24/02/2022

1. Con la risposta ad interpello n. 37 del 20 gennaio 2022, l’Agenzia delle Entrate ha reso importanti chiarimenti in merito al trattamento ai fini IVA e IRES delle somme corrisposte da parte dell’ente gestore della rete (GSE) in favore delle configurazioni giuridiche rappresentate dagli autoconsumatori collettivi da fonti rinnovabili e dalle comunità energetiche rinnovabili di cui all’art. 42-bis d.lgs. 169/2019 (c.d. Decreto Milleproroghe).

Come meglio si chiarirà oltre, previo inquadramento sul piano civilistico, l’ente istante, integralmente partecipato dal MEF, ha chiesto di conoscere il regime fiscale ai fini IVA degli importi dallo stesso corrisposti al “referente” della configurazione (autoconsumo collettivo o comunità energetica) a titolo di:

“- tariffa incentivante in forma di tariffa premio sull’energia condivisa (nella misura di 100 C/MWh per autoconsumo collettivo e 110 C/MWh per la comunità energetica);

– ristoro delle componenti tariffarie e di quelle connesse al costo dell’energia che non risultano tecnicamente applicabili all’energia condivisa in quanto energia istantaneamente autoconsumata;

– corrispettivo per la vendita dell’energia, qualora il referente abbia esercitato la facoltà di cessione alla società pubblica interpellante, con le modalità di cui all’articolo 13, comma 3, del decreto legislativo 387/2003 (“Ritiro dedicato”)”.

Rispetto alle medesime somme, il gestore ha domandato altresì di conoscere la loro rilevanza sotto il profilo delle imposte sui redditi in capo:

– al referente, da intendersi quale persona fisica proprietaria dell’edificio non esercente attività d’impresa, arte o professione;

– alle comunità energetiche, aventi la forma giuridica di enti non commerciali esercenti esclusivamente attività istituzionale ovvero aventi quale scopo il riconoscimento a favore dei partecipanti di benefici ambientali, economici e sociali;

– al produttore di energia che esercita attività di impresa nella veste di referente di un gruppo di autoconsumatori di energia rinnovabile che agiscono collettivamente, tenendo in considerazione la circostanza per cui i punti di connessione del suddetto gruppo siano ubicati all’interno del medesimo edificio composto da unità immobiliari appartenenti ad un unico soggetto.

2. Orbene, così delineato l’oggetto del provvedimento, la sua disamina invita ad un preliminare inquadramento – sia pure solo sommario – della disciplina comunitaria e interna che regola l’autoconsumo collettivo da energie rinnovabili e le comunità energetiche e che necessariamente incide sul corretto inquadramento delle somme sotto il profilo fiscale.

Andando con ordine, si rappresenta, anzitutto, che in ambito comunitario è stata introdotta la Direttiva UE 2018/2001 dell’11 dicembre 2018, la quale rientra nel pacchetto di misure predisposte dai vertici unionali al fine di ridurre le emissioni di gas a effetto serra e rispettare gli impegni assunti dall’Unione Europea con l’accordo di Parigi del 2015 sui cambiamenti climatici; in tale contesto, il principale scopo della richiamata direttiva è favorire la promozione delle forme di energia da fonti rinnovabili

Per quanto di rilievo in questa sede, le disposizioni della richiamata direttiva che qui interessano sono contenute negli artt. 21 e 22, i quali disciplinano rispettivamente gli “autoconsumatori di energia da fonti rinnovabili” e le “comunità di energia rinnovabile”.

Già dal tenore letterale delle due previsioni, è possibile comprendere che lo scopo della nuova disciplina è quello di coinvolgere tutti i consumatori finali, comprese le famiglie, nella filiera energetica, al fine di rendere tutti piccoli “venditori” dell’energia rinnovabile non autoconsumata.

