26/05/2021

Con la risposta a interpello n. 141 del 3 marzo 2021, l’Agenzia delle Entrate torna sul tema della prova del trasporto in materia di cessioni intracomunitarie e riconosce che le nuove disposizione recanti i presupposti per l’operatività della presunzione di avvenuto trasporto previste dall’articolo 45-bis del Regolamento UE di esecuzione n. 282/2011 non precludono agli Stati membri l’applicazione di norme o prassi nazionali ulteriori e distinte, ove queste risultino più flessibili e, naturalmente, compatibili con il dettato unionale.

Più nel dettaglio, il contenuto del documento di prassi in esame consente di analizzare nuovamente l’approccio dell’Amministrazione finanziaria rispetto alla complessa tematica della costituzione e (eventuale) esibizione della prova dell’avvenuto trasporto di merci oggetto di trasferimento intra-unionale, a seguito dell’intervento organico apportato in materia dai vertici dell’UE nell’ambito della più ampia manovra condotta mediante le c.d. quick fixes[1].

Orbene, la fattispecie sottoposta all’attenzione dell’Agenzia delle Entrate riguardava, in particolare, una società residente in Italia e operativa nel settore dello sviluppo tecnologico che, nell’ambito della propria attività, effettua cessioni intra-unionali di beni a clienti stabiliti in altri Paesi membri dell’Unione Europea.

Per quanto attiene alla gestione del trasporto della merce, la Società rappresentava di avvalersi di differenti soggetti trasportatori provvedendo, talvolta, in maniera autonoma e, in altre circostanze, mediante l’intervento del proprio cliente o, ancora, tramite terzi, dando luogo, quindi, sia a cessioni c.d. “franco fabbrica” sia a operazioni c.d. “franco destino”.

In considerazione di tale modus operandi, la Società chiariva che, al fine di dimostrare la “natura intra-unionale delle cessioni effettuate”, per le ipotesi di gestione a carico proprio o di un terzo per suo conto, in ossequio alle indicazioni di prassi dell’Agenzia delle Entrate sul punto, è stata implementata una procedura volta alla raccolta e alla conservazione della seguente documentazione:

“- la fattura di vendita emessa nei confronti del cliente unionale;

– gli elenchi riepilogativi relativi alle cessioni intraunionali effettuate;

– la rimessa bancaria dell’acquirente relativa al pagamento della merce;

– copia del contratto o dell’ordine/conferma di vendita o di acquisto relativi agli impegni assunti con il cliente o accordi presi per corrispondenza con indicazione della destinazione dei beni;

– la fattura del vettore incaricato con evidenza delle consegne effettuate e documentazione attestante il pagamento di detta fattura;

– DDT emesso dalla Società con indicazione della destinazione dei beni, normalmente firmato dal trasportatore per presa in carico della merce;

– un documento di trasporto “CMR” firmato dal trasportatore per presa in carico della merce e dal destinatario per ricevuta”.

Con riferimento alla distinta circostanza in cui il trasporto viene, invece, curato dal cessionario unionale, o da un terzo per suo conto, la Società evidenziava che la dimostrazione dell’effettiva movimentazione dei beni dall’Italia ad un altro Stato Membro viene fornita mediante la medesima documentazione, ad eccezione “della fattura del vettore incaricato con evidenza delle consegne effettuate e documentazione attestante il pagamento di detta fattura”.

Rispetto ad ambedue le modalità, la Società chiariva che, in ragione delle difficoltà – ricorrenti soprattutto nel caso in cui ad occuparsi della spedizione o del trasporto non sia il cedente – di recuperare il “CMR” sottoscritto per ricezione anche dal destinatario dei beni, in linea con le indicazioni rese dall’Agenzia delle Entrate con i precedenti interventi (i.e. risoluzione n. 19/E del 2013 e risposta a interpello n. 100 del 2019), era stata predisposta

una procedura di recupero e conservazione … di una attestazione del cliente che conferma l’avvenuta ricezione della merce nell’altro Stato Membro

e che, oltre ad essere controfirmata e timbrata dal cessionario,

“reca anche:

– l’identificativo del cessionario,

– il numero di partita IVA del cessionario,

– il numero della fattura di vendita,

– la data della fattura di vendita,

– l’importo della fattura di vendita,

– indicazione del peso del materiale venduto oggetto della fattura di vendita,

la seguente dichiarazione da parte del cliente “Il sottoscritto conferma la ricezione e la consegna dei beni relativi alla sopra menzionata fattura“;

– timbro e firma del cessionario”.

Così delineate le proprie procedure interne, la Società chiedeva se, alla luce dell’entrata in vigore, a partire dal 1° gennaio 2020, dell’art. 45-bis del Regolamento (UE) n.282/2011, il “set documentale” di cui dispone può ritenersi utilizzabile al fine di provare l’avvenuta effettuazione delle cessioni intracomunitarie e, quindi, ottenere il riconoscimento del regime di esenzione ai fini IVA previsto per tali operazioni.

