13/10/2022

Nel silenzio della legge, ed in assenza di chiarimenti ufficiali intervenuti sul punto, ancora oggi gli operatori si interrogano circa la possibilità per le società semplici di fruire dell’agevolazione di cui agli artt. 119 e ss. del d.l. n. 34/2020 (“d.l. Rilancio”) in relazione alle spese sostenute da queste ultime per la realizzazione di interventi di efficientamento energetico o di riduzione del rischio sismico su immobili di proprietà.

Tale possibilità, nonostante le “speranze” ingenerate da alcuni documenti di prassi nonché dalle più recenti Istruzioni alla compilazione del Modello di dichiarazione dei redditi delle società di persone, sembra tuttavia doversi escludere. Ciò sulla base di diversi ordini di considerazioni, che si cercherà di esporre brevemente qui di seguito.

Anzitutto, il primo, fondamentale elemento che depone per l’esclusione delle società di persone dalla platea di potenziali beneficiari dell’agevolazione in discorso sembra offerto dal dato letterale dell’art. 119, co. 9, d.l. Rilancio, il quale stabilisce i requisiti soggettivi per l’accesso al Superbonus. Ed invero, la norma citata prevede testualmente che le disposizioni di cui ai commi da 1 a 8 (che descrivono gli interventi agevolabili e la misura della detrazione spettante) si applicano agli interventi effettuati:

  1. “dai condomini e dalle persone fisiche, al di fuori dell’esercizio di attività di impresa, arte o professione, con riferimento agli interventi su edifici composti da due a quattro unità immobiliari distintamente accatastate, anche se posseduti da un unico proprietario o in comproprietà da più persone fisiche;

  1. dalle persone fisiche, al di fuori dell’esercizio di attività di impresa, arti e professioni, su unità immobiliari, salvo quanto previsto al comma 10;

  2. dagli istituti autonomi case popolari (IACP) comunque denominati nonché dagli enti aventi le stesse finalità sociali dei predetti istituti, istituiti nella forma di società che rispondono ai requisiti della legislazione europea in materia di “in house providing” per interventi realizzati su immobili, di loro proprietà ovvero gestiti per conto dei comuni, adibiti ad edilizia residenziale pubblica;

  3. dalle cooperative di abitazione a proprietà indivisa, per interventi realizzati su immobili dalle stesse posseduti e assegnati in godimento ai propri soci;

  4. dalle organizzazioni non lucrative di utilità sociale di cui all’articolo 10 del decreto legislativo 4 dicembre 1997, n. 460, dalle organizzazioni di volontariato iscritte nei registri di cui all’articolo 6 della legge 11 agosto 1991, n. 266, e dalle associazioni di promozione sociale iscritte nel registro nazionale e nei registri regionali e delle province autonome di Trento e di Bolzano previsti dall’articolo 7 della legge 7 dicembre 2000, n. 383;

  5. dalle associazioni e società sportive dilettantistiche iscritte nel registro istituito ai sensi dell’articolo 5, comma 2, lettera c), del decreto legislativo 23 luglio 1999, n. 242, limitatamente ai lavori destinati ai soli immobili o parti di immobili adibiti a spogliatoi”.

Com’è facile intuire, la richiamata disposizione non contempla espressamente fra i beneficiari dell’agevolazione le società semplici, prevedendo un elenco “qualitativamente” tassativo di soggetti ammessi all’effettuazione degli interventi agevolati e al sostenimento delle relative spese (ossia: condomini, persone fisiche, IACP o enti a questi assimilati, ONLUS/associazioni di volontariato/enti del terzo settore e assimilati, etc.), che non pare in alcun modo idoneo a ricomprendere al suo interno le società semplici.

In tale contesto, giova peraltro sottolineare che l’elencazione proposta dal comma 9, cit., non potrebbe neppure essere oggetto di ampliamento in via interpretativa, in quanto l’art. 119, coerentemente con la sua natura di norma agevolativa, è necessariamente soggetto ad un criterio di stretta interpretazione che, per dirla con le parole della Suprema Corte, è “rigorosamente legato al dato letterale” della disposizione medesima ([1]). La norma, dunque, non solo non contempla espressamente le società semplici fra i soggetti di cui al comma 9, ma, a ben vedere, non può essere neppure interpretata estensivamente in quanto norma eccezionale, derogatoria rispetto all’ordinario regime di imposizione fiscale.

A tale prima osservazione si aggiunge, poi, una considerazione di carattere più sistematico. Infatti, non può non rilevarsi come dalla norma in commento emerga una spiccata volontà legislativa tesa ad escludere dal novero dei soggetti ammessi a fruire del beneficio de quo le formazioni sociali di cui al libro V del codice civile (con l’unica, espressa eccezione delle cooperative di abitazione a proprietà indivisa di cui alla lett. d) del comma 9, cit.).

Ne deriva che la natura societaria del soggetto che sostiene le spese per la realizzazione degli interventi di cui all’art. 119 appare di per sé preclusiva della fruibilità dell’agevolazione ([2]), e ciò a prescindere i) dalla natura commerciale o meno dell’attività svolta dall’ente, nonché ii) dal riconoscimento o meno in capo al medesimo della personalità giuridica.

Anche alla luce di tale ultima considerazione, sembra quindi doversi negare alla società semplice la possibilità di fruire dell’agevolazione in parola nell’ipotesi di spese sostenute dalla medesima per la realizzazione dei richiamati interventi.

Ed invero, sebbene la società semplice non eserciti (melius, non possa esercitare, in forza del chiaro disposto dell’art. 2249 c.c.) attività di natura commerciale e non sia dotata di personalità giuridica “piena”, essa rappresenta un soggetto di diritto, inteso quale centro di imputazione di rapporti giuridici autonomi, distinto rispetto ai suoi soci ([3]). Con la conseguenza che non sarebbe possibile imputare il beneficio fiscale in capo alla società semplice “oltrepassando” lo schermo societario ed accertando la sussistenza dei requisiti soggettivi di cui al comma 9, cit. direttamente in capo ai soci suddetti.

A conferma di quanto appena osservato, vale la pena sottolineare che i chiarimenti di prassi intervenuti in tema di Superbonus e società semplice hanno riconosciuto esclusivamente in capo ai “titolari”, ai “soci” ovvero ai “dipendenti” della s.s. la possibilità di fruire del Superbonus in relazione alle spese sostenute in proprio per interventi realizzati su immobili residenziali di proprietà della società ed effettivamente destinati ad uso abitativo, in quanto concessi in godimento a vario titolo (ad es., mediante contratti di locazione o comodato) ai predetti soggetti in qualità di “persone fisiche al di fuori dell’esercizio di attività d’impresa, arte o professione” (cfr. circolare n. 30/2020, par. 2.1.3circ. n. 23/2022, par. 1.1.; risposta ad interpello della Direzione Centrale pers. Fisiche n. 62/2022).

Come anticipato in premessa, i maggiori dubbi circa l’ammissibilità al Superbonus delle spese sostenute “in prima persona” dalle società semplici sono sorti a seguito dell’introduzione, nel Modello Redditi Società di Persone 2021 (si vedano le  in Istruzioni al Modello SP 2022), del nuovo quadro RP, all’interno del quale devono essere indicate le “spese che danno diritto ad una detrazione d’imposta” (i.e. bonus edilizi cc.dd. “ordinari” e Superbonus).

Infatti, all’interno delle richiamate Istruzioni (v. paragrafo 17), si legge, dapprima, che:

’L’art. 16-bis del TUIR prevede la detrazione delle spese sostenute per interventi di recupero del patrimonio edilizio e di riqualificazione energetica degli edifici (…).

Nel presente quadro vanno indicate le spese documentate sostenute nel 2021 ed effettivamente rimaste a carico della società o associazione per la realizzazione degli interventi di cui al citato art. 16-bis su immobili posseduti o detenuti sulla base di un titolo idoneo. Per tali spese il singolo socio ha diritto a una detrazione d’imposta nella misura del 50 per cento delle spese sostenute, nel limite massimo di 96.000 euro per unità immobiliare (…)”.

Lo stesso documento, più avanti, con specifico riferimento al Superbonus, precisa poi che:

Per le spese sostenute, relative a tali interventi, dal 1° luglio 2020 al 30 giugno 2022, per i contribuenti di cui al comma 9 dell’art. 119 del decreto-legge n. 34 del 2020 (ad esempio, società semplici agricolecfr. circolare 30/E del 22 dicembre 2020), l’aliquota delle detrazioni spettanti è elevata al 110 per cento;”

Le indicazioni ora richiamate non devono tuttavia trarre in inganno.

Ed invero, la prima, nel riferirsi agli interventi di cui all’art. 16-bis TUIR (ossia, agli interventi agevolabili con i bonus cc.dd. ordinari), fa esplicito riferimento alle “spese effettivamente rimaste a carico della società o associazione” – vale a dire, alle spese sostenute direttamente dalla società – e attribuisce la relativa detrazione al “socio” in quanto tale (com’è fisiologico che sia, stante l’applicabilità a tali società del regime di tassazione per trasparenza ex art. 5 TUIR). La seconda, invece, nel richiamare espressamente la detrazione prevista nella misura del 110% (Superbonus), precisa che la medesima spetta non a qualsiasi soggetto (quindi, non al socio in ragione del particolare status che questi riveste ai fini impositivi), bensì ai “contribuenti di cui al comma 9” dell’art. 119, così espressamente rinviando ai requisiti soggettivi ivi stabiliti.