Questo scopo viene perseguito attraverso una serie di puntuali previsioni che, con particolare riguardo agli autoconsumatori finali di cui all’art. 21, attribuiscono agli Stati membri il compito di:

– individuare le attività che gli autoconsumatori sono autorizzati a svolgere individualmente o in aggregazione;

– garantire i diritti e gli obblighi loro spettanti in qualità di clienti finali nonché le condizioni di remunerazioni per l’energia eccedente quella autoconsumata;

– stabilire le condizioni alla presenza delle quali gli Stati Membri possono applicare oneri e tariffe non discriminatori e proporzionali agli autoconsumatori;

– regolare l’esercizio individuale e collettivo della autoproduzione di energia rinnovabile nonché le condizioni secondo cui un terzo può risultare proprietario ovvero gestore dell’impianto dell’autoconsumatore di energia rinnovabile;

– delineare un quadro normativo che favorisca la promozione e l’agevolazione dello sviluppo dell’autoconsumo di energia rinnovabile attraverso l’eliminazione di barriere ingiustificate esistenti.

Nella stessa prospettiva, ma con riferimento alle comunità di energie rinnovabili, l’art. 22 stabilisce che gli Stati Membri sono chiamati a:

– disciplinare l’accesso da parte dei clienti finali alle comunità energetiche, eliminando ogni condizione impeditiva e verificando che per le imprese private la partecipazione a tali configurazioni non costituisca l’attività commerciale o professionale principale;

– individuare le attività che le comunità di energia rinnovabile possono svolgere (i.e. produzione, consumo, immagazzinamento, vendita e scambio di energia, nonché accesso ai mercati appropriati senza discriminazioni);

– provvedere ad una valutazione costante degli ostacoli esistenti e del potenziale di sviluppo delle comunità di energia rinnovabile;

– definire un quadro normativo di sostegno che promuova e agevoli lo sviluppo delle comunità di energia rinnovabile occupandosi tra l’altro di: eliminare gli ostacoli normativi e amministrativi ingiustificati; verificare che le comunità di energia rinnovabile siano soggette a procedure eque, proporzionate e trasparenti, in particolare quelle di registrazione e di concessione di licenze; controllare che non siano oggetto di un trattamento discriminatorio per quanto concerne le loro attività, i loro diritti e obblighi in quanto consumatori finali, produttori, fornitori, gestori del sistema di distribuzione, o altri partecipanti al mercato;

– promuovere, nei limiti discrezionali loro concessi, la partecipazione transfrontaliera alle comunità.

Ambedue le disposizioni, pongono una clausola conclusiva con la quale stabiliscono che la loro applicazione deve tenere conto delle previsioni di cui agli artt. 107 e 108 TFUE in materia di aiuti di Stato e, con particolare riguardo alle comunità di energie rinnovabili, l’art. 22 prevede che

gli Stati membri tengono conto delle specificità delle comunità di energia rinnovabile quando elaborano regimi di sostegno, al fine di consentire loro di competere alla pari con altri partecipanti al mercato per l’ottenimento di un sostegno”.

Alla luce del descritto impianto unionale, prima ancora che si procedesse al recepimento dell’anzidetta direttiva, avvenuto con il d.lgs. 8 novembre 2021 n 199 – e di cui si è trattato anche in un precedente contributo su questo blog –, l’ordinamento interno si è allineato agli scopi comunitari attraverso la disposizione di cui all’art. 42-bis contenuta nel d.lgs. 169/2019 (c.d. Decreto Milleproroghe), la quale ha sostanzialmente riprodotto nel nostro ordinamento il contenuto delle disposizioni poc’anzi richiamate. In tal maniera, si è dunque dato spazio alla possibilità di

attivare l’autoconsumo collettivo da fonti rinnovabili ovvero realizzare comunità energetiche rinnovabili

Orbene, così chiarito il quadro normativo di riferimento, si rende opportuno osservare in primo luogo che il cambio di rotta segnato con tale disposizione è significativo giacché il singolo utente – il quale prima poteva provvedere al più alla produzione dell’energia finalizzata all’autoconsumo, con contestuale obbligo di cedere l’eventuale surplus alla rete – assume contestualmente la veste di produttore e consumatore e diviene egli stesso soggetto attivo, noto nel settore come autoconsumatore.

Attraverso le configurazioni giuridiche introdotte con l’art. 42-bis cit. è, quindi, possibile per ciascun cliente condividere l’energia prodotta non solo con i nuclei familiari residenti nel medesimo condominio e/o edificio ma finanche con

“eventuali esercizi commerciali, officine, supermercati o banche ed uffici vari, purché non abbiano la produzione e vendita di energia elettrica come attività principale”.

Di quanto introdotto dall’art. 42-bis del D.L. milleproroghe si è data piena attuazione mediante:

– le regole tecniche rese in data 20 dicembre 2020 da parte dello stesso ente istante (GSE) – che, si ricorda, è integralmente partecipato dallo Stato -, che hanno consentito di far divenire operativa, ancorché in via sperimentale, la disciplina delle comunità delle energie rinnovabili.

– la delibera n. 318/2020 del 4 agosto 2020 dell’ARERA;

– il D.M. del MISE del 16 settembre 2020.

L’ultimo tassello deve individuarsi nell’articolo 119 comma 16-bis del DL 34/2020, il quale prevede che

l’esercizio di impianti fino a 200kW di potenza da parte di Comunità energetiche costituite in forma di Enti non commerciali, e di Condomini, che aderiscono alle configurazioni di cui all’art. 42 bis del DL162/2019 (conv. In Legge n.8/2020), non costituisce svolgimento di attività commerciale abituale […]”.

3. Tenendo conto di tutte le previsioni introdotte, secondo la condivisibile ricostruzione elaborata dal gestore istante, sia la tariffa premio per l’autoconsumo che il ristoro degli oneri contenuti nella tariffa devono ritenersi somme non soggette ad IVA in ragione dell’assenza di un qualsiasi rapporto di natura sinallagmatica tra il gestore ed il soggetto referente che riceve le predette somme.

Quanto al corrispettivo per la vendita di energia, occorre, invece, compiere una distinzione. Ed invero, tale somma deve ritenersi esclusa dall’applicazione dell’IVA ove la vendita interessi l’energia prodotta da impianti aventi potenza inferiore ai 200kW e sia realizzata da: comunità energetiche che agiscono in qualità di ente che svolge esclusivamente attività istituzionale con scopo sociale e dunque che mira ad un beneficio ambientale, economico e sociale disponente di un impianto sito nelle vicinanze dei propri membri; da autoconsumatore collettivo che sia ente non commerciale, condominio o persona fisica che non esercita attività di impresa abituale o lavoro autonomo. Per contro, ove il referente proprietario eserciti in forma abituale un’attività commerciale, artistica e/o professionale, tale somma sarà ovviamente assoggettata ad IVA in regime di reverse charge.

Sotto il profilo dell’imposta sul reddito, a parere dell’istante deve ritenersi irrilevante sia la somma corrisposta a titolo di tariffa incentivante che quella a titolo di ristoro di oneri contenuti nelle tariffe, ove corrisposta alla persona fisica che non utilizza l’impianto nell’esercizio di un’attività commerciale; alla luce della risoluzione n. 18/E del 2021[1], tale lettura deve ritenersi parimenti valida anche ove la somma sia corrisposta a persone fisiche che partecipano all’autoconsumo in qualità di condomini ovvero alle comunità energetiche mentre, in ragione dell’art. 119, comma 16-bis, D.L. 34/2020, ove la configurazione giuridica (autoconsumo collettivo o comunità energetica) sia dotata di impianti aventi una potenza cumulata complessiva superiore al limite di 200kW, presumendosi che impianti di una simile potenza esercitano un’attività di impresa, allora tale somma costituisce un componente positivo di reddito ai sensi dell’art. 85 TUIR e, pertanto, deve essere assoggettato alla ritenuta di cui all’art. 28, d.p.r. 600/1973 (Ritenuta sui compensi per avviamento commerciale e sui contributi degli enti pubblici.). Infine, il corrispettivo versato per la vendita di energia viene valutato dall’istante come somma rilevante ai fini IRES e, in particolare, quale reddito diverso ai sensi dell’art. 67, comma 1, lett. i), TUIR, unicamente per il referente, che sia anche proprietario dell’edificio, persona fisica non imprenditore, che abbia aderito all’autoconsumo collettivo, con riferimento a quella quota di energia elettrica prodotta ed immessa in rete che ecceda l’energia elettrica condivisa fintantoché la potenza complessiva non superi i 200kW; ove il referente proprietario eserciti in forma abituale un’attività commerciale, tale somma, derivante dall’immissione in rete dell’energia prodotta, costituisce un ricavo ai fini IRES e IRAP.

4. Venendo ora alla posizione assunta dall’Agenzia delle Entrate, occorre osservare che tale provvedimento ha ripercorso la disciplina delle configurazioni giuridiche di cui all’art. 42-bis del d.l. milleproroghe evidenziando, in particolare, che il gruppo di autoconsumo è rappresentato da

“un insieme di almeno due clienti finali i cui punti di prelievo dell’energia sono ubicati all’interno del medesimo edificio o condominio e che agiscono collettivamente in virtù di un accordo privato, al fine di produrre energia elettrica rinnovabile da impianti di potenza non superiore a 200 kW ubicati nel medesimo edificio o condominio, per il proprio consumo avendo anche facoltà di immagazzinare o vendere le eccedenze non consumate”.

In tale contesto, in linea con quanto disposto dalle previsioni comunitarie nonché dalla disciplina transitoria interna dettata dal decreto milleproroghe, viene altresì chiarito che gli impianti possono essere di titolarità non solo del cliente finale facente parte del gruppo ovvero del condominio, ma finanche di un soggetto terzo, che potrebbe invero occuparsi anche solo della gestione. Deve naturalmente escludersi l’esistenza di una simile configurazione laddove la produzione e vendita dell’energia elettrica costituisca l’attività commerciale o professionale principale delle persone fisiche o giuridiche che partecipano al gruppo di autoconsumo.

La comunità energetica è, invece, definita come

“un soggetto giuridico la cui finalità principale è quella di fornire benefici ambientali, economici o sociali ai propri azionisti o membri o alle aree locali in cui opera, piuttosto che profitti finanziari”.

In piena conformità allo scopo perseguito in ambito comunitario di coinvolgere gli stessi clienti finali nella produzione dell’energia, l’art. 42-bis si cura altresì di precisare che possono accedere alla comunità energetica le persone fisiche, le PMI nonché gli enti territoriali e le autorità locali tra cui rientrano anche le amministrazioni comunali alla condizione, specificata altresì per gli autoconsumatori collettivi, per cui la partecipazione delle imprese private alla comunità in qualità di produttori e consumatori non costituisca l’attività commerciale e industriale principale.

Prima di rendere i chiarimenti richiesti, l’AF ha altresì precisato che assume il ruolo di referente della configurazione giuridica il soggetto

“a cui viene conferito congiuntamente dai produttori e dai clienti finali presenti all’interno della configurazione mandato per la gestione tecnica ed amministrativa della richiesta di accesso al servizio di valorizzazione e incentivazione e a sottoscrivere il relativo contratto con il (gestore, n.d.r.) per l’ottenimento dei benefici previsti dal suddetto servizio”.

A tale definizione di portata generale è seguita l’ulteriore precisazione per cui mentre il referente del gruppo di autoconsumatori può essere rappresentato dal condominio ovvero dal proprietario dell’edificio, purché non esercente attività di impresa, arte o professione, o ancora dal terzo gestore, il ruolo di referente della comunità energetica viene assunto dalla comunità stessa.

Procedendo gradatamente, sembra opportuno rilevare un primo e fondamentale passaggio nell’economia dell’analisi condotta dall’Agenzia delle Entrate al fine di individuare la qualificazione giuridica della tariffa premio: in particolare, come osservato nella già richiamata risoluzione n. 18/E del 2021, la tariffa incentivante prevista dal DM del MISE del 16 settembre 2020, in attuazione di quanto previsto dall’art. 42-bis del d.l. milleproroghe persegue lo scopo ben preciso di

“… incentivare l’autoconsumo istantaneo da parte deli soggetti che aderiscono alle configurazioni … e non la cessione di energia, al fine di ridurre l’immissione in rete di energia non autoconsumata”.

Il perseguimento di un simile scopo risulta peraltro ritraibile dalla stessa modalità di determinazione del quantum dovuto a titolo di tariffa incentivante, il cui meccanismo prevede che essa venga

“applicata al minor valore, calcolato per ciascuna ora, tra l’energia elettrica immessa in rete dagli impianti alimentati da fonti rinnovabili facenti parte della configurazione e l’energia elettrica prelevata dall’insieme dei clienti finali della configurazione”.

5. Orbene, dopo aver ripercorso il dettato normativo ricordando che:

– l’art. 42-bis del. D.L. milleproroghe prevede l’individuazione della tariffa sulla base del decreto del MISE, ai fini della “remunerazione degli impianti a fonti rinnovabili inseriti nelle configurazioni sperimentali (autoconsumatori collettivi e comunità energetiche, n.d.r.)”;

– osservando i criteri delineati da tale previsione, il decreto del MISE individua una tariffa premio pari a 110€/MWh a favore dell’impianto facente capo alla configurazione di autoconsumo collettivo e pari a 110€/MWh a favore dell’impianto a disposizione della configurazione di comunità energetica rinnovabile,

l’Amministrazione Finanziaria ha espresso il proprio parere in merito alla qualificazione giuridica di somme aventi una simile natura rinviando alla circolare n. 34/E del 2013 con la quale era stato evidenziato compiutamente evidenziato che un contributo può assumere rilevanza ai fini IVA solo ed esclusivamente se erogato

a fronte di un’obbligazione di dare, fare, non fare o permettere, ossia quando si è in presenza di un rapporto obbligatorio a prestazioni corrispettive e tra le parti intercorre un rapporto giuridico sinallagmatico, nel quale il contributo ricevuto dal beneficiario costituisce il compenso per l servizio effettuato o per il bene ceduto”.

Muovendo da tale incontestato presupposto ai fini dell’applicazione dell’imposta sul valore aggiunto, per comprendere la natura di corrispettivo ovvero di contributo di una determinata somma, è dunque necessario conoscere quale sia il fondamento giuridico sulla base del quale avviene l’erogazione e, dunque, accertare se quest’ultima sia o meno giustificata da una controprestazione.

In tale contesto, è dunque opportuno chiarire – come l’AF ha peraltro già fatto con il precedente intervento poc’anzi richiamato -, che deve escludersi la sussistenza di un rapporto contrattuale di cui essa stessa è parte laddove una somma viene elargita

in esecuzione di norme che prevedono l’erogazione di benefici al verificarsi di presupposti predefiniti.

In simili premesse, avendo riguardo al caso di specie, non può che condividersi la posizione assunta dall’Agenzia delle entrate, la quale esclude la tariffa incentivante dall’ambito di applicazione dell’IVA, giacché tale somma rappresenta a tutti gli effetti un contributo a fondo perduto che non viene reso a fronte di una specifica controprestazione ma elargito al fine di incentivare la produzione e l’autoconsumo di energia sulla base di quanto previsto dal decreto del MISE in favore del soggetto referente della configurazione.

Più nel dettaglio, è appena il caso di osservare che, perché collegata all’energia prodotta da ciascun impianto e poi condivisa, tale somma assolve la specifica funzione di remunerare gli impianti rinnovabili costruiti e, allo stesso tempo, di finanziare l’investimento effettuato nei medesimi, senza che possa rinvenirsi alla base alcun sinallagma contrattuale.

Secondo la posizione – anche in tal caso pienamente condivisibile – assunta dall’Agenzia delle Entrate, il medesimo trattamento fiscale ai fini IVA deve essere riservato anche al ristoro di componenti tariffarie integranti “oneri generali di sistema”, in cui vengono ricomprese dall’ARERA:

– la componente “TRAS”, che rappresenta la tariffa di trasmissione;

– la componente “BTAU”, che rappresenta la variabile della tariffa di distribuzione;

– le perdite di rete evitate.

Andando con ordine, in merito a tali componenti occorre innanzitutto chiarire che il comma 8 del medesimo articolo 42-bis dispone che l’ARERA, con proprio provvedimento, deve individuare

“anche in via forfetaria, il valore delle componenti tariffarie disciplinate in via regolata, nonché di quelle connesse al costo della materia prima energia, che non risultano tecnicamente applicabili all’energia condivisa, in quanto energia istantaneamente autoconsumata sulla stessa porzione di rete di bassa tensione e, per tale ragione, equiparabile all’autoconsumo fisico in situ”.

In questo solco, nel prevedere che la determinazione della tariffa incentivante tenga conto anche di ulteriori elementi rispetto a quelli indicati ai fini della determinazione della tariffa stessa, il successivo comma 9 dispone che:

“d) il meccanismo (di determinazione, n.d.r.) è realizzato tenendo conto dell’equilibrio complessivo degli oneri in bolletta e della necessità di non incrementare i costi tendenziali rispetto a quelli dei meccanismi vigenti;

e) è previsto un unico conguaglio, composto dalla restituzione delle componenti di cui al comma 8, lettera b), compresa la quota di energia condivisa, e dalla tariffa incentivante di cui al presente comma.”

Nella cornice delineata dalla normativa primaria, la delibera dell’ARERA interviene a guidare l’indagine in merito alla qualificazione civilistica di tali somme le quali vengono individuate come degli importi il cui versamento è stato già effettuato da parte del produttore e che vengono restituiti dal gestore della rete (i.e. l’istante) a fronte dell’evitata trasmissione dell’energia in rete che questi impianti permettono e costituiscono, pertanto, come chiarito nella citata risoluzione n. 18/E del 2021, un “contributo aggiuntivo dovuto alle perdite di rete evitate”.

Rimanendo ancora su di un piano squisitamente giuridico, è utile osservare che, richiamando quanto disposto dalla delibera ARERA n. 318 del 2020, tali somme sono volte a premiare l’autoconsumo di energia rinnovabile da cui è possibile ritrarre benefici riconducibili

“alla riduzione del transito sulle reti e, conseguentemente, alla riduzione delle perdite di rete e, in prospettiva, anche alla riduzione dei costi di connessione alla rete e alla riduzione della necessità di potenziamento delle reti esistenti o di realizzazione di nuove reti”.

Proprio in ragione del fatto che il loro fondamento giuridico si ravvisa, così come per la tariffa premio, nel decreto milleproroghe e che viene anch’esso erogato in un’ottica premiale (connessa alla riduzione di costi) ed incentivante, a favore del soggetto referente del gruppo di autoconsumo collettivo o dalla comunità energetica in assenza di controprestazione resa al soggetto erogatore, anche tali somme configurano un contributo a fondo perduto.

Come sostenuto dall’Agenzia delle Entrate, è dunque condivisibile l’esclusione dall’ambito di applicazione dell’IVA ai sensi dell’articolo 2, comma 3, lett. a) del d.P.R. n. 633 del 1973.

L’ultima somma rispetto alla quale l’istante richiede chiarimenti è rappresentata dall’importo che, sulla base dell’art. 13, comma 3, d.lgs. 378/2003, viene corrisposto da parte dell’ente gestore a favore del produttore autoconsumatore a fronte della “cessione” dell’energia prodotta e immessa in rete che resta nella disponibilità del referente dalla configurazione con facoltà di cessione proprio al gestore.

Ciò doverosamente chiarito, in linea con la lettura prospettata dal contribuente, l’Agenzia delle Entrate osserva che laddove – come presumibile – l’impianto non abbia una potenza superiore a 200 kW ed il referente del gruppo di autoconsumo ovvero della comunità energetica non svolga l’attività di produzione in forma abituale, non sussistendo il presupposto oggettivo rilevante ai fini IVA, ne deriva che le somme corrisposte al referente da parte del gestore a titolo di corrispettivo e quale contropartita per la vendita di energia rinnovabile, non vengano assoggettati ad imposta.

Considerazioni diametralmente opposte sono invece richieste nel caso in cui il referente della configurazione giuridica ceda l’energia prodotta e mantenuta nella propria disponibilità nel corso dell’ordinario esercizio della propria attività commerciale. In tale circostanza, viene pienamente ad integrarsi il presupposto oggettivo così come delineato dal d.p.r. 633/1972 e, pertanto, la somma corrisposta assumerà rilievo ai fini IVA, cui si darà applicazione in regime di reverse charge ai sensi dell’art. 17, comma 6, lett. d-quater, d.p.r. 633/1972.

6. Avendo ora riguardo al trattamento ai fini IRES delle medesime somme, l’Agenzia delle entrate ha osservato, in primo luogo, che per le somme corrisposte dal gestore al referente persona fisica non esercente attività d’impresa, arte o professione, vale quanto chiarito con la risoluzione n. 18/E del 2021 con riferimento alle ipotesi di condomini composti da sole persone fisiche (non esercenti attività di impresa, arte o professione) a cui il condominio referente ribalta quanto percepito.

A tale proposito, viene dunque illustrato che, costituendo sia la tariffa premio che le componenti tariffarie restituite un contributo a fondo perduto, entrambe devono ritenersi irrilevanti ai fini IRES in quanto non riconducibili ad alcuna categoria reddituale; diversamente, il corrispettivo elargito dal gestore per la vendita dell’energia cedutagli da parte del referente configura un reddito diverso rientrante nella categoria dei redditi diversi di cui all’art. 67, comma 1, lett. i), TUIR.

Le medesime considerazioni spese con riferimento alla tariffa premio e le componenti tariffarie valgono anche laddove le somme aventi tale natura vengano erogate in favore di comunità energetiche che svolgono esclusivamente attività istituzionali. Tuttavia, per questi soggetti occorre compiere un’ulteriore riflessione in merito al corrispettivo elargito per la vendita di energia in quanto, diversamente da quanto osservato in ambito IVA, tale somma acquisisce rilevanza reddituale in quanto incamerata per lo svolgimento di attività commerciale ancorché non abituale.

Nel caso appena esposto, in cui – si ricorda – il referente non svolge attività commerciale, tale importo rappresenterà una componente di reddito riconducibile alla categoria dei redditi diversi di cui all’art. 67, comma 1, lett. i) e, dunque, proprio tra “i redditi derivanti da attività commerciali non esercitate abitualmente”.

Il trattamento fiscale delle somme in discussione cambia radicalmente laddove il referente della configurazione giuridica svolga attività di impresa in quanto in tale circostanza sia la tariffa incentivante che la somma corrisposta a titolo di ristoro costituiranno un componente positivo di reddito cui dovrà essere applicata dal soggetto istante una ritenuta ex art. 28, comma 2, d.p.r. 600/1973.

A fortiori si qualifica come corrispettivo l’importo erogato a fronte della vendita dell’energia prodotta che, sebbene immessa nella rete, rimanga nella disponibilità della comunità energetica.

Infine, viene puntualizzato altresì che, tenendo conto del disposto di cui all’art. 119, comma 16-bis, d.l. 34/2020, avranno rilevanza reddituale tutte le somme (i.e. tariffa incentivante; componenti tariffarie restituite e corrispettivo per la vendita dell’energia) che vengono elargite in favore del referente della configurazione giuridica che, utilizzando impianti aventi una potenza cumulata complessivamente maggiore di 200kW, deve ritenersi esercente un’attività commerciale abituale.

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[1] Con questa risoluzione, l’Agenzia delle Entrate ha fornito chiarimenti in merito alle condizioni di accesso al Superbonus e alle detrazioni previste per la riqualificazione energetica ai sensi dell’art. 16-bis TUIR per le comunità energetiche rinnovabili costituite in forma di enti non commerciali o per i condomini che aderiscono alle configurazioni di cui all’art. 42-bis del d.l. milleproroghe.

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