21/11/2023
  1. Introduzione

La legge di bilancio del 2023 ha previsto l’introduzione nel nostro ordinamento di un contributo peculiare, il c.d. contributo di solidarietà a carico degli operatori del settore energetico, che si presta ad alcune osservazioni significative tanto se lo si analizza in termini di costituzionalità quanto di possibile disallineamento con le prescrizioni impartite dal legislatore europeo.

Come noto, l’esigenza del legislatore italiano di istituire un simile prelievo nasce dalla volontà del legislatore europeo di intervenire in un momento di profonda crisi.

Proprio a tal proposito, occorre sottolineare che le misure introdotte traggono le loro fondamenta nel delicato contesto, sociale ed economico, che  si è verificato nel territorio europeo. La situazione in Ucraina, una crescita importante della domanda di energia elettrica e lo scarso impatto delle tecnologie alternative costituiscono, infatti, le principali motivazioni che hanno condotto il legislatore unionale ad introdurre tali misure.

Quanto detto si evince dalla lettura dei vari Considerando presenti all’interno del Regolamento europeo n.1854/2022[1], il quale introduce, appunto, il contributo di solidarietà oggetto di discussione.

Occorre sin da subito evidenziare che l’intento di creare un intervento coordinato a livello sovranazionale è confluito in una scelta legislativa che potrebbe definirsi atipica[2] nel diritto dell’Unione. Infatti, l’istituzione di tale fattispecie è avvenuta, sì, sotto forma di Regolamento, ma è fatta salva la possibilità per gli Stati membri di creare un contributo equivalente, intendendosi per tale un tributo, che seppur delineato nei suoi aspetti essenziali dal singolo Stato, si conformi a quanto stabilito dal Considerando n. 63.

Proprio in considerazione di ciò, i comportamenti dei singoli Stati membri sono stati i più disparati. Vi sono stati, infatti, Paesi che hanno direttamente recepito il regolamento, senza intervenire, dunque, con alcuna modifica rispetto a quanto espresso a livello sovrannazionale; vi sono, invece, altri Paesi che hanno deciso di delineare il contributo a proprio “piacimento”, pur rispettando i criteri generali.

È proprio in quest’ultimo caso che sorge, allora, la difficoltà di comprendere se effettivamente il contributo creato a livello interno possa essere considerato come equivalente a quello del legislatore europeo, ovvero, se si possa essere verificata una qualsivoglia incongruenza in grado di violare il contenuto stesso del regolamento.

  1. Natura del contributo

Chiarito dunque il campo d’indagine, appare utile interrogarsi in un primo momento sulla natura di questo contributo.

Sul punto, invero, non sembrano destarsi particolari dubbi. È evidente che esso possa essere considerato come un tributo, dal momento che ne ricorrono tutte le caratteristiche. Infatti, esso è disciplinato dalla legge (l. n.197/2022), comporta il sorgere di un’obbligazione pecuniaria a titolo definitivo, è un prelievo coattivo ed, infine, ha la funzione di reperire entrate pubbliche destinate al conseguimento di finalità pubblicistiche[3].

Inoltre, non essendo riscontrabile alcun tipo di controprestazione e non essendoci di conseguenza nessun rapporto paracommutativo tra lo Stato ed i soggetti passivi, questo contributo è da inquadrarsi tra le imposte.

Tuttavia, se quanto detto appare condivisibile e non desta particolari problemi, altrettanto non può dirsi, invece, circa la possibilità di annoverarlo tra i tributi di scopo.

Non essendo presente alcuna definizione esplicita di tributo di scopo, per tali s’intende l’istituzione nel nostro ordinamento di un tributo che possieda come caratteristica peculiare, direttamente espressa dal legislatore, la destinazione finanziaria che conseguirà alla raccolta del gettito prodotto[4].

Di tali tributi il nostro panorama nazionale ne conosce diversi, soprattutto a livello locale. Basti pensare a titolo esemplificativo: all’imposta di soggiorno (art. 4 D. lgs. N. 23/2011), nel quale si chiarisce che

il relativo gettito è destinato a finanziare interventi in materia di turismo, ivi compresi quelli a sostegno delle strutture ricettive, nonché interventi di manutenzione, fruizione e recupero dei beni culturali ed ambientali locali, nonché dei relativi servizi pubblici locali”;

ovvero all’imposta sulle emissioni sonore degli aereomobili (c.d. IRESA, art. 90, co 4, L. n. 342/2000), secondo cui

La ripartizione del gettito dell’imposta viene effettuata al proprio interno da ciascuna regione e provincia autonoma sulla base dei programmi di risanamento e di disinquinamento acustico presentati dai comuni dell’intorno aeroportuale ed elaborati sui dati rilevati dai sistemi di monitoraggio acustico (…)”.

Come ben si evince dai semplici esempi sopra riportati, un tributo può definirsi “di scopo” ove sia la stessa lettera della norma istitutiva che indica a cosa debbano essere destinate le risorse prodotte.

  1. Il contributo unionale

Tanto premesso, bisogna ora interrogarsi sulla possibilità di considerare il contributo di solidarietà del 2023 alla stregua di un tributo di scopo.

Su tale questione occorre effettuare una distinzione tra il contributo di solidarietà del regolamento n. 1854/2022 ed il contributo delineato dalla legge di bilancio del 2023.

Sul primo, il discorso è ovviamente di più immediata evidenza.

Il Regolamento, infatti, al suo art. 17 prevede espressamente la destinazione dei proventi derivanti dal prelievo. A tal proposito, il legislatore europeo ha indicato una serie di investimenti, quali:

a) misure di sostegno finanziario ai clienti finali dell’energia, in particolare ai soggetti “vulnerabili”;

b) misure di sostegno finanziario intese a ridurre il consumo di energia;

c) misure di sostegno finanziario a sostegno delle imprese dei settori ad alta intensità energetica;

d) misure di sostegno per lo sviluppo dell’autonomia energetica;

e) misure volte a ridurre gli effetti dannosi della crisi energetica.

A ben vedere, dunque, in considerazione dell’espressa previsione normativa e delle osservazioni riportate nei vari Considerando[5], quello disciplinato dal Regolamento è facilmente annoverabile tra i tributi di scopo. Anzi, si può discutere sul se possa essere addirittura un tributo di molteplice scopo.

Secondo un’interpretazione letterale della norma in commento, gli Stati potrebbero tuttavia non essere tenuti ad effettuare tutte le modalità di investimento indicate dal Regolamento. In sostanza, secondo tale tesi, gli interventi degli Stati membri potrebbero anche riguardare un solo scopo tra quelli in precedenza citati. Infatti, quando il testo prevede che “Gli Stati membri utilizzano i proventi del contributo (…) in modo da conseguire un impatto sufficientemente tempestivo per uno qualsiasi degli scopi seguenti”, sembrerebbe escludere la possibilità di attribuire allo Stato il dovere di perseguire cumulativamente tutti gli scopi richiamati dal co. 1.

Nonostante ciò, la natura di tributo di scopo non verrebbe comunque inficiata ed, anzi, ben si potrebbe considerare ancor più enfatizzata. Infatti, seppur si dovesse considerare corretta la tesi indicata, comunque la scelta su dove destinare le risorse rimarrebbe vincolata in almeno uno degli obiettivi prescritti dall’art. 17 del Regolamento, evitando così che gli Stati possano sfruttare questo gettito per finanziare altre fattispecie.

Tuttavia, è anche il caso di sottolineare che una simile interpretazione mal si concilierebbe con quanto espresso, invece, all’interno del Considerando n. 63[6]. Quest’ultimo, nel delineare cosa debba intendersi per contributo equivalente sembrerebbe condurre l’interprete a ritenere che gli Stati membri debbano rispettare tutte le destinazioni finanziarie previste dall’art. 17 del Regolamento e non solamente una di esse.

