specificità del terreno ove l’impianto dovrebbe sorgere.

Orbene, tale tesi è stata totalmente rigettata dal Collegio che, al contrario, ha ritenuto necessario fissare un discrimen: sebbene non sia possibile vietare tout court la realizzazione di determinati impianti FER nelle aree agricole, d’altra parte però

«non è vero – come postulato dalla società ricorrente – che le aree agricole “comuni”, non “di pregio”, debbano essere lasciate libere e prive di qualsivoglia limite all’installazione di impianti fotovoltaici».

In altri termini, la normativa nazionale di favore per la realizzazione di queste tipologie di impianti implica soltanto che non è possibile vietarne del tutto la realizzazione in aree agricole, ma non anche che nelle aree agricole, sebbene non di pregio, non possano essere introdotti limiti o condizioni, ove proporzionati e ragionevoli.

Sulla scorta di tali motivazioni, il Consiglio di Stato ha quindi riconosciuto che, del tutto correttamente e legittimamente, la Regione Lombardia – lungi dal prevedere una generale e indifferenziata non idoneità di tutte le aree agricole – si è limitata a graduare e diversificare, in modo ragionevole e proporzionato, le diverse condizioni e limitazioni di realizzazione di impianti FER in aree agricole, prevedendo divieti e limiti più severi e stringenti per quelle di pregio, e condizioni meno impegnative e limitative per le altre aree agricole.

Tra l’altro, tale scelta – compiuta nell’ambito dello strumento di pianificazione appropriato ed espressiva di un ampio potere discrezionale, come tale sindacabile solo per macroscopici vizi di sproporzione e illogicità – è stata altresì considerata come un punto di equilibrio tra le esigenze di sviluppo della produzione di energia da fonti rinnovabili e le non meno rilevanti e recessive esigenze di salvaguardia delle aree agricole.

Riguardo a tale profilo, il Supremo Consesso ha infatti sottolineato che anche la produzione agricola e il valore ecosistemico insito nelle aeree agricole meritano una pari ed adeguata considerazione e tutela, ai sensi dell’art. 44 Cost., così da doversi escludere una prevalenza assoluta, rispetto ad essi, dei valori e degli interessi, privati e pubblici, sottesi allo sviluppo degli impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili.

Da ultimo, il Consiglio di Stato ha escluso che tali considerazioni possano trovare un limite nella normativa europea di riferimento (segnatamente, la Direttiva 2001/77/CE) e/o negli accordi internazionali stipulati dal nostro Paese (fra tutti il protocollo di Kyoto dell’11 dicembre 1997), che, come è noto, si limitano a fissare degli obiettivi quantitativi di riduzione della produzione di “gas serra” e di soddisfacimento del fabbisogno energetico mediante fonti rinnovabili, ma non vincolano sul modo in cui gli Stati debbano perseguire e conseguire in concreto tali obiettivi.

Sicché, a dispetto di quanto asserito dalla società ricorrente, le direttive europee e gli accodi internazionali non hanno alcun rilievo sui profili in questione: non incidono sulle scelte – statali e regionali – in ordine al corretto bilanciamento tra gli opposti interessi pubblici della salvaguardia delle risorse agricole e naturali locali (artt. 9, 32 e 44 Cost.) e dello sviluppo della produzione di energia da fonti rinnovabili (per perseguire l’obiettivo globale della lotta ai gas climalteranti).

Anzi di più. Il Consiglio di Stato, sul punto, ha rilevato che

«operare una comparazione (o una sorta di bilanciamento) tra il valore della lotta al mutamento climatico, che riguarda effetti ipotetici, indiretti e futuri e si pone su di un piano globale e di lungo periodo, e il valore di tutela della risorsa agricola e del paesaggio, che verrebbe invece pregiudicato immediatamente per effetto diretto degli interventi proposti, costituisce un evidente errore logico, prima che giuridico, poiché implica l’instaurazione di una comparazione tra termini palesemente eterogenei e non commensurabili, perseguendo l’uno un effetto solo ipotetico, indiretto e futuro, comportando l’altro, invece, danni immediati, certi e diretti ai beni-interessi protetti».

Alla luce di quanto sopra, le coordinate ermeneutiche rese nel parere in commento assumono particolare importanza in quanto confermano il principio per cui compete alle valutazioni discrezionali dell’Amministrazione regionale l’individuazione di aree e siti non idonei all’istallazione di specifiche tipologie di impianti a fonti energetiche rinnovabili, nonché la fissazione di eventuali limiti o condizioni al loro sfruttamento.

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