21/11/2023

1. La risposta dell’Agenzia delle Entrate del 14 giugno 2023, n. 348 segna un duplice punto a favore del contribuente, in primo luogo nell’ambito dell’agevolazione da c.d. superbonus e in secondo luogo nell’annosa questione riguardante le differenze, soprattutto sotto il profilo sanzionatorio, tra i crediti non spettanti ed i crediti inesistenti. L’interpretazione resa dall’Agenzia delle Entrate nella risposta in commento può essere sintetizzata come segue:

  • l’annullamento “extra-telematico” di una comunicazione di opzione viziata da errore “sostanziale” (nel caso di specie, errata indicazione del codice fiscale del beneficiario) è possibile anche se il credito oggetto della comunicazione errata è stato utilizzato in compensazione;
  • il credito compensato oggetto della comunicazione errata non è “inesistente” bensì è “non spettante” con conseguente applicazione del più mite [1] regime sanzionatorio (con possibilità di ravvedimento[2]).

Ma andiamo con ordine ripercorrendo anzitutto i fatti salienti del caso analizzato con la risposta n. 348.

2. L’istante, società Alfa, aveva fatturato e incassato il corrispettivo per interventi rientranti nell’istituto del superbonus effettuati verso il condominio Beta, concedendo a quest’ultimo uno sconto in fattura; a seguito della presentazione di apposita comunicazione di opzione per lo sconto e relativa accettazione emergeva quindi un credito in favore di Alfa che era stato da questa utilizzato in compensazione.

Successivamente l’Agenzia delle Entrate riscontrava come errato il codice fiscale associato a Beta che era stato indicato da Alfa sia nelle fatture emesse sia nella comunicazione di opzione.

La comunicazione veniva quindi annullata e Alfa, avvedutasi dell’errore, stornava le fatture errate con apposite note di variazione; allo scopo di ripristinare integralmente la situazione antecedente all’errore, Alfa intendeva altresì riversare il credito utilizzato in compensazioni, con sanzioni e interessi.

Infine, Alfa riemetteva le fatture con indicazione corretta del codice fiscale di Beta e presentava la comunicazione di opzione di sconto in fattura.

3. Dato il caso di specie sinteticamente descritto e partendo dal tema dell’utilizzo del credito d’imposta derivante da una comunicazione di opzione errata, è opportuno ripercorrere il contenuto delle norme applicabili come quello delle previsioni attuative e delle interpretazioni rese dall’Agenzia delle Entrate.

Per quanto riguarda la disciplina del superbonus è ormai noto che[3]:

“I soggetti che sostengono, negli anni 2020, 2021, 2022, 2023 e 2024, spese per gli interventi elencati al comma 2 possono optare, in luogo dell’utilizzo diretto della detrazione spettante, alternativamente:

a) per un contributo, sotto forma di sconto sul corrispettivo dovuto, fino a un importo massimo pari al corrispettivo stesso, anticipato dai fornitori che hanno effettuato gli interventi e da questi ultimi recuperato sotto forma di credito d’imposta, di importo pari alla detrazione spettante […]

I crediti d’imposta di cui al presente articolo sono utilizzati in compensazione ai sensi dell’articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, sulla base delle rate residue di detrazione non fruite. Il credito d’imposta è usufruito con la stessa ripartizione in quote annuali con la quale sarebbe stata utilizzata la detrazione.

Con provvedimento del direttore dell’Agenzia delle entrate, da adottare entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, sono definite le modalità attuative delle disposizioni di cui al presente articolo, comprese quelle relative all’esercizio delle opzioni, da effettuarsi in via telematica, anche avvalendosi dei soggetti previsti dal comma 3 dell’articolo 3 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 luglio 1998, n. 322”.

