13/10/2022

Attraverso il presente contributo si vuole compiere un breve excursus delle norme di legge e degli interventi di prassi che regolano la tassazione delle cosiddette “agroenergie” e, in particolare, della cessione di energia elettrica e calorica derivante da fonti rinnovabili fotovoltaiche prodotta dall’imprenditore agricolo in connessione con l’esercizio delle attività tipiche e principali di cui all’art. 2135 c.c..

Il tema non appare scontato, in quanto la sua disciplina è il risultato di un approccio, per così dire, “integrato”, nell’ambito del quale le lacune del legislatore vengono colmate, appunto, da alcuni interventi dell’Amministrazione finanziaria, destinati quasi ad avere (impropriamente) efficacia normativa.  Tra questi è presente, da ultimo, la recente risposta ad interpello dell’Agenzia delle Entrate n. 319 del 1° giugno 2022, che aggiungendo un ulteriore contributo interpretativo alla materia che ci occupa merita senz’altro di essere brevemente esaminata in questa sede.

Per comprendere appieno i profili che saranno esaminati, appare preliminarmente opportuno ricordare che, ai sensi dell’art. 2135 c.c., conferiscono la qualifica di imprenditore agricolo e danno luogo, quindi, alla produzione di reddito agrario non solo le attività principali e tipiche individuate dal comma 1 della norma richiamata (coltivazione del fondo, selvicoltura, allevamento di animali), ma anche le cosiddette attività “connesse” a quelle appena menzionate, dai intendersi ai sensi del successivo comma 3 come quelle

“esercitate dal medesimo imprenditore agricolo, dirette alla manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione che abbiano ad oggetto prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo o del bosco o dall’allevamento di animali, nonché le attività dirette alla fornitura di beni o servizi mediante l’utilizzazione prevalente di attrezzature o risorse dell’azienda normalmente impiegate nell’attività agricola esercitata, ivi comprese le attività di valorizzazione del territorio e del patrimonio rurale e forestale, ovvero di ricezione ed ospitalità come definite dalla legge”.

Tra queste rientra la “produzione e la cessione di energia elettrica e calorica da fonti rinnovabili agroforestali” – cosiddette agroenergie – che ricomprende un campo assai ampio di attività non tipizzate, come la produzione e cessione di carburanti vegetali e di prodotti chimici derivanti da prodotti agricoli, senz’altro ad oggi incentivata dalla normativa vigente, fiscale e non. Si colloca in questo insieme anche il fotovoltaico, che per propria natura assume una posizione assai peculiare. Mentre, infatti, per le altre attività “agroenergetiche” è possibile rilevare la connessione all’agricoltura sulla base di un parametro oggettivo, come quello del prevalente utilizzo – più o meno diretto – dei prodotti del fondo, altrettanto non può dirsi per quest’ultimo.

Il primo tentativo di regolare fiscalmente questo nucleo di attività –  non incasellabili in stereotipi standardizzati e, pertanto, in continua espansione grazie all’affinamento delle tecniche produttive che interessano il settore – è stato compiuto dal legislatore attraverso l’art. 1, comma 423 della L. n. 266/2005, ai sensi del quale: “Ferme restando le disposizioni tributarie in materia di accisa, la produzione e la cessione di energia elettrica e calorica da fonti rinnovabili agroforestali, sino a 2.400.000 kWh anno, e fotovoltaiche, sino a 260.000 kWh anno, nonché di carburanti e prodotti chimici di origine agroforestale provenienti prevalentemente dal fondo, effettuate dagli imprenditori agricoli, costituiscono attività connesse ai sensi dell’articolo 2135, terzo comma, del codice civile e si considerano produttive di reddito agrario. Per la produzione di energia, oltre i limiti suddetti, il reddito delle persone fisiche, delle società semplici e degli altri soggetti di cui all’articolo 1, comma 1093, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, è determinato, ai fini IRPEF ed IRES, applicando all’ammontare dei corrispettivi delle operazioni soggette a registrazione agli effetti dell’imposta sul valore aggiunto, relativamente alla componente riconducibile alla valorizzazione dell’energia ceduta, con esclusione della quota incentivo, il coefficiente di redditività del 25 per cento, fatta salva l’opzione per la determinazione del reddito nei modi ordinari, previa comunicazione all’ufficio secondo le modalità previste dal regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 10 novembre 1997, n. 442”.

In buona sostanza la richiamata disposizione stabilisce, quindi, che la produzione e cessione, da parte di un imprenditore agricolo, di energia elettrica e calorica da fonti rinnovabili fotovoltaiche sino a 260.000 kWh anno identificano attività connesse ex art. 2135 comma 3 c.c. e si considerano produttive di reddito agrario. Diversamente, la produzione eccedente tale soglia genera reddito d’impresa, da determinarsi forfetariamente (salvo opzione contraria) applicando un coefficiente di redditività del 25%.

Ebbene, nel silenzio della normativa, che non individua espressamente i parametri oggettivi sulla base dei quali poter qualificare un’attività diversa da quelle strettamente agricole come comunque “connessa” a queste ultime, e quindi produttiva di reddito agrario, è intervenuta l’Agenzia delle Entrate, che con la circolare n. 32 del 6 luglio 2009 ha, appunto, autonomamente determinato, in via mutualistica, alcuni dei requisiti che devono sussistere per considerare la produzione di energia fotovoltaica connessa all’attività agricola.

Nel farlo l’Amministrazione finanziaria si è espressamente riportata a quanto già precedentemente affermato dal Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali attraverso la nota n. 3896 del 27 luglio 2008, sostenendo che può ritenersi rispettato il principio prevalenza di dell’attività agricola rispetto a quella di produzione di energia a condizione che:

  1. la produzione di energia fotovoltaica derivi da impianti con integrazione architettonica o parzialmente integrati, come definiti dall’articolo 2 del Dm 19 febbraio 2007, realizzati su strutture aziendali esistenti;
  2. il volume d’affari derivante dall’attività agricola (esclusa la produzione di energia fotovoltaica) sia superiore al volume d’affari della produzione di energia fotovoltaica eccedente i 200 kW, al netto degli incentivi erogati per la produzione di energia fotovoltaica;
  3. entro il limite di 1 mW per azienda, per ogni 10 kW di potenza installata eccedente il limite dei 200 kW, l’imprenditore dimostri di detenere almeno un ettaro di terreno utilizzato per l’attività agricola.

La legge di stabilità 2016 ha, poi, successivamente introdotto un nuovo sistema a beneficio delle attività di produzione di energia da fotovoltaico e biomassa stabilendo, in buona sostanza:

  • per il fotovoltaico: una soglia di esenzione fino a 260.000 kwh, oltre la quale si procede con tassazione forfetaria;
  • per la biomassa: una soglia di esenzione fino a 2.400.000 Kwh, oltre la quale si procede con tassazione forfetaria.

Gli interventi sul tema complementari (e forse anche di più) a quelli legislativi – gli unici che, a dire il vero, sarebbero deputati alla produzione normativa, in coerenza con i principi di riserva di legge e buon andamento della Pubblica Amministrazione di cui agli artt. 23 e 97 della Costituzione – non provengono, però, solo dall’Amministrazione Finanziaria, in quanto anche la Consulta ha fornito il proprio contributo interpretativo.

La Corte costituzionale, infatti, con la sentenza n. 66 del 24 aprile 2015 ha individuato altri parametri da tenere in considerazione per poter riscontrare la connessione all’attività agricola, stabilendo che anche per la produzione di energia fotovoltaica deve farsi riferimento al criterio di prevalenza individuato dall’art. 2135 c.c., in quanto ad assumere rilevanza “è il fondo, quale «risorsa» primaria dell’impresa agricola, che, anche quando sia utilizzato per la collocazione degli impianti fotovoltaici (…) deve comunque risultare «normalmente impiegat[a]» nell’attività agricola”. 

Nel frammentario quadro appena descritto interviene, da ultimo, la sopra menzionata risposta ad interpello dell’Agenzia delle Entrate n. 319 del 1° giugno 2022, con la quale sono stati offerti precisi chiarimenti in ordine:

  • alla rilevanza dei requisiti individuati in via “extra-normativa” dalla prassi per poter considerare la produzione di energia fotovoltaica connessa all’attività agricola;
  • al rapporto sussistente tra di essi in base alla loro reciproca concorrenza.

Nella fattispecie esaminata l’istante rappresenta di essere una società semplice che, oltre a svolgere un’attività agricola in via principale su terreni di proprietà e in affitto, è anche titolare di due distinti impianti fotovoltaici collocati sui medesimi fondi, produttivi di energia fotovoltaica generatrice di reddito.

L’istanza presentata all’Agenzia delle Entrate è finalizzata a sapere se il suddetto reddito possa ritenersi connesso o meno all’attività agricola principale, posto che i due diversi impianti soddisfano i requisiti individuati dalla menzionata circolare AE n. 32 del 6 luglio 2009, ma in modo diverso.

Ed infatti, è specificato che:

  • il primo dei due impianti è in possesso del requisito di cui alla lettera c) della circolare (nel limite di 1 mW per azienda, per ogni 10 kW di potenza installata eccedente il limite dei 200 kW, l’imprenditore dimostra di detenere almeno un ettaro di terreno utilizzato per l’attività agricola);
  • mentre il secondo impianto, invece, è in possesso del requisito di cui alla lettera a) della circolare (produzione di energia fotovoltaica che deriva da impianti con integrazione architettonica o parzialmente integrati, come definiti dall’articolo 2 del Dm 19 febbraio 2007, realizzati su strutture aziendali esistenti).

L’occasione è uno spunto utile per chiarire se, appunto, i requisiti individuati dalle lettere a), b) e c) della circolare AE n. 32 del 6 luglio 2009:

  1. debbano essere tutti sussistenti e con riferimento a ciascun impianto considerato (o comunque sia posto un limite numerico minimo alla loro presenza per poter configurare il reddito come agrario);
  2. una volta fornita risposta negativa al precedente e preliminare quesito, possano concorrere anche in diversa misura e tipologia per ciascun distinto impianto.

Nel parere fornito l’Agenzia delle Entrate ripercorre il quadro storico sopra sintetizzato, rilevando, appunto, come sia predominante il ruolo della prassi nel determinare quali siano le caratteristiche – omesse dal legislatore – in presenza delle quali la produzione di energia proveniente da un impianto fotovoltaico possa considerarsi un’attività connessa a quella agricola principale.

L’Amministrazione Finanziaria è molto chiara nell’affermare, innanzitutto, che non è posto un limite al numero di requisiti da soddisfare per provare la connessione in esame. Si legge, infatti, nel documento di prassi in esame:

“Riguardo alla possibilità di considerare come connesso alla attività agricola il reddito derivante da due diversi impianti fotovoltaici installati all’interno del fondo agricolo dell’Istante, la citata circolare n. 32/E del 2009 non ha indicato limiti al numero di requisiti da soddisfare per provare la connessione tra attività agricola e produzione e vendita di energia da fotovoltaico”.

Ciò significa, quindi, che appare esclusa la necessaria e cumulativa concorrenza dei requisiti in questione per considerare come agrario il reddito derivante dalla produzione di energia elettrica e calorica da fonti rinnovabili e fotovoltaiche connessa all’attività agricola che vede come protagonista lo sfruttamento del fondo.

Ciò precisato, dalle parole dell’Agenzia delle Entrate appare, poi, possibile evincersi che la sussistenza delle predette caratteristiche sia da interpretare in modo “flessibile” e non rigoroso, laddove non è richiesto che i due impianti – benchè appartenenti alla stessa Società e connessi alla medesima attività agricola principale condotta dall’istante – siano unitariamente considerati e dotati della medesima tipologia di requisito, ben potendo soddisfare ciascuno una condizione diversa dall’altra. Nella risposta ad interpello qui esaminata si afferma, infatti, conclusivamente:

Ne consegue che, in presenza di impianti che soddisfino almeno uno dei requisiti di cui alle succitate lettere a), b) e c) della circolare 32/E del 2009 e nel rispetto del principio di prevalenza dell’attività agricola rispetto a quella di produzione di energia, sia possibile considerare il reddito derivante da entrambi come connesso.
Per le suesposte considerazioni, si ritiene, che l’Istante potrà determinare il reddito derivante dalla produzione di energia elettrica da fonte fotovoltaica beneficiando dell’applicazione al fatturato di vendita dell’energia elettrica prodotta da entrambi gli impianti del coefficiente di redditività del 25 per cento, secondo quanto previsto dall’
articolo 1 comma 423, della legge 23 dicembre 2005, n. 266”.

Un pregio che merita di essere sicuramente riconosciuto al documento in questione è quello di aver eliminato ogni dubbio in merito alla validità e alla portata dei criteri ermeneutici offerti dalla prassi sul tema che ci occupa. E’ infatti negli interventi dell’Agenzia delle Entrate, del Ministero e della Consulta che si rinvengono le linee guida e gli “indici rivelatori” di una connessione rilevante ai sensi dell’art. 2135 c.c. tra la produzione di energia fotovoltaica e l’attività principale svolta dall’imprenditore agricolo.

La conferma di tale impostazione, tuttavia, presta il fianco a non poche perplessità nella misura in cui è, di fatto, evidente che ci si trovi di fronte ad un caso di produzione normativa “extra-legislativa” come sopra anticipato, la cui legittimità – per quanto essa sia chiarificatrice e stabilmente suppletiva – appare dubbia sotto il profilo costituzionale.

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