21/01/2020

Con la sentenza del 19 dicembre 2019, in cui è stata decisa la causa C‑523/18, la Corte di Giustizia europea si è espressa sulla possibilità che un contributo finanziario, imposto da una normativa nazionale – nel caso di specie spagnola – ad imprese produttrici di energia elettrica, ai fini del finanziamento di piani per il risparmio e l’efficienza energetica gestiti da un’autorità pubblica, possa essere inteso quale “obbligo di servizio pubblico” ai sensi dell’art. 3, par. 2, della Direttiva 2009/72/CE, relativa a norme comuni per il mercato interno dell’energia elettrica.

La suddetta disposizione prevede infatti che

gli Stati membri possono, nell’interesse economico generale, imporre alle imprese che operano nel settore dell’energia elettrica obblighi relativi al servizio pubblico concernenti la sicurezza, compresa la sicurezza dell’approvvigionamento, la regolarità, la qualità e il prezzo delle forniture, nonché la tutela dell’ambiente, compresa l’efficienza energetica, l’energia da fonti rinnovabili e la protezione del clima”

. Al contempo, però, in virtù del fatto che tali obblighi sono tali da costituire restrizioni alla realizzazione di un mercato interno dell’energia elettrica interamente ed effettivamente aperto e concorrenziale, il legislatore europeo ha altresì imposto agli Stati membri di rispettare precise condizioni nella definizione degli stessi, che ovviamente condizionano la legittimità dell’imposizione.

Orbene, a tali condizioni non è soggetto il contributo in questione.

Ad avviso della Corte, infatti, esso non è riconducibile alla nozione di “obbligo relativo al servizio pubblico”, in quanto

“con l’imposizione di detto contributo, tali imprese non sono in alcun modo obbligate a fornire determinati beni o servizi che le stesse non avrebbero fornito, o che non avrebbero fornito nella stessa misura o alle stesse condizioni, se avessero tenuto conto unicamente del proprio interesse commerciale”.

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