In attuazione di dette disposizioni, l’Agenzia delle Entrate ha dapprima previsto che[4]:

I cessionari e i fornitori utilizzano i crediti d’imposta di cui al punto 3 esclusivamente in compensazione ai sensi dell’articolo 17 del decreto legislativo n. 241 del 1997, sulla base delle rate residue di detrazione non fruite dal beneficiario originario. Il credito d’imposta è fruito con la stessa ripartizione in quote annuali con la quale sarebbe stata utilizzata la detrazione, a decorrere dal giorno 10 del mese successivo alla corretta ricezione della Comunicazione di cui al punto 4 e comunque non prima del 1° gennaio dell’anno successivo a quello di sostenimento delle spese.

[…] a) i cessionari e i fornitori sono tenuti preventivamente a confermare l’esercizio dell’opzione, esclusivamente con le funzionalità rese disponibili nell’area riservata del sito internet dell’Agenzia delle entrate (d’ora in poi definite ”Piattaforma cessione crediti”) […]”.

Ancora, gli ulteriori provvedimenti attuativi emanati dall’Agenzia delle Entrate stabiliscono che[5]:

“[…] Se, in esito alle verifiche effettuate, sono confermati gli elementi che hanno determinato la sospensione, l’Agenzia delle entrate rende noto l’annullamento degli effetti della comunicazione al soggetto che l’ha trasmessa, con la relativa motivazione; in tal caso, la comunicazione si considera non effettuata […]”.

Infine, per interpretazione dell’Agenzia delle Entrate[6]:

L’errore – o l’omissione – relativo a dati della Comunicazione che incidono su elementi essenziali della detrazione spettante e quindi del credito ceduto può essere definito sostanziale (ad esempio, è un errore sostanziale l’errata indicazione del codice dell’intervento da cui dipende la percentuale di detrazione spettante e/o il limite di spesa, oppure del codice fiscale del cedente).

Al fine di consentire la corretta circolazione dei crediti ed evitare difficoltà ai titolari delle detrazioni, oltre che ai cessionari e ai fornitori, è consentito l’annullamento, su richiesta delle parti, dell’accettazione di crediti derivanti da comunicazioni di prime cessioni o sconti non corrette. Con l’annullamento dell’accettazione del credito il plafond del credito compensabile in capo al cessionario viene contestualmente ridotto del relativo importo […].

Il beneficiario della detrazione può inviare una nuova Comunicazione con le consuete modalità, purché non sia scaduto il termine previsto per l’invio della stessa […]”[7].

Provando a sintetizzare le norme, i provvedimenti attuativi e le interpretazioni riportate:

a) il fornitore che effettua i lavori può essere beneficiario del superbonus nel caso in cui conceda uno sconto in fattura al proprio cliente;

b) il beneficio fiscale è rappresentato da un credito d’imposta d’importo pari alla detrazione spettante;

c) il credito è utilizzabile in compensazione “orizzontale”;

d) l’esercizio dell’opzione per lo sconto in fattura va trasmessa all’Agenzia delle Entrate con comunicazione ad hoc;

e) l’Agenzia delle Entrate può disporre l’annullamento della comunicazione nel caso in cui riscontri un errore sostanziale;

f) l’errata indicazione del codice fiscale del beneficiario dell’intervento è errore sostanziale ;

g) anche in caso di annullamento, la comunicazione può essere ripresentata purché non sia scaduto il termine annuale previsto per l’invio.

Senonché l’Agenzia delle Entrate, aveva precedentemente sostenuto che:

Nelle more dell’annullamento dell’accettazione, il credito a disposizione del cessionario verrebbe temporaneamente duplicato sulla Piattaforma e nel plafond consultabile nel cassetto fiscale del cessionario. Per tale ragione è interesse anche del cedente assicurarsi che il cessionario – eventualmente con impegno scritto – non ceda né utilizzi in compensazione il credito relativo alla prima Comunicazione errata” [8].

4. Ebbene, mutatis mutandis, nel caso di specie l’utilizzo in compensazione del credito da parte del fornitore sembrerebbe prima facie ostativa alla presentazione di una seconda (e corretta) comunicazione e, conseguentemente, alla utilizzabilità del credito; con l’ulteriore conseguenza di dover riversare all’Erario un importo pari al credito generato con comunicazione errata e già compensato, oltre interessi e sanzioni.

È proprio su questo punto che, con posizione favorevole al contribuente, interviene l’Agenzia delle Entrate nella risposta in commento. Come anticipato infatti, secondo l’Agenzia, con il riversamento del credito originato da comunicazione errata, oltre interessi e sanzioni (si veda infra sul tema del trattamento sanzionatorio), Alfa ha ripristinato la propria posizione fiscale ante compensazione. La presentazione di una nuova comunicazione corretta ha poi l’effetto di rigenerare il credito che originariamente era stato compensato sancendo così che tale compensazione pregressa non è ostativa all’utilizzo del “nuovo” credito.

5. Venendo al tema del regime sanzionatorio applicabile al riversamento del credito compensato, torna utile richiamare anzitutto la distinzione normativa tra violazione per utilizzo di un credito “non spettante” e per utilizzo di un credito “inesistente”.

A tale riguardo, il legislatore ha previsto che[9]:

Nel caso di utilizzo di un’eccedenza o di un credito d’imposta esistenti in misura superiore a quella spettante o in violazione delle modalità di utilizzo previste dalle leggi vigenti si applica, salva l’applicazione di disposizioni speciali, la sanzione pari al trenta per cento del credito utilizzato”.

E ancora che[10]:

Nel caso di utilizzo in compensazione di crediti inesistenti per il pagamento delle somme dovute è applicata la sanzione dal cento al duecento per cento della misura dei crediti stessi. […] Si intende inesistente il credito in relazione al quale manca, in tutto o in parte, il presupposto costitutivo e la cui inesistenza non sia riscontrabile mediante controlli di cui agli articoli 36­bis e 36­ter del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e all’articolo 54­bis del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633”.

Sul punto è intervenuta dapprima l’Agenzia delle Entrate[11]:

“Con il decreto legislativo 24 settembre 2015, n. 158, di riforma del sistema sanzionatorio amministrativo, è stata introdotta, all’articolo 13 del decreto legislativo n. 471 del 1997, una definizione normativa di credito inesistente ­ da cui, a contrario, far derivare la definizione di credito non spettante ­ e uno specifico regime sanzionatorio nell’ambito della disposizione dedicata agli omessi versamenti. Contestualmente, è stato abrogato l’articolo 27, comma 18, del decreto legge n. 185 del 2008. Allo stato, quindi, si definisce inesistente ”il credito in relazione al quale manca, in tutto o in parte, il presupposto costitutivo e la cui inesistenza non sia riscontrabile mediante controlli di cui agli artt. 36­bis e 36­ter del Decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e all’art. 54­bis del Decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633.” Tale definizione consente, tra le altre, di tenere conto della molteplicità dei crediti agevolativi presenti in ambito fiscale, così diversamente configurati dalle singole leggi istitutive, evitando che possa essere irrogata al contribuente una sanzione particolarmente grave nel caso in cui sussistano i requisiti sostanziali previsti dalla norma istitutiva del credito, ma non siano stati posti in essere esclusivamente gli adempimenti di natura formale (e sempreché l’effettuazione di detti adempimenti non sia considerata elemento costitutivo di maturazione del credito dalle stesse norme). Il riferimento operato al riscontro dell’esistenza del credito da utilizzare in compensazione mediante procedure automatizzate rappresenta, peraltro, una condizione ulteriore rispetto a quella dell’esistenza sostanziale del credito ed è volta a evitare che si applichino le sanzioni più gravi quando il credito, fruito in compensazione indebitamente, possa comunque essere ”intercettato” mediante controlli automatizzati (circostanza, questa, che priva la condotta del contribuente di quella lesività idonea a giustificare la più grave misura sanzionatoria)”.

Successivamente, la Corte di Cassazione[12] ha statuito che è “inesistente”:

Il credito in relazione al quale manca, in tutto o in parte, il presupposto costitutivo e la cui inesistenza non sia riscontrabile attraverso i controlli di cui agli articoli 36­bis e 36­ter del decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973 e all’articolo 54­bis del decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972”.

Integrando l’interpretazione dell’Agenzia delle Entrate con quella della Corte di Cassazione ne deriva che un credito è “inesistente” al ricorrere di due requisiti:

a) mancanza del presupposto costitutivo;

b) non verificabilità attraverso i controlli automatizzati o formali.

La definizione di credito “non spettante” emerge invece per differenza trattandosi di crediti diversi da quelli “inesistenti” (alias mancanza di almeno uno dei due presupposti costitutivi dell’inesistenza) [13].

Inoltre, ad avviso di chi scrive l’analisi delle conseguenze sanzionatorie scaturenti dalla differenza tra “non spettanza” e “inesistenza” di un credito va completata con gli altrettanto rilevanti aspetti penali[14]. Infatti, per il legislatore penal-tributario sia l’utilizzo di crediti “non spettanti” sia l’utilizzo di crediti “inesistenti” configura fatto di reato punito con reclusione qualora l’ammontare del credito superi cinquanta mila euro (c.d. soglia di punibilità)[15]. Tuttavia, il ravvedimento correttamente effettuato prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado costituisce causa di esclusione della punibilità (alias il reato non è perseguibile) nel solo caso di utilizzo di credito “non spettante”[16]. In altri termini, anche in presenza di ravvedimento precedente alla dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, l’utilizzo di un credito “inesistente” per un importo superiore alla soglia di punibilità è perseguibile penalmente.

6. Tenendo conto di tale ricostruzione normativa e interpretativa, il quesito di Alfa verteva sul regime sanzionatorio amministrativo applicabile al riversamento del credito originariamente compensato, dal momento che la “non spettanza” dà luogo ad una sanzione del 30% dell’importo del credito compensato mentre l’”inesistenza” dà luogo ad una sanzione tra il 100% e il 200% del medesimo credito.

Ebbene, secondo l’Agenzia delle Entrate Alfa aveva dimostrato l’inesistenza di entrambi i presupposti costitutivi dell'”inesistenza” dal momento che (a) il credito compensato si ricollegava ad un intervento realmente eseguito e fatturato correttamente salvo che nella indicazione del codice fiscale di Beta e (b) l’Agenzia delle Entrate aveva avuto modo di verificare autonomamente l’esistenza dell’errore commesso da Alfa alla stregua di ciò che accade nei controlli formali o automatizzati.

Pertanto, in assenza di entrambi i presupposti della “inesistenza”, il credito era considerato “non spettante” al momento del suo utilizzo in compensazione. Tanto è vero che secondo l’Agenzia il credito era stato “rigenerato” e quindi reso disponibile per la compensazione con l’emissione di fatture e comunicazione di opzione per lo sconto in fattura contenenti la corretta indicazione del codice fiscale di Beta.

Conseguentemente, in sede di riversamento da parte di Alfa l’Agenzia riteneva applicabile la sanzione applicabile del 30% dell’importo del credito, assoggettabile a ravvedimento.

7. Nonostante le recenti interpretazioni dell’Agenzia delle Entrate e della Corte di Cassazione, purtroppo la partita sulla distinzione tra crediti “non spettanti” e crediti “inesistenti” è tutt’altro che chiusa. Infatti, benché la recentissima legge di delega al Governo per la riforma fiscale preveda che[17]:

Nell’esercizio della delega di cui all’articolo 1 il Governo osserva altresì i seguenti principi e criteri direttivi specifici per la revisione del sistema sanzionatorio tributario, amministrativo e penale, con riferimento alle imposte sui redditi, all’IVA e agli altri tributi indiretti nonché ai tributi degli enti territoriali:
a) per gli aspetti comuni alle sanzioni amministrative e penali:

[…] 5) introdurre, in conformità agli orientamenti giurisprudenziali, una più rigorosa distinzione normativa anche sanzionatoria tra le fattispecie di compensazione indebita di crediti di imposta non spettanti e inesistenti”.

non sembra che i testi dei decreti delegati, almeno nelle ultime bozze circolate, siano partiti con il piede giusto, laddove il Governo ha previsto:

  • l’inapplicabilità della riscossione frazionata in pendenza di giudizio nel caso di presentazione di ricorso avverso atti di recupero di qualsiasi tipologia di crediti indistintamente “non spettanti” o “inesistenti” (oggi tale previsione riguarda soltanto i crediti “inesistenti”[18]);
  • un termine di decadenza unico per gli atti di notifica riguardanti il recupero di qualsiasi tipologia di credito fissato al 31 dicembre dell’ottavo periodo d’imposta successivo a quello di utilizzo del credito (oggi tale previsione riguarda soltanto i crediti “inesistenti”[19]).

Benché il principio della distinzione tra “inesistenza” e “non spettanza” contenuto nella legge delega sia letteralmente riferito alle sanzioni, ad avviso di chi scrive, esso va interpretato con un respiro più ampio essendo espressione della differenza tra il disvalore assegnato, dal legislatore prima e dalla prassi e dalla giurisprudenza poi, alle due fattispecie; pertanto, tutto l’ordinamento tributario dovrebbe tener conto di detto principio, ivi compresi l’accertamento, la riscossione e il processo.

Purtroppo, a meno di modifiche nei testi che saranno approvati dal Parlamento, sembra che il Governo vada nella direzione di smentire il legislatore della delega alla riforma fiscale come anche le interpretazioni ormai consolidatesi nella prassi e nella giurisprudenza di legittimità.

___________________________________

[1] Art. 13, comma 4, d.lgs. n. 471/1997 in luogo del comma 5 del medesimo articolo.

[2] Ex art. 13 del d.lgs. n. 472/1997.

[3] Art. 121, commi 1, lett. a), 3 e 7, del d.l. n. 34/2020.

[4] Provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate 3 febbraio 2022, prot. n. 35873, come integrato dal successivo provvedimento 10 giugno 2022, prot. n. 202205, paragrafi 5.1. e 5.2.

[5] Provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate 1 dicembre 2021, prot. n. 340450, par. 3.2.

[6] Circ. Agenzia delle Entrate 6 ottobre 2022, n. 33/E, par. 5.3.

[7] Ordinariamente, 16 marzo del periodo d’imposta successivo a quello di sostenimento delle spese che danno diritto alla detrazione.

[8] Circolare n. 33/E/2022, par. 5.3.

[9] Art. 13, comma 4, d.lgs. n. 471/1997.

[10] Art. 13, comma 5, d.lgs. n. 471/1997.

[11] Ris. Agenzia delle Entrate 8 maggio 2018, n. 36/E.

[12] Corte di Cassazione, Sez. V, sent. 16 novembre 2021, nn. 34444 e 34445.

[13] I principi espressi dalla sezione tributaria della Corte di Cassazione con le sentenze del 2021 sono stati recepiti dalla sezione III penale della medesima Corte con la sent. del 3 marzo 2022, n. 7615.

[14] Tali aspetti sono condensati in un mero richiamo fatto dall’istante alla sentenza della sezione III penale della Corte di Cassazione citata nella nota precedente.

[15] Rispettivamente commi 1 e 2 dell’art. 10-quater del d.lgs. n. 74/2000.

[16] Art. 13, comma 1, del d.lgs. n. 74/2000.

[17] Art. 20, comma 1, lett. a), n. 5, l. n. 111.2023.

[18] Art. 27, comma 16, d.l. n. 185/2008.

[19] Art. 27, comma 19, d.l. n. 185/2008.

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