La razionalizzazione dell’IVA e delle accise nel disegno di legge delega per la riforma fiscale

Art. 4 del disegno di legge del Consiglio dei ministri del 5 ottobre 2021

Come noto, lo scorso 5 ottobre 2021 il Consiglio dei Ministri ha approvato un disegno di legge recante i princìpi e i criteri direttivi generali per attuare una riforma del sistema fiscale che, come si legge nella sua reazione illustrativa, costituisce una delle

azioni chiave individuate nel PNRR per dare risposta alle debolezze strutturali del Paese

e una “parte integrante della ripresa che si intende innescare anche grazie alle risorse europee”.

Tra le varie proposte individuate nell’ambito del disegno di legge, all’art. 4 si prevede la razionalizzazione dell’imposta sul valore aggiunto e delle imposte indirette sulla produzione e sui consumi, secondo i seguenti principi e criteri direttivi:

  1. razionalizzare la struttura dell’imposta sul valore aggiunto con particolare riferimento al numero e ai livelli delle aliquote e alla distribuzione delle basi imponibili tra le diverse aliquote allo scopo di semplificare la gestione e l’applicazione dell’imposta, contrastare l’erosione e l’evasione, aumentare il grado di efficienza in coerenza con la disciplina europea armonizzata dell’imposta”;

  2. adeguare in coerenza con l’European Green Deal e la disciplina europea armonizzata dell’accisa, le strutture e le aliquote della tassazione indiretta, con l’obiettivo di contribuire alla riduzione progressiva delle emissioni di gas climalteranti e alla promozione dell’utilizzo di fonti energetiche rinnovabili ed ecocompatibili”.

Come si legge nella relazione illustrativa, questi interventi rappresentano un pilastro della riforma fiscale; in particolare,

quanto a quelli in tema di IVA (comma 1, lettera a), particolare attenzione sarà posta alle finalità di semplificazione, e razionalizzazione (numero e livelli delle aliquote nonché distribuzione delle basi imponibili tra le diverse aliquote), di contrasto alla erosione ed evasione e di aumento del grado di efficienza del sistema coerentemente a quanto previsto dalla normativa unionale. Quanto alla tassazione indiretta (comma 1, lettera b), il sistema sarà revisionato, in coerenza con l’European Green Deal, con l’obiettivo di contribuire alla riduzione progressiva delle emissioni di gas climalteranti e alla promozione dell’utilizzo di fonti energetiche rinnovabili ed ecocompatibili”.

Ebbene, con riferimento alle descritte proposte, nell’assenza di significative indicazioni provenienti dalla relazione illustrativa – che, di fatto, si limita a riportare il contenuto della norma –, si possono formulare alcune considerazioni di massima che saranno effettuate separatamente per i profili dell’IVA e per quelli delle accise.

Nel settore dell’IVA, l’intervento si inserisce nell’ambito di un dibattito che va avanti da diversi anni in ordine alla necessità di adeguare la struttura e il funzionamento dell’imposta alla nuova realtà economica – evidentemente diversa da quella esistente nel momento in cui l’imposta stessa era stata pensata –, anche rendendo di più semplice applicazione le diverse aliquote attualmente esistenti. Già nel 2018, in effetti, la Commissione europea aveva licenziato una proposta di direttiva (COM (2018) 20 FINAL) che offriva ai Governi degli Stati membri la massima flessibilità nella individuazione delle aliquote IVA, attribuendo loro la facoltà di applicare due/tre aliquote ridotte ed un’aliquota zero su categorie di beni e servizi da essi liberamente scelte, ad eccezione di una ristretta lista di beni e servizi specificamente individuati, obbligatoriamente soggetti all’aliquota ordinaria.

La richiamata proposta di direttiva (che non ha ancora visto la luce) mirava a superare il sistema dettato dagli articoli da 96 a 99 della Direttiva 2006/112/UE, secondo cui gli Stati membri applicano ordinariamente un’aliquota non inferiore al 15% e possono applicare a determinate categorie di beni e servizi una o due aliquote ridotte (non inferiori al 5%). Detto sistema – che è stato recepito in Italia con la previsione, accanto all’aliquota ordinaria del 22%, delle aliquote ridotte del 4%, del 5% e del 10% per i beni e servizi elencati nella tabella A, parte II, II-bis e III, allegata al D.P.R. n. 633/1972 – pur risultando apparentemente lineare, risultava (e risulta tuttora) nei fatti piuttosto complesso a causa delle molte deroghe temporanee consentite dalla direttiva stessa (di cui, tra l’altro, beneficia anche l’Italia), con la conseguenza che spesso le aliquote finiscono col sembrare “fissate un po’ a casaccio[1].

In questo scenario, mitigare l’applicazione delle aliquote ridotte potrebbe avere effetti positivi non solo in termini di semplificazione del sistema, contribuendo quantomeno a ridurre gli oneri amministrativi per i contribuenti, ma anche in termini di riduzione dell’evasione [2]. È noto, infatti, che delle diverse tipologie di evasione nell’IVA, mentre alcune non dipendono dalla misura dell’aliquota, altre sono invece logicamente ad essa correlate. Si pensi all’occultamento consensuale delle vendite al consumo finale, ma anche alla sotto-dichiarazione unilaterale delle vendite, ovvero alla sovra-dichiarazione unilaterale degli acquisti nelle transazioni business to business. Inoltre, anche in presenza di dichiarazioni corrette, è cresciuta negli ultimi anni l’evasione da omissione dei versamenti dell’IVA. In tutti questi casi, è ovvio che gli incentivi all’evasione aumentano al crescere dell’aliquota IVA.

In ogni caso, il riferimento al numero e ai livelli delle aliquote parrebbe indicare solo uno degli ambiti del futuro intervento legislativo, senza escludere la possibilità di modifiche a tutto tondo della normativa nazionale. Il disegno di legge potrebbe invero implicare anche un intervento più ampio sulla struttura dell’imposta allo scopo di semplificarne la gestione e l’applicazione, aumentandone il grado di efficienza in coerenza con la disciplina UE. In questa logica, si può immaginare che le intenzioni del legislatore potrebbero intervenire anche su altri rilevanti temi che rendono l’imposta di difficile gestione ovvero non del tutto conforme ai principi unionali.

Anche con riferimento al settore delle accise, l’attuazione della delega rappresenterà un’occasione di semplificazione della materia; semplificazione da raggiungere anche tenendo conto delle emissioni dannose e del contenuto energetico dei prodotti tassati, al fine di superare le discriminazioni distorsive attualmente esistenti e sempre più ingiustificabili sul piano ecologico.

Il sistema delle accise attualmente vigente, infatti, è caratterizzato da una profonda incoerenza con gli obiettivi di transizione ecologica. Per esempio, le accise sui carburanti – in media molto alte in Italia – cambiano a seconda degli usi e dei settori, senza alcun riferimento al danno ambientale effettivo arrecato dai carburanti predetti.

Più in dettaglio, la disciplina delle accise sui principali prodotti energetici (benzina, gasolio, oli combustibili, carbone, lignite, coke) è recata dagli artt. 21-26 del TUA (d.lgs. n. 504/1995), che distinguono, in base all’impiego, carburanti per motori e combustibili per riscaldamento. Sono poi previste particolari esenzioni dall’accisa, tra cui quella relativa ai prodotti energetici impiegati

come carburanti per la navigazione aerea diversa dall’aviazione privata da diporto e per i voli didattici e per la navigazione di acque marine comunitarie, compresa la pesca, con esclusioni delle imbarcazioni private da diporto, e impieghi come carburanti per la navigazione nelle acque interne, limitatamente al trasporto delle merci”.

Nel caso, invece, di “impiego nei trasporti ferroviari di passeggeri e merci e di impieghi in lavori agricoli, orticoli, in allevamento, nella silvicoltura e piscicoltura e nella florovivaistica” è prevista un’aliquota ridotta al 30% di quella ordinaria.

È evidente che le detassazioni in parola non sono istituite con il fine di garantire una maggiore tutela all’ambiente, bensì per favorire determinati settori quali quello dei trasporti, della pesca o dell’agricoltura.

Con riferimento all’energia elettrica [3], disciplinata dagli artt. 52-60 del Titolo II del TUA, si prevede che questa possa essere prodotta da impianti alimentati con combustibili fossili tradizionali (carbone, derivati del petrolio, olio combustibile) oppure da impianti alimentati da fonti rinnovabili (fotovoltaico, eolico, geotermico, idroelettrico). In tal ambito, il comma 2 dell’art. 52 prevede delle fattispecie escluse dall’applicazione di accisa, come nel caso in cui l’energia elettrica sia prodotta da impianti azionati dalle rinnovabili, a condizione però che l’impianto non abbia potenza superiore a 20 kW e l’energia sia utilizzata per particolari processi di lavorazione come quella mineralogici e metallurgici. Quest’ultima disposizione, riguardando le industrie cosiddette “energivore” (ossia relative alla produzione di vetro, carta, metalli), si pone in contrasto con il principio di tassazione delle fonti maggiormente inquinanti. Occorre poi rilevare una ulteriore incongruenza dovuta alla circostanza per cui l’energia destinata a luoghi e locali diversi dalle abitazioni sconta una riduzione dell’aliquota all’aumentare del consumo. Il TUA, quindi, tassa sì le fonti fossili, ma al tempo stesso introduce, incoerentemente, delle agevolazioni per particolari utenti che utilizzano diffusamente prodotti inquinanti, determinando come effetto l’incentivazione degli stessi e non la dissuasione al loro utilizzo.

Le accise, dunque, pur risultando mediamente elevate in settori critici dal punto di vista ambientale, appaiono disegnate più per garantire gettito che per responsabilizzare correttamente imprese e consumatori, con l’effetto finale di non incentivare a sufficienza l’efficienza ecologica. Infatti, come rilevato da un interessante studio del Senato, non vi è una diretta corrispondenza tra chi incide negativamente con le sue condotte sull’ambiente e chi versa i tributi ambientali [4].

In questa direzione muove appunto il disegno di legge in commento che, in linea con le proposte di direttiva contenute nel pacchetto del Green deal lanciato dall’Unione Europea il 14 luglio 2021, si propone di garantire una tassazione dei prodotti non più in base al loro utilizzo, bensì in base al loro contenuto energetico e quindi al loro impatto ambientale, con una conseguente riduzione delle aliquote, in funzione premiale [5], per l’utilizzo di energia rinnovabile o ecosostenibile.

In tale prospettiva, sarebbe allora auspicabile che si prendesse in considerazione la possibilità di tassare i vari prodotti energetici in relazione all’emissione di anidride carbonica (Co2) causata dalla loro produzione e dal loro consumo (questa, infatti, è come noto, un gas climalterante le cui emissioni si accumulano nell’atmosfera provocando un anomalo innalzamento della temperatura) [6], dando finalmente attuazione anche alle diverse proposte della Commissione europea che ha spesso evidenziato [7] la mancata considerazione nell’imposizione delle emissioni di Co2, l’insufficiente aggiornamento delle aliquote minime e, soprattutto, la discriminazione tra le varie fonti energetiche che finisce per agevolare le fonti fossili – tramite esenzioni in determinati settori economici – rispetto a quelle rinnovabili.

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[1] Come osserva F. Gallo in Nuovi profili dell’imposta sul valore aggiunto: verso una disciplina definitiva, relazione introduttiva svolta dall’Autore al VIII Convegno annuale sull’IVA tenutosi a Parma il 12 aprile 2018 sul tema “Nuovi profili dell’imposta: verso una disciplina definitiva”, ove spiega anche che “Non si capisce, solo per fare un esempio, perché l’origano e la maggiorana debbano avere aliquote differenti”.

[2] Nello stesso senso si muove anche l’Assonime che, nel Contributo sul disegno di legge di delega sulla riforma fiscale (A.C.3343) del 17 novembre 2021, sul tema della razionalizzazione della disciplina IVA ha osservato quanto segue: “l’Assonime auspica che al generale principio di delega venga data attuazione efficace ed incisiva. La razionalizzazione delle aliquote Iva potrebbe essere realizzata eliminando l’aliquota super ridotta del 4%, consentita solo come deroga alla vigente disciplina europea, e aumentando l’aliquota intermedia al 12%. Le aliquote diventerebbero a questo punto tre: il 5%, il 12% e il 22%. Per determinare i beni e i servizi da assoggettare ad ogni aliquota sarebbe opportuno, in un’ottica di semplificazione e modernizzazione del sistema, effettuare una revisione dell’elenco vigente delle operazioni assoggettabili ad aliquote ridotte, risalente agli anni ‘80 e non più attuale. In particolare, beni e servizi simili dovrebbero condividere la medesima aliquota e le aliquote ridotte dovrebbero essere riservate a limitate tipologie di beni e servizi, tra cui quelli inerenti alla salute e all’ambiente. La razionalizzazione delle aliquote, oltre a contrastare l’evasione/elusione così come indicato nella norma di delega, avrebbe l’indubbio vantaggio di semplificare il sistema applicativo dell’Iva, superando le molte incertezze che attualmente si presentano agli operatori nell’individuazione dell’aliquota applicabile e che spesso hanno richiesto l’emanazione di norme di interpretazione autentica”.

[3] Cfr. per un maggiore approfondimento, N. Treglia, Lo stato dell’arte e i profili evolutivi della fiscalità dei prodotti energetici: dai combustibili fossili alle fonti rinnovabili, nell’ottica di una transizione ecologica, in Quaderni del dipartimento jonico, n. 16/2020.

[4] Documento di valutazione n. 6 Ufficio di valutazione impatto del Senato della Repubblica, Chi inquina, paga.

[5] Come osserva A.F. Uricchio, I tributi ambientali e la fiscalità circolare, in Dir. e prat. trib., 5, 2017, pp. 1849-1868, è anche compito del legislatore tributario porre al centro della sua attenzione temi quali i cambiamenti climatici e la riduzione delle risorse naturali, intervenendo attraverso strumenti di carattere fiscale sia in senso impositivo che agevolativo. E ciò, da un lato inasprendo la tassazione di prodotti e servizi dannosi per l’ambiente per disincentivare determinate produzioni inquinanti (leva fiscale in senso impositivo) e dall’altro, introducendo agevolazioni fiscali per orientare, promuovere, indirizzare l’agire virtuoso dei contribuenti verso comportamenti virtuosi (leva fiscale in senso agevolativo).

[6] Cfr. N. Treglia, Lo stato dell’arte e i profili evolutivi della fiscalità dei prodotti energetici: dai combustibili fossili alle fonti rinnovabili, nell’ottica di una transizione ecologica, in Quaderni del dipartimento jonico, n. 16/2020, cit..

[7] Da ultimo con il Commission staff working document SWD (2019) 329 final del settembre 2019.

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