Schematizzando il Considerando, infatti, risulterebbe equivalente una misura che:

  • abbia obiettivi simili a quelli del contributo europeo;
  • sia soggetta a norme analoghe a quelle che si applicano al contributo europeo;
  • sia destinata a finanziare i medesimi obiettivi previsti dal contributo europeo.

Al netto di questa possibile discussione, sulla quale peraltro si è maggiormente orientati a sostenere l’ultima tesi esposta, l’analisi sin qui condotta non sembra destare, comunque, particolari problemi interpretativi nel riconoscere la natura di tributo di (molteplice) scopo del contributo unionale.

  1. Il contributo ex art. 1 co. 115 e ss. L. n. 197/2022 e possibili criticità

Il discorso, invece, muta se il focus della discussione si sposta sul contributo di solidarietà interno, ovverosia quello designato dalla L. n. 197/2022.

Non entrando nel dettaglio della modalità di determinazione del quantum dovuto, è bene domandarsi se il nostro legislatore lo abbia o meno configurato come tributo di scopo.

Con il richiamo operato in precedenza ad altri tributi che sono comunemente classificati tra quelli di specifico scopo si è potuto osservare come, in passato, si sia adottata una soluzione che lasciava spazio a pochi dubbi interpretativi. L’utilizzo di frasi come “il relativo gettito è destinato a finanziare” pone l’interprete davanti ad una certezza.

Tale valorizzazione, tuttavia, non può rinvenirsi nei commi della legge di bilancio del 2023. Il co. 115, infatti, recita: “Al fine di contenere gli effetti dell’aumento dei prezzi e delle tariffe del settore energetico per le imprese e i consumatori, è istituito per l’anno 2023 un contributo di solidarietà temporaneo (…)”.

Seppur si volesse avallare – ma così non è – la tesi per cui questo piccolo inciso del co. 115 sia di per sé sufficiente a giustificare la destinazione finanziaria di questo prelievo, non può non notarsi come, comunque, il nostro Stato si ponga in un’ottica peculiare nel contesto europeo, caratterizzata da una scarsa sensibilità nel riconoscere l’importanza di questa fonte di gettito, in termini di ristoro e/o di investimenti in progetti per la produzione energetica alternativa come quello dell’UE REpower.

L’inciso del co. 115, infatti, risulta essere l’unico accenno operato in sede di recepimento dal nostro Stato in ottica di destinazione del gettito, il che lascia un forte dubbio sulla possibilità di inquadrarlo come vero e proprio tributo di scopo, soprattutto se comparato con quanto dettagliatamente prescritto dagli altri Stati membri che hanno usufruito della facoltà concessa dall’Unione di creare un contributo equivalente[7].

A ciò può aggiungersi che, com’è noto, l’Italia aveva già istituito nel 2022 un prelievo straordinario sulle imprese del settore energetico, il c.d. “Contributo straordinario contro il caro bollette”.

Risulta utile, allora, svolgere un paragone in termini di destinazione del gettito tra il Contributo del 2022, istituito con il D.L. n. 21/2022, e quello del 2023, istituito dalla legge di bilancio 2023.

Ciò che emerge da questo confronto è che anche in quell’occasione la norma dell’art. 37 esordiva con “Al fine di contenere per le imprese e i consumatori gli effetti dell’aumento dei prezzi e delle tariffe del settore energetico”, lo stesso inciso rinvenibile oggi nella prima parte del co. 115 della L. 197/2022.

Tuttavia, la differenza significativa tra i due Contributi è che in quello del 2022 era presente anche la disposizione dell’art. 38 che, rubricata “Disposizioni finanziarie”, chiariva espressamente a quali finalità fosse destinato il gettito derivante dall’art. 37[8].

Risulta evidente, allora, che il legislatore con il Contributo extra-profitti del 2022 abbia istituito sicuramente un tributo di scopo, mentre invece non sembra possibile giungere alla medesima conclusione per quanto riguarda il Contributo del 2023 che, infatti, risulta privo di questa ulteriore e forse essenziale previsione.

Inoltre, le recenti vicende e modificazioni che il contributo interno ha subito costituiscono un ulteriore snodo importante al fine dell’analisi che si va svolgendo.

Con l’art. 22, co. 1, D.L. n. 61/2023 (c.d. Decreto alluvioni), il tributo ha subito una rilevante modifica tesa al perseguire un fine che sembrerebbe non avere nulla a che vedere con le finalità prescritte dal legislatore europeo, sconfessando, di conseguenza, la tesi per cui il co. 115 possa essere inteso come indice di una specifica destinazione finanziaria.

Se, infatti, in un momento antecedente (con l’art. 5 D.L. n. 34/2023[9]) venivano escluse dal calcolo della base imponibile le riserve di patrimonio netto accantonate in sospensione di imposta, con il D.L. n. 61/2023 è stata abrogata tale norma, il che ha comportato un ampliamento della base imponibile finalizzato al reperire maggiori risorse da destinare a sostegno dell’Emilia-Romagna (stimate in 404 milioni di euro[10]).

È ben evidente, dunque, che in questa fattispecie almeno una parte del gettito derivante dal contributo di solidarietà abbia subito una destinazione specifica, tuttavia, non contemplata né all’interno delle ipotesi dell’art. 17 del Regolamento n. 1854/2022, né tantomeno in quel piccolo inciso (laddove esso volesse essere considerato come esplicita destinazione finanziaria) del co. 115 della L. n. 197/2022.

Potrebbe sembrare, allora, che il legislatore interno abbia “approfittato” del contributo per reperire ulteriori entrate da destinare a scopi totalmente estranei alla ratio che ha condotto all’emanazione del Regolamento Ue.

In conclusione, non sono pochi i dubbi che sorgono se si cumulano le questioni sopra esposte, ovverosia:

a) l’Italia costituisce un’eccezione rispetto al panorama europeo sulla mancata previsione (esplicita) della destinazione finanziaria;

b) differentemente dagli altri Stati non ha, comunque, previsto tutte le finalità presenti nel Regolamento Ue;

c) si è utilizzato il contributo per ristorare la situazione verificatasi a seguito dei disastri ambientali nel nostro territorio.

Il perché sia così importante soffermarsi su tale fattispecie è presto detto.

Laddove si dovesse riconoscere la mancata destinazione del gettito nelle finalità indicate, il nostro Stato potrebbe, allora, incorrere in una violazione del Regolamento Ue, nella specifica circostanza per cui il contributo introdotto con la L. n. 197/2022 non rispetta le condizioni di equivalenza prescritte dal legislatore unionale[11].

Se a ciò si aggiunge che il Regolamento n. 1854/2022, come anche sostenuto da Assonime nella Circolare n. 8/2023, è un atto sui generis poiché non prevede norme cogenti direttamente applicabili agli Stati membri, allora, si potrebbe giungere a ritenere che esso possa avere la stessa natura, seppur atipica, di una Direttiva.

Nel caso in cui ciò fosse corretto, è necessario tenere in considerazione che, com’è noto, un mancato rispetto da parte dello Stato membro dei principi contenuti nella Direttiva potrebbe comportare una procedura d’infrazione a suo carico.

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[1] Adottato dal Consiglio dell’Ue ai sensi dell’art. 122 del TFUE, per cui “Fatta salva ogni altra procedura prevista dai trattati, il Consiglio, su proposta della Commissione, può decidere, in uno spirito di solidarietà tra Stati membri, le misure adeguate alla situazione economica, in particolare qualora sorgano gravi difficoltà nell’approvvigionamento di determinati prodotti, in particolare nel settore dell’energia”.