Rispetto al quesito sottoposto, la Società esprimeva la propria soluzione sostenendo che le metodiche adottate per la conservazione e la raccolta della documentazione e, in particolare, la procedura di recupero della dichiarazione del cessionario attestante l’avvenuta ricezione della merce dovessero ritenersi conformi alle indicazioni precedentemente fornite dall’Agenzia delle Entrate (cfr. risposta a interpello n. 100/2019 e precedenti risoluzioni 28 novembre 2007, n. 345/E, 15 dicembre 2008, n. 477/E, nonché 25 marzo 2013, n. 19/E). Più in dettaglio, la Società richiamava i passaggi con cui l’Amministrazione finanziaria, dopo aver riconosciuto che la documentazione raccolta

“può costituire prova dell’avvenuta cessione a condizione che:

1) dai descritti documenti siano individuabili i soggetti coinvolti (ovvero cedente, vettore e cessionario) e tutti i dati utili a definire l’operazione a cui siriferiscono;

2) si provveda a conservare le relative fatture di vendita, la documentazione bancaria attestante le somme riscosse in relazione alle precedenti cessioni, la documentazione relativa agli impegni contrattuali assunti e gli elenchi Intrastat”,

ha confermato

“la bontà della “dichiarazione del cessionario” quale prova dell’uscita dei beni dal territorio dello Stato purché sia compilata con tutti i dati utili ad individuare i soggetti coinvolti e l’operazione effettuata e che, al contempo, si conservi la fattura di vendita, gli elenchi Intrastat, la documentazione bancaria e quella relativa agli impegni contrattuali”.

Orbene, a fronte di tale ricostruzione, l’Agenzia delle Entrate ha, anzitutto, brevemente riepilogato il contenuto delle previsioni introdotte in ambito comunitario e contenute nell’art. 45-bis del Regolamento di esecuzione.

In tale contesto, sono state ricordate, in particolare, le diverse condizioni previste ai fini dell’operatività della presunzione della prova dell’avvenuta movimentazione della merce per l’ipotesi in cui il trasporto venga curato dal venditore o da un terzo per suo conto, dettata nel par. 1, alla lettera a), e per la distinta circostanza in cui i beni siano trasportati dall’acquirente o da un terzo per suo conto, disciplinata, invece, nel par. 1, lett. b).

Nel rinviare a quanto più dettagliatamente esaminato in ordine alla disciplina di cui all’art. 45-bis nel precedente contributo su questo sito, per quanto di rilievo in questa sede, si osserva che il comune denominatore tra le due discipline illustrate può dirsi rappresentato dalla richiesta a carico del venditore di conservazione di documentazione (i.e., la lettera di vettura internazionale denominata “CMR”) che sia in grado di attestare l’avvenuta effettiva movimentazione nello Stato del cessionario della merce.

Per completare il generale inquadramento della disciplina di riferimento, l’Agenzia delle Entrate ha, infine, evidenziato che l’ambito di applicazione delle nuove previsioni recanti le presunzioni di avvenuto trasporto, introdotte dall’art. 45-bis, presenta delle chiare limitazioni. Ed invero, come dettagliatamente illustrato nelle Note esplicative della Commissione Ue, sotto il profilo soggettivo, la predetta presunzione non può essere invocata laddove il trasporto in altro Stato membro sia stato curato dal cedente o dal cessionario con propri mezzi. Guardando, invece, ai presupposti oggettivi, la disposizione in esame non può trovare applicazione nelle ipotesi in cui la documentazione in possesso del contribuente non risponda ai requisiti previsti dal predetto art. 45-bis cit..

Procedendo gradatamente e venendo al merito della questione ad essa sottoposta, l’Agenzia delle Entrate ha, quindi, analizzato il rapporto tra le nuove previsioni comunitarie e la disciplina (dettata principalmente tramite interventi di prassi) fino ad ora vigente sul versante interno.

In particolare, è stato chiarito dall’AF che, nelle circostanze in cui la presunzione comunitaria di avvenuto trasporto trovi applicazione,

“le Autorità fiscali dei Paesi UE conservano comunque la facoltà di superare la presunzione dell’avvenuto trasporto o spedizione intracomunitaria (cfr. par. 2 del citato articolo 45-bis)”

e che

“allo stesso modo, il contribuente conserva la possibilità di dimostrare, qualora non sia in possesso della documentazione specificamente richiesta dalla disposizione unionale ai fini dell’applicazione della presunzione, con altri elementi oggettivi di prova, che l’operazione sia realmente avvenuta (cfr. anche par. 5.3.3. delle Note esplicative)”.

Esprimendosi in tal maniera, l’Agenzia delle Entrate ha consolidato la posizione già in precedenza prospettata secondo cui l’entrata in vigore dell’art. 45-bis non pone alcun limite al potere degli Stati membri di continuare ad applicare, ove più flessibili e maggiormente conferenti al caso di specie, le disposizioni interne e/o le indicazioni originate dalla prassi.

Chiarissima, in tal senso, è la circolare n. 12/E del 12 maggio 2020 laddove è stato precisato che

“allo stato, in tutti i casi in cui non si renda applicabile la presunzione di cui all’articolo 45-bis, possa continuare a trovare applicazione la prassi nazionale, anche adottata prima dell’entrata in vigore del medesimo articolo in tema di prova del trasporto intracomunitario dei beni. Resta inteso, ad ogni modo, che detta prassi nazionale individua documenti, la cui idoneità a provare l’avvenuto trasporto comunitario è comunque soggetta alla valutazione, caso per caso, dell’amministrazione finanziaria (cfr. Note esplicative, par. 5.3.3.)”.

Pertanto, nel fornire parere positivo alla soluzione prospettata dall’istante, l’Agenzia delle Entrate ha ritenuto che la documentazione da questa raccolta e, in particolare, la dichiarazione di ricezione delle merce resa e sottoscritta dal cessionario e recante i suoi dati identificativi dovesse ritenersi certamente in grado di soddisfare l’onere probatorio in ordine all’avvenuto trasferimento, non trovando alcun ostacolo nelle nuove previsioni comunitarie che, a ben vedere, lasciano spazio all’operatività della disciplina interna ove idonea a raggiungere il medesimo risultato.

A ben vedere, tali condivisibili conclusioni valorizzano le indicazioni contenute nelle richiamate Note esplicative della Commissione Europea laddove, facendo leva sul riconoscimento del carattere relativo della presunzione di cui all’art. 45-bis, viene chiarito che le presunzioni comunitarie non possono operare in maniera inversa.

In definitiva, la lettura dell’Agenzia delle Entrate sembra esprimere il corretto principio ritraibile dai dettami comunitari secondo cui, ove il cedente risulti impossibilitato ad integrare le condizioni richieste per l’operatività della presunzione, questi non decade automaticamente dalla possibilità di fruire dell’esenzione che spetta alle operazioni di cessione intra-unionale: alla luce del coordinamento tra le previsioni interne e il nuovo quadro comunitario, il cedente può, infatti, certamente dimostrare l’effettiva sussistenza dei presupposti per l’applicazione del regime di esenzione IVA con altri mezzi – quali, come nel caso di specie, l’attestazione del cliente che conferma l’avvenuta ricezione della merce nell’altro Stato Membro -, ritenuti dalla prassi interna idonei ai fini probatori.

Valide considerazioni in ordine alla “ultrattività” della disciplina nazionale in materia nonostante le nuove previsioni comunitarie discendono altresì dal secondo quesito avanzato dalla Società in relazione alla conservazione della documentazione attestante l’avvenuto trasporto oltreché alla sua esibizione e alla tempistica di acquisizione della stessa.

Ed invero, in linea con quanto poc’anzi rilevato e, quindi, nel rispetto dei margini di manovra riconosciuti a livello comunitario, l’Agenzia delle Entrate ha confermato la validità delle indicazioni rese a riguardo con la risoluzione n. 19/E del 2013.

Con specifico riferimento alle corrette modalità di conservazione della documentazione attestante l’avvenuto trasporto, la predetta risoluzione ha chiarito che

“è necessaria la memorizzazione della relativa immagine direttamente su supporti ottici, eventualmente anche della relativa impronta, e termina con l’apposizione, sull’insieme dei documenti o su una evidenza informatica contenente una o più impronte dei documenti o di insiemi di essi, del riferimento temporale e della firma digitale da parte del responsabile della conservazione che attesta così il corretto svolgimento del processo”.

È stato, inoltre, illustrato nel richiamato intervento dell’Agenzia delle Entrate che i documenti attestanti l’avvenuto trasporto risultano idonei a fornire la prova della movimentazione fisica della merce e, quindi, del perfezionamento di una cessione intracomunitaria

“se conservati congiuntamente alle fatture di vendita, alla documentazione bancaria attestante le somme riscosse in relazione alle predette cessioni, alla documentazione relativa agli impegni contrattuali assunti e agli elenchi Intrastat (cfr. ris. n. 345 del 2007)”.

Alla luce di quanto sin qui osservato, e dando seguito alle considerazioni sviluppate in un precedente contributo su questo sito a commento della soluzione fornita dall’Agenzia delle Entrate rispetto ad una fattispecie in cui l’istante richiedeva la retroattiva applicazione delle disposizioni presuntive di cui all’art. 45-bis, la risposta a interpello in esame consente di rilevare che, pur mirando ad un’armonizzazione della disciplina probatoria del trasporto, l’UE ha accordato significativi margini operativi agli Stati membri i quali, in tal maniera, sono posti nella condizione di intervenire, ove possibile, per superare formalismi in grado di ingenerare difficoltà pratiche per gli operatori del settore.

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[1] Si tratta, in particolare, delle c.d. “misure rapide” adottate al fine di risolvere alcune specifiche questioni relative alla disciplina IVA degli scambi intracomunitari, da sempre oggetto di interpretazioni difformi nei vari Stati membri. Tra queste, oltre al tema qui in commento, si ravvisano anche interventi riguardanti il regime di call-off stock, le operazioni a catena e la valenza da attribuire al numero di identificazione IVA nelle cessioni intracomunitarie (cfr. direttiva del Consiglio n. 2018/1910 e Regolamento UE 2018/1909).

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