Attività agricola e attività di produzione e cessione di energia elettrica da fonti rinnovabili: la giurisprudenza torna ad analizzarne i profili di connessione e di prevalenza ai fini delle imposte sui redditi
Corte di Giustizia di secondo grado dell’Emilia-Romagna, sentenza 14 gennaio 2025, n. 23
La giurisprudenza di merito torna ad occuparsi dell’annoso tema del rapporto di prevalenza intercorrente tra attività agricola principale e attività di produzione e cessione di energia elettrica e calorica da fonti rinnovabili agroforestali e fotovoltaiche; attività, quest’ultima, considerata, in presenza di determinate circostanze, connessa alla prima in virtù del combinato disposto degli artt. 2135, terzo comma, c.c. e 1, comma 369, L. 27 dicembre 2006, n. 296 (legge finanziaria per il 2007).
La pronuncia oggetto di analisi nel presente contributo pone l’accento su un criterio “quantitativo” e conclude che la verifica di prevalenza dell’attività propriamente agricola nell’economia complessiva dell’impresa imponga di valutare se il volume d’affari derivante dall’attività di produzione e cessione di energia elettrica da fonti rinnovabili risulti o meno preponderante rispetto all’attività agricola principale.
La valutazione di detta prevalenza risulta fondamentale al fine di stabilire se il reddito prodotto da tale attività di produzione di energia possa essere qualificato come reddito agrario e, per l’effetto, determinato con metodo catastale alla stregua del reddito prodotto dall’attività agricola, o se, al contrario, debba essere definito come reddito d’impresa e, pertanto, determinato con metodo analitico.
La disciplina fiscale
Da un punto di vista fiscale, e precisamente sotto il profilo dell’imposizione sui redditi, la disciplina cui è assoggettato l’imprenditore agricolo è stabilita dal combinato disposto degli artt. art. 32, 34 e 56-bis del TUIR e comporta una determinazione su base catastale dei redditi derivanti dallo svolgimento di attività “agricole”.
Come noto, l’art. 32 TUIR, al pari delle altre disposizioni che regolano la figura dell’imprenditore agricolo, ha subito varie modificazione nel corso del tempo, intervenute dapprima per mezzo dell’art. 2 della L. 24 dicembre 2003, n. 350 (legge finanziaria 2004), fino ai più recenti aggiornamenti intervenuti ad opera dell’art. 1 del D.Lgs. 13.12.2024 n. 192 (c.d. D. Lgs. di “Riforma dell’IRPEF e dell’IRES” attuativo della L. 111/2023) ([1]).
Fino al periodo d’imposta 2024, le attività considerate agricole e soggette a tassazione su base catastale erano definite dall’art. 32 TUIR tramite rinvio all’art. 2135 c.c. e nei seguenti termini:
“1. Il reddito agrario è costituito dalla parte del reddito medio ordinario dei terreni imputabile al capitale d’esercizio e al lavoro di organizzazione impiegati, nei limiti della potenzialità del terreno, nell’esercizio di attività agricole su di esso.
2. Sono considerate attività agricole:
a) le attività dirette alla coltivazione del terreno e alla silvicoltura;
b) l’allevamento di animali con mangimi ottenibili per almeno un quarto dal terreno e le attività dirette alla produzione di vegetali tramite l’utilizzo di strutture fisse o mobili, anche provvisorie, se la superficie adibita alla produzione non eccede il doppio di quella del terreno su cui la produzione stessa insiste;
c) le attività di cui al terzo comma dell’articolo 2135 del codice civile, dirette alla manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione, ancorché non svolte sul terreno, di prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo o del bosco o dall’allevamento di animali, con riferimento ai beni individuati, ogni due anni e tenuto conto dei criteri di cui al comma 1, con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze su proposta del Ministro delle politiche agricole e forestali”.
La normativa fiscale consente, quindi, di ricondurre tra le attività agricole anche le attività agricole “per connessione” di cui all’art. 2135 c.c.; il novero di tali attività ha subito nel corso degli anni un notevole ampliamento, soprattutto nell’ottica di includervi la produzione di energia mediante fonti rinnovabili.
In risposta a tale aspettativa, l’articolo 1, comma 423, della legge 23 dicembre 2005, n. 266 (legge finanziaria per il 2006) aveva stabilito che “La produzione e la cessione di energia elettrica da fonti rinnovabili agroforestali effettuate dagli imprenditori agricoli costituiscono attività connesse ai sensi dell’articolo 2135, terzo comma, del codice civile e si considerano produttive di reddito agrario” ([2]).
La suddetta norma è stata poi integrata ad opera dell’articolo 2-quater, comma 11, del D.L. 10 gennaio 2006, n. 2, convertito con modificazioni dalla legge 11 marzo 2006, n. 81, il quale ha aggiunto, dopo le parole “energia elettrica”, quelle “e calorica” e dopo “fonti rinnovabili agroforestali”, le parole “e fotovoltaiche”.
L’iter normativo è stato completato dall’articolo 1, comma 369, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (legge finanziaria per il 2007), il quale ha sostituito il citato comma 423, dell’articolo 1, L. n. 266/2005 riformulandolo come segue:
“Ferme restando le disposizioni tributarie in materia di accisa, la produzione e la cessione di energia elettrica e calorica da fonti rinnovabili agroforestali e fotovoltaiche nonché di carburanti ottenuti da produzioni vegetali provenienti prevalentemente dal fondo e di prodotti chimici derivanti da prodotti agricoli provenienti prevalentemente dal fondo, effettuate dagli imprenditori agricoli, costituiscono attività connesse ai sensi dell’articolo 2135, terzo comma, del codice civile e si considerano produttive di reddito agrario”.
Il citato comma 423, art. 1 della legge finanziaria 2006 ha quindi esteso la categoria delle attività agricole connesse previste dal terzo comma dell’art. 2135 c.c.. Come chiarito dalla Circolare dell’Agenzia delle Entrate 6 luglio 2009, n. 32/E, attraverso la modifica del 2006 sono state ricondotte all’interno delle attività connesse anche le produzioni di:
- energia elettrica e calorica derivante da fonti rinnovabili agroforestali e fotovoltaiche;
- carburanti ottenuti da produzioni vegetali provenienti prevalentemente dal fondo;
- prodotti chimici derivanti da prodotti agricoli provenienti prevalentemente dal fondo ([3]).
Orbene, analizzando attentamente il dettato normativo, sembrerebbe prima facie che il legislatore imponga di valutare la sussistenza di un rapporto di “prevalenza” dell’attività agricola principale solo con riferimento alle attività di produzione di carburanti e di prodotti chimici.
Nonostante ciò, la Circolare n. 32/E del 2009 ha chiarito come il criterio di prevalenza debba essere rispettato anche in relazione alla produzione di energia elettrica e calorica da fonti rinnovabili “in ragione dell’assimilazione operata dal legislatore di tale produzione alle attività agricole connesse”.
Specificato tale aspetto, l’Amministrazione finanziaria ha individuato una serie di criteri di carattere generale che dovrebbero consentire di verificare la sussistenza del criterio della prevalenza, gradandoli come segue:
I. confronto quantitativo, verificando se i prodotti utilizzati nello svolgimento dell’attività connessa ed ottenuti direttamente dall’attività agricola svolta nel fondo, risultano prevalenti, ossia superiori, rispetto a quelli acquistati presso terzi;
II. confronto tra il valore dei beni impiegati, nel caso i beni siano di natura diversa e non sia possibile procedere con un confronto quantitativo. Il requisito della prevalenza si considera in tal caso soddisfatto quando il valore dei prodotti propri è superiore al costo sostenuto per acquistare prodotti di terzi (cfr. circolari 14 maggio 2002 n. 44 e 15 novembre 2004 n. 44);
III. comparazione “a valle” del processo produttivo dell’impresa, tra l’energia derivante da prodotti propri e quella derivante da prodotti acquistati da terzi, laddove non si possa effettuare una comparazione di valore tra i prodotti.
L’applicazione di tali criteri può dar luogo ad incertezze se si tiene conto delle caratteristiche dell’attività di produzione di energia elettrica e calorica da fonte fotovoltaica. Tale attività, pur presupponendo un collegamento con l’attività agricola tipica, caratterizzata dalla presenza di un’azienda con terreni coltivati di proprietà dell’imprenditore agricolo o, comunque nella sua disponibilità, e che devono essere condotti dallo stesso imprenditore ed essere ubicati nello stesso comune ove è sito il parco fotovoltaico ovvero in comuni confinanti, non richiede infatti l’impiego di prodotti derivanti dalla coltivazione del fondo, del bosco o dall’allevamento di animali ma necessita dell’istallazione di specifici impianti.
Proprio per tale ragione e a differenza di quanto affermato in relazione alla produzione di energia da fonti agroforestali, la stessa A.f., all’interno della citata Circolare n. 32/E del 2009, qualifica l’attività di produzione di energia elettrica e calorica da fonte fotovoltaica come attività agricola “atipica”. In tale frangente, l’Agenzia conclude che il rapporto di prevalenza tra tale attività e le attività tipiche dell’imprenditore agricolo debba essere desunto alla luce dei criteri forniti dal Ministero per le politiche agricole e forestali con nota prot. n. 3896 del 27 luglio 2008 e che occorra quindi il rispetto dei seguenti requisiti:
“1. “la produzione di energia fotovoltaica derivante dai primi 200 KW di potenza nominale complessiva, si considera in ogni caso connessa all’attività agricola;
2. la produzione di energia fotovoltaica eccedente i primi 200 KW di potenza nominale complessiva, può essere considerata connessa all’attività agricola nel caso sussista uno dei seguenti requisiti:
a) la produzione di energia fotovoltaica derivi da impianti con integrazione architettonica o da impianti parzialmente integrati, come definiti dall’articolo 2 del D.M. 19 febbraio 2007, realizzati su strutture aziendali esistenti.
b) il volume d’affari derivante dell’attività agricola (esclusa la produzione di energia fotovoltaica) deve essere superiore al volume d’affari della produzione di energia fotovoltaica eccedente i 200 KW. Detto volume deve essere calcolato senza tenere conto degli incentivi erogati per la produzione di energia fotovoltaica;
c) entro il limite di 1 MW per azienda, per ogni 10 KW di potenza installata eccedente il limite dei 200 KW, l’imprenditore deve dimostrare di detenere almeno 1 ettaro di terreno utilizzato per l’attività agricola.”
La sentenza dalla Corte di Giustizia di secondo grado dell’Emilia-Romagna 14 gennaio 2025, n. 23
La sentenza di merito qui commentata si allinea integralmente alla prassi erariale.
La fattispecie decisa dal giudice di seconde cure riguarda un contribuente cui, per l’anno d’imposta 2012, era stata contestata da parte dell’A.f. la qualifica di Società agricola a causa della prevalenza dell’attività di produzione e vendita di energia elettrica realizzata grazie ad un impianto fotovoltaico, definita dall’Ufficio preponderante rispetto alla attività principale di carattere agricolo. Tale circostanza avrebbe pertanto comportato la perdita in capo al contribuente della qualifica di società agricola e, per l’effetto, la decadenza dalla possibilità di denunciare i propri redditi su base catastale.
Le valutazioni del giudice di appello muovono innanzitutto dalla constatazione di come il contribuente nell’anno oggetto di accertamento, e poi anche per le annualità successive, grazie all’attività di produzione e vendita di energia elettrica – per lo svolgimento della quale aveva affittato notevoli appezzamenti di terreni – avesse ottenuto un volume d’affari pressocché doppio rispetto a quello ottenuto dallo svolgimento dell’attività agricola.
Fatta questa precisazione, la Corte di secondo grado ha richiamato i principi enunciati nella nota sentenza della Corte Costituzionale n. 66 del 2015 intervenuta proprio sul tema del rapporto tra attività agricola, attività ad essa connesse e produzione e cessione di energia elettrica da fonti rinnovabili, riconoscendo nella fattispecie de qua come l’attività di produzione e vendita di energia elettrica non potesse essere considerata come un’attività connessa a quella agricola. In particolare, i secondi giudici hanno ritenuto che, nella fattispecie di causa, non sussistesse quel requisito di “vocazione agricola” che, secondo quanto sancito dalla Corte Costituzionale, dovrebbe caratterizzare l’attività di produzione e cessione di energia elettrica da fonti rinnovabili dell’imprenditore agricolo, avendo la prima delle due attività soppiantato – in termini di prevalenza quantitativa – l’attività agricola che è e deve restare quella principale.
Alla luce di quanto sopra, la sentenza di merito qui commentata ha ribadito l’esclusione dell’attività di produzione e commercializzazione di energia elettrica dalla qualifica di attività connessa all’attività agricola principale in caso di prevalenza (quantitativa) della prima sulla seconda, con conseguente attrazione del reddito prodotto da tale attività al reddito d’impresa soggetto a tassazione ordinaria in luogo della determinazione del reddito con metodo catastale previsto proprio per l’attività agricola.
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[1] Come evidenziato dall’Agenzia delle Entrate nella Circolare n. 44/E del 2002, nella versione precedente dell’articolo, recata dall’art. 29 del TUIR, non vi era alcun riferimento all’art. 2135 c.c. e alle modificazioni allo stesso apportate dall’art. 1 del d.Lgs. n. 288/2001. L’art. 29, comma 2, lettera c), qualificava come redditi agrari quelli rivenienti da attività connesse (manipolazione, trasformazione ed alienazione di prodotti agricoli) a condizione che tali attività rientrassero nell’esercizio normale dell’agricoltura secondo la tecnica che lo governa e che avessero per oggetto prodotti ottenuti per almeno la metà dal terreno e dagli animali allevati su di esso. La versione dell’articolo modificata ad opera dell’art. 2 della L. 24 dicembre 2003, n. 350 stabiliva al comma 1 che il reddito agrario era “costituito dalla parte del reddito medio ordinario dei terreni imputabile al capitale d’esercizio e al lavoro di organizzazione impiegati, nei limiti della potenzialità del terreno, nell’esercizio di attività agricole su di esso”; con la nuova formulazione della disposizione, in vigore dal 31.12.2024, si stabilisce invece che “Il reddito agrario è costituito dalla parte del reddito medio ordinario dei terreni imputabile al capitale d’esercizio e al lavoro di organizzazione impiegati nell’esercizio delle attività agricole di cui all’ articolo 2135 del codice civile”. Orbene, è evidente come la versione precedente del primo comma dell’art. 32 TUIR non richiamasse espressamente l’art. 2135 c.c. e si affidasse esclusivamente al successivo comma 2 dell’articolo; questa disposizione, a sua volta, qualificava come agricole le sole attività svolte sul terreno posseduto dal soggetto percipiente redditi agrari. “nei limiti della potenzialità del terreno” previsto dalla precedente versione Tale impostazione è radicalmente mutata nel 2024, come è dato evincersi anche dalla lettura della relazione illustrativa al D.Lgs. 13.12.2024 n. 192. Nel documento si legge infatti che la soppressione dell’inciso del primo comma dell’art. 32 TUIR e l’introduzione del riferimento specifico all’esercizio di attività agricole “di cui all’articolo 2135 del codice civile” (comma 1, lett. b), n. 1), si è resa necessaria “al fine di allineare la normativa civilistica – che considera attività agricole quelle che “utilizzano o possono utilizzare il fondo, il bosco o le acque dolci, salmastre o marine” – e la normativa fiscale, che attualmente considera reddito agrario solo quello che deriva dall’esercizio di un’attività agricola “nei limiti della potenzialità del terreno”. Con l’utilizzo del verbo “possono” (riferito all’utilizzo del terreno) si è inteso rendere solo potenziale o funzionale il collegamento con il terreno, al fine di tenere conto anche delle più moderne tecniche di produzione agricola, che non sono più esclusivamente incentrate, come avvenuto in passato, sul fattore “terra” e sullo “sfruttamento” della stessa. Ciò fermo restando che va negata la qualità di impresa agricola quando non risulti la diretta cura di alcun ciclo biologico o di una fase necessaria dello stesso, vegetale o animale”.
[2] Dalla relazione illustrativa alla Legge finanziaria si legge: “Dalla relazione tecnica emerge che le suddette attività passerebbero dalla tassazione analitica come reddito d’impresa, come precisato dalla risoluzione n. 17 del 2005 dell’Agenzia delle entrate, alla tassazione come reddito agrario relativo alle attività connesse ai sensi dell’articolo 32, comma 2, lettera c), del TUIR”.
[3] Come chiarito dalla Circolare n. 32/E del 2009:
“- per fonti “rinnovabili agroforestali”: s’intendono le biomasse, ovvero, la parte biodegradabile dei prodotti, rifiuti e residui provenienti dall’agricoltura (comprendente sostanze vegetali ed animali) e dalla silvicoltura (es. biomasse legnose che si ottengono da legna da ardere, cippato di origine agroforestale, o pellet derivante dalla segatura di legno) (cfr. decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387, articolo 1, lettera a);
– per fonti “fotovoltaiche”: s’intendono i moduli o pannelli fotovoltaici, in grado di convertire l’energia solare in energia elettrica;
– per “carburanti derivanti da produzioni vegetali”: s’intendono prodotti quali il bioetanolo (etanolo ricavato dalla biomassa ovvero dalla parte biodegradabile dei rifiuti, destinato ad essere usato come carburante); il biodiesel (etere metilico ricavato da un olio vegetale o animale, destinato ad essere usato come carburante); il biogas carburante ed altri carburanti simili (cfr. decreto legislativo 30 maggio 2005, n. 128 Allegato I, articolo 2, comma 2);
– per “prodotti chimici derivanti da prodotti agricoli”: s’intendono prodotti quali biopolimeri, bioplastiche, ecc. che si ottengono per esempio da amido e miscele di amido, ecc. (prodotti della c.d. chimica verde)”.