[2] Sul carattere di atipicità si veda anche la Circolare di Assonime n. 8/2023, p.20, nel quale si sottolinea che, seppur si tratti di un Regolamento, esso non preveda norme cogenti da applicare negli Stati membri, ma si limita ad imporre l’adozione di misure cui questi ultimi devono attenersi nell’emanazione del proprio contributo.

[3] Così Roberto Iaia, “La disciplina del contributo di solidarietà temporaneo nel settore energetico (art. 1, commi 115 ss., L. n. 197/2022) nella prospettiva sistematica e comparatistica” in Rivista Telematica di Diritto Tributario n.1/2023.

[4] A tal proposito si veda C. Ricci “Tributi di scopo tra giustificazioni politiche e categorie giuridiche”, in Rivista Trimestrale di Diritto Tributario, 2280-1332.

[5] A tal proposito, infatti, diversi sono i richiami alle esigenze di investire in determinate attività. Così, ad esempio, nel Considerando n. 6 si fa riferimento alla necessità di “attenuare l’impatto dei prezzi elevati dell’energia e garantire che la crisi non comporti danni per i consumatori (…)”; ancora, il Considerando n. 8 prevede di “far fronte agli effetti insostenibili sui consumatori e sulle imprese”; il Considerando n. 14, il quale chiarisce che “il contributo di solidarietà (…) permette la generazione di entrate supplementari a favore delle autorità nazionali per prestare sostegno finanziario alle famiglie e alle imprese pesantemente colpite dall’impennata dei prezzi dell’energia, garantendo condizioni di parità in tutta l’Unione.

[6] Si legge al considerando n. 63 del Regolamento che “Gli Stati membri dovrebbero applicare il contributo di solidarietà stabilito dal presente regolamento nei rispettivi territori, a meno che non abbiano adottato misure nazionali equivalenti. L’obiettivo della misura nazionale dovrebbe essere considerato simile all’obiettivo generale del contributo di solidarietà istituito dal presente regolamento quando consiste nel contribuire all’accessibilità economica dell’energia. Una misura nazionale dovrebbe considerarsi soggetta a norme analoghe a quelle che si applicano al contributo di solidarietà qualora riguardi attività nei settori del petrolio greggio, del gas naturale, del carbone e della raffinazione, definisca una base, preveda un tasso e garantisca che i proventi della misura nazionale siano usati per finalità che sono simili a quelle del contributo di solidarietà”.

[7] Si pensi alla Germania che, con l’art. 1 par. 3 della legge tedesca opera un diretto rinvio al contenuto dell’art. 17 del Regolamento europeo; ovvero alla Spagna che, con l’art. 1 par. 11 della Ley n. 38/2022, pur non operando un rinvio diretto al Regolamento, ne riprende tutte le destinazioni richiamate.

[8] Si legge nel co. 2 dell’art. 38 che “Agli oneri derivanti dagli artt. 1, 1-bis, 2, 3, 4, 5, 6 (…) si provvede: a) quanto a 3.977.525.207 euro per l’anno 2022 mediante utilizzo delle maggiori entrate derivanti dall’art. 37

[9] Il secondo comma dell’articolo 5 prevedeva l’esclusione dal calcolo della media dei redditi complessivi conseguiti nei quattro periodi di imposta antecedenti a quello in corso al 1° gennaio 2022 degli utilizzi di riserve del patrimonio netto che abbiano concorso al reddito nei suddetti quattro periodi di imposta, sino a concorrenza dell’esclusione operata nel periodo di imposta antecedente a quello in corso al 1° gennaio 2023.

[10] Si veda l’articolo “Dl alluvioni, per gli aiuti 150 milioni dal taglio al reddito di cittadinanza”, di Marco Mobili, Gianni Trovati, sul Sole 24 ore del 2 giugno 2023.

[11] Per un maggiore approfondimento sulla questione dell’equivalenza di rinvia a quanto scritto in precedenti articoli su questa rivista.

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