24/03/2023

Con ordinanza del Trib. Milano 27.5.2022 è stata respinta la richiesta, avanzata in sede cautelare da un istituto di credito, di ottenere il sequestro conservativo di somme depositate presso conti bancari riconducibili al patrimonio di un gestore di un fondo comune di investimento (cedente), da cui aveva acquistato crediti di imposta, a loro volta provenienti da attività fraudolente di un general contractor.

Il Tribunale di Milano ha rigettato la domanda in quanto, tra l’altro, la circostanza che il credito oggetto del contratto di cessione poteva non essere esistente esula dalla tematica della nullità del negozio (come si desume dall’art. 1266 c.c.): secondo il Giudici di merito,

“…la prospettazione del ricorrente risulta carente sotto il profilo dell’onere assertivo non essendo state dedotte circostanze di fatto da cui fu emergere la nullità o f annullamento del contratto quadro di cessione dei crediti di cui,, peraltro, non sono state dedotte e allegate neanche le specifiche cause di invalidità quali i vizi del volere ai sensi dell’art. 1427 e ss. e le cause di nullità tipizzate dall’art. 1418 e.e .. La giurisprudenza della Corte di Cassazione è unanime nel prevedere a carico della parte che deduce la causa di invalidità del contratto f onere della allegazione e prova dei vizi del consenso ( vedi Corte di Cassazione Sez. 2- , Sentenza n. 5734 del 27 /02/2019)”;

osserva ancora il Collegio giudicante che il primo comma dell’art. 1266 c.c. consente alle parti, in caso di cessione onerosa, di escludere la responsabilità del cedente con la sola eccezione del fatto proprio.

Ciò sull’assunto, non del tutto condividibile ad avviso di chi scrive, secondo cui l’inesistenza del credito comporta nullità della cessione solo se il credito sia astrattamente insuscettibile di esistenza o di identificazione. In tal senso appare corretto il parallelismo, pure effettuato da un autorevole dottrina, con l’inesistenza del bene oggetto del contratto. Secondo il Tribunale, detta circostanza, nel caso in esame, non sussisterebbe in quanto, in astratto, il credito d’imposta per il superbonus 100% ceduto dal Consorzio era esistente.

Tuttavia, con riguardo a tale tipologia di crediti, regola di esperienza vuole che essi siano solo cartolarmente esistenti e dunque non corrispondenti ad interventi realmente eseguiti.

Nel provvedimento si nega poi il sequestro sulla base della circostanza per la quale l’istituto di credito non avrebbe fornito

nessuna prova della complicità della società cedente con il general contractor”. Sul punto si legge: “parte ricorrente non allega né offre elementi per dimostrare che la cedente fosse a conoscenza, nel momento in cui acquistava dal Consorzio i crediti poi ceduti alla banca dell’inesistenza dei crediti e della formazione fraudolenta degli stessi. In difetto di tale allegazione e prova non può essere prospettata alcuna responsabilità da inadempimento del contratto quadro…”.

Sotto il profilo della prova, dunque, il cessionario sarà tenuto a dimostrare, per poter azionare in giudizio il diritto alla restituzione del tantundem della cessione, la consapevolezza del cedente e l’eventuale suo coinvolgimento a titolo di concorso nella frode commessa dal beneficiario della detrazione. Conclude quindi in modo lapidario il tribunale che, nei confronti del fondo, non appare sussistere, quindi, il presupposto della fondatezza della esistenza del credito restitutorio, che non si ravvisa neanche nei confronti del Consorzio – atteso che il credito risarcitorio non è ancora attuale, ma, allo stato, ipotetico ed eventuale con riferimento sia al profilo dell'” an” che del “quantum”.

Aleggia chiaramente sullo sfondo di tale pronuncia cautelare, il tema dell’attualità del danno per il cessionario, tema estremamente delicato su cui tornare presto a riflettere.

 

 

 

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