27/06/2025

Attraverso l’ordinanza n. 4831 del 19 febbraio 2025, la Suprema Corte di Cassazione ha formulato il principio di diritto secondo cui, in tema di IVA, l’aliquota agevolata al 10% di cui al punto 122 della tabella A, parte terza, allegata al DPR n. 633/72, così come modificato dall’art. 1 comma 384 L. n. 296/2006, prevista per le prestazioni di servizi e forniture di apparecchiature e materiali relativi alla fornitura di energia termica per uso domestico attraverso reti pubbliche di teleriscaldamento o nell’ambito del contratto servizio energia come definito nel decreto interministeriale di cui all’art. 11, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 26 agosto 1993, n. 412, e successive modificazioni ed integrazioni, si applica solo nel caso di energia termica prodotta da fonti rinnovabili o da impianti di cogenerazione ad alto rendimento.

A conclusione di quello che potremmo definire un vero e proprio esercizio di ermeneutica, per tutte le ragioni che a breve verranno sinteticamente illustrate, gli Ermellini hanno precisato come la predetta agevolazione non possa essere estesa anche a quelle forniture di energia termica per uso domestico provenienti, invece, da fonti non rinnovabili, dimostrando così il preminente intento di voler incentivare l’utilizzo di fonti energetiche alternative.

La questione esaminata (che, peraltro, è stata collateralmente già affrontata in questo blog nell’articolo intitolato contratti di servizio energia con IVA al 10% solo se prevedono l’utilizzo di fonti rinnovabili: l’agenzia riconferma le proprie posizioni interpretative. Ma continua a trascurare la ratio dell’agevolazione e la ragione economia di tali tipi contrattuali) non è nuova nel panorama della giurisprudenza di legittimità e nemmeno in quello della prassi amministrativa, essendo stata approfondita da entrambe e in più occasioni nell’ambito delle quali, da sempre, ha assunto valore centrale la corretta interpretazione del disposto di cui al punto n. 122 della Tabella A, parte III, del DPR n. 633/72, che individua “Beni e servizi soggetti all’aliquota del 10%”,  così come modificato dall’art. 1, comma 384 della legge 27 dicembre 2006, n. 296.

Al fine di meglio comprendere la ratio sottesa al principio di diritto affermato dalla Suprema Corte di Cassazione, appare quindi preliminarmente opportuno guardare al contenuto della menzionata disposizione così come risulta oggi formulata, nonché inquadrare la fattispecie sottoposta all’attenzione del Collegio, soprattutto per individuare i differenti spunti interpretativi che nel tempo hanno interessato la norma in esame.

Innanzitutto, mentre la precedente versione del punto 122) applicava, molto genericamente, l’IVA agevolata alle “prestazioni di servizi relativi alla fornitura e distribuzione di calore-energia per uso domestico”, con la nuova versione il legislatore ha inteso riscrivere la richiamata disposizione – che come si avrà modo di vedere risulta divisibile in tre distinte parti – nel modo seguente, laddove nell’elenco dei “Beni e servizi soggetti all’aliquota del 10%” compaiono:

[prima parte] «122) prestazioni di servizi e forniture di apparecchiature e materiali relativi alla fornitura di energia termica per uso domestico attraverso reti pubbliche di teleriscaldamento o nell’ambito del contratto servizio energia come definito nel decreto interministeriale di cui all’art. 11, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 26 agosto 1993, n. 412, e successive modificazioni ed integrazioni;

[seconda parte] sono incluse le forniture di energia prodotta da fonti rinnovabili o da impianti di cogenerazione ad alto rendimento;

[terza parte] alle forniture di energia da altre fonti, sotto qualsiasi forma, si applica l’aliquota ordinaria».

Ciò premesso, oggetto di valutazione della Corte è un avviso di accertamento con cui l’Amministrazione Finanziaria, appunto, contestava l’applicazione dell’aliquota agevolata IVA al 10% sulla fornitura di energia termica per uso domestico con l’utilizzo di metano e, quindi, non con fonti rinnovabili.

Il Giudice di seconde cure annullava l’atto impositivo sul presupposto secondo cui l’art. 122 della Tabella A, parte III, del DPR n. 633/72, andrebbe interpretato nel senso che la disposizione di cui alla prima parte della norma sopra riportata avrebbe rilievo autonomo e consentirebbe di applicare l’aliquota agevolata per le forniture domestiche nell’ambito di contratti di servizio energia anche se non provenienti da fonte rinnovabile.

In particolare, era rilevato come la locuzione «sono incluse» riferita alle fonti rinnovabili, di cui alla seconda parte della disposizione, non consentirebbe di dare rilievo “assorbente e preminente” alle forniture con fonti rinnovabili o derivanti da impianti di cogenