27/10/2025

Con la sentenza n. 30436 del 9 settembre 2025, la Corte di Cassazione, Sezione III penale, ha ribadito un principio di grande rilievo in materia di accise: lo svincolo irregolare da un regime sospensivo di prodotti sottoposti ad accisa costituisce sempre un’immissione in consumo, a prescindere dall’effettiva destinazione del prodotto, rendendo l’imposta immediatamente esigibile e determinando la responsabilità di tutti i soggetti coinvolti nell’operazione.

La vicenda sub judice trae origine da un articolato meccanismo di frode nel settore dei carburanti. Il gasolio, acquistato all’estero e trasferito tra diverse società cartiere, veniva formalmente movimentato tra depositi fiscali in sospensione d’accisa, ma nella realtà non raggiungeva mai i luoghi indicati nei documenti di accompagnamento. In concreto, “il carburante (…) non veniva mai scaricato (…), ma reimmesso in circolazione con ‘documenti di comodo’ e trasferito a società ‘cartiere’ (…) che provvedevano a consegnare il prodotto ai punti vendita”.

Il nodo centrale, chiarito dai giudici di legittimità, riguarda la natura fiscale dell’operazione. L’art. 2 del Testo unico accise stabilisce che l’obbligazione tributaria “sorge (…) al momento della importazione nel territorio dello Stato e diviene esigibile all’atto dell’immissione in consumo”, e che rientra tra i casi di immissione “lo svincolo, anche irregolare, di prodotti sottoposti ad accisa da un regime sospensivo”. Pertanto, afferma la Corte, “l’uscita del prodotto dal deposito fiscale verso destinazioni ignote, diverse da quelle documentate, comporta il venir meno del regime di sospensione dell’imposta e la sua immediata esigibilità”. Lo svincolo irregolare, quindi, equivale sempre a immissione in consumo.

La difesa aveva sostenuto che il prodotto, essendo ancora in deposito o comunque sottoposto a sequestro, non fosse stato immesso in consumo. La Cassazione smentisce tale lettura, atteso che l’uscita del prodotto dal deposito fiscale verso destinazioni ignote, diverse da quelle documentate, comporta comunque il venir meno del regime di sospensione dell’imposta e la sua immediata esigibilità. In dettaglio: “un prodotto depositato all’interno di un deposito fiscale autorizzato non è considerato immesso in consumo (…), ma non si può arrestare l’indagine al fatto ‘statico’ del deposito, perché l’imputazione pone il tema dello svincolo irregolare dal deposito quale immissione in consumo e dunque fatto costitutivo dell’obbligazione fraudolentemente elusa”. Inoltre, il sequestro penale non estingue né l’imposta né il reato, perché altrimenti “il sequestro (…) verrebbe considerato causa di estinzione del reato benché non espressamente previsto dalla legge”.

La Corte di cassazione, poi, affronta il tema anche sul piano soggettivo. In proposito, essa afferma che la responsabilità per l’accisa non grava solo sul titolare del deposito, ma si estende a tutti coloro che hanno partecipato allo svincolo irregolare. La Corte richiama infatti l’art. 7 TUA, che rende obbligato al pagamento non solo chi ha garantito l’imposta, ma anche “qualsiasi altra persona che abbia partecipato allo svincolo irregolare e che era a conoscenza, o avrebbe dovuto ragionevolmente essere a conoscenza, della natura irregolare dello svincolo”. In chiave penal-tributaria, si sottolinea che “il soggetto attivo del reato di cui all’art. 40 del D.Lgs. n 504 del 1995 può essere chiunque ponga in essere la condotta vietata, compreso il consumatore che possegga prodotti energetici senza averne titolo”, senza che sia necessario un dolo specifico.

Determinante, per la prova della consapevolezza dell’irregolarità dello svincolo, è stata, nel caso di specie, anche l’analisi dei prezzi. Secondo la Corte, i ricorrenti non potevano non sapere che il margine economico era sostenibile solo prevedendo, a monte, di realizzare la vendita e il consumo in assenza del pagamento dell’imposta, perché il gasolio era ceduto a un prezzo inferiore a quello di acquisto. È qui che la Cassazione richiama il principio già affermato per le frodi carosello IVA: una volta ricostruiti i passaggi fittizi, “è insita nella stessa gestione di fatto delle società coinvolte (…) la piena consapevolezza (…) la cui prova principe è costituita dall’esiguità del prezzo di acquisto della merce rispetto a quello corrente”.

Un ulteriore punto chiarito riguarda la natura del reato, che non si esaurisce con lo svincolo: la sottrazione di accise “ha natura permanente che perdura fino al pagamento dell’accisa ovvero fino a quando l’agente (…) non ha più la disponibilità del bene”.

La Corte ha così respinto le difese degli imputati, riconoscendo che l’immissione in consumo si era già realizzata con lo svincolo irregolare del carburante e che l’accisa, da quel momento, era divenuta esigibile. I giudici hanno inoltre evidenziato come ciascun soggetto coinvolto avesse avuto un ruolo consapevole nella costruzione e gestione della frode.

Da questa pronuncia emergono indicazioni chiare: i) lo svincolo irregolare equivale sempre a immissione in consumo; ii) la responsabilità per l’imposta non si ferma al titolare del deposito, ma coinvolge tutti i partecipanti all’operazione; e iii) la sottrazione di accise conserva la sua rilevanza finché il tributo non sia effettivamente versato

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