Tale difformità terminologica, a ben vedere, trova la propria giustificazione nella diversa estensione della platea di soggetti ammessi a beneficiare delle agevolazioni in parola (ossia gli interventi di cui all’art. 16-bis TUIR, da un lato, e gli interventi cd. “superbonus”, dall’altro). Ed infatti, mentre i bonus ad aliquota ordinaria (ecobonus, sismabonus, bonus ristrutturazioni, etc.) non prevedono pressoché alcuna limitazione con riferimento ai requisiti soggettivi di accesso (ricomprendendo fra i potenziali fruitori anche i soggetti passivi IRES e, più in generale, gli esercenti attività d’impresa, arte o professione, le società di persone, e così via), al contrario, come già evidenziato retro, il Superbonus è riservato ad un novero assai ristretto di beneficiari, puntualmente individuati dal comma 9, cit..

Muovendo da tali ultime considerazioni, dunque, nonostante all’interno delle Istruzioni l’Agenzia sembri riferirsi alle “società semplici agricole” quali diretti beneficiari dell’agevolazione di cui all’art. 119 (richiamando a tal fine la circolare n. 30/2020), non può non osservarsi come la stessa formulazione utilizzata nelle Istruzioni, laddove menziona i “contribuenti di cui all’art. 119”, sembri voler richiamare proprio l’elenco tassativo previsto dalla norma.

Del resto, sul punto non va trascurato che, come visto in precedenza, la circolare n. 30 non ammette affatto la società semplice tra i diretti beneficiari del Superbonus né, tantomeno, afferma che il socio/titolare possa beneficiare della detrazione (esclusivamente) in ragione di tale qualità, senza possedere, altresì, un “titolo idoneo” (locazione/comodato, ecc), come invece costantemente affermato dalla stessa Amministrazione.

Ora, esclusa la diretta fruibilità da parte della s.s. del Superbonus in virtù di quanto sin qui rilevato, ci si chiede quale sia la funzione del rinvio operato dalle Istruzioni al Modello SP all’agevolazione in parola, vale a dire quali siano le ipotesi in cui – a fronte di una spesa sostenuta direttamente dalla società per la realizzazione di interventi agevolabili ex art. 119 – la relativa detrazione sia riconosciuta in capo ad uno dei contribuenti di cui al comma 9 della richiamata disposizione.

La soluzione a tale interrogativo pare doversi rinvenire non nel riconoscimento “diretto” della qualità di beneficiario dell’agevolazione in capo alla società, quanto, piuttosto, nell’esigenza di “far dialogare” la dichiarazione dell’ente con quella del socio (cui sarà materialmente imputata la detrazione pro-quota) in tutti i casi in cui le spese sostenute dalla società risultino “indirettamente” agevolabili in quanto riferibili formalmente ad uno dei soggetti di cui al richiamato comma 9. Il che si verificherebbe, ad esempio, nelle ipotesi in cui la società operi in qualità di condòmino sostenendo le spese per gli interventi realizzati sulle parti comuni dell’edificio in condominio. In tal caso, infatti, beneficiario “diretto” della detrazione (per i soli interventi realizzati sulle parti comuni) è il condominio stesso, il quale, tuttavia, non può che sostenere le relative spese ripartendole fra i singoli condòmini in proporzione alle rispettive quote millesimali, con la conseguenza che, da un lato, le relative spese saranno agevolate anche se sostenute da soggetti non ammessi al beneficio (quali, appunto, le società), e, dall’altro, confluiranno (sempre pro-quota) nelle relative dichiarazioni dei redditi. Nel caso della società semplice, poiché opera il regime di trasparenza, tale detrazione dovrà quindi essere evidenziata prima nel quadro RP del Modello SP, per poi essere ripartita fra i singoli soci e scomputata dall’imposta lorda risultante dalle dichiarazioni di questi ultimi.

Viceversa, negli altri casi, sembra doversi concludere nel senso che, al fine di beneficiare della detrazione, la spesa debba essere sostenuta direttamente dal socio persona fisica, in qualità di detentore a vario titolo dell’unità immobiliare di proprietà della società, con la conseguenza che la relativa spesa non transiterà affatto nella dichiarazione dei redditi della società semplice, bensì confluirà direttamente nella dichiarazione del socio/beneficiario.

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[1] Cfr. ex pluribus; Cass. Civ. sez. un., sent. n. 11373/2015, secondo cui costituisce “principio assolutamente consolidato nella giurisprudenza di questa Corte e condiviso dalla prevalente dottrina, che le norme fiscali di agevolazione sono norme di “stretta interpretazione”, nel senso che non sono in alcun modo applicabili a casi e situazioni non riconducibili al relativo significato letterale” (nello stesso senso, cfr. Cass. Civ., sez. un., sent. n. 15249/2020).

[2] Sul punto, sia consentito rinviare ad altro contributo pubblicato su questo sito.

[3] Così, ex multis, Cass. Civ., sent. n. 26744/2006; Cass. Civ., sent. n. 15183/2009; Cass. Civ., sent. n. 23679-2019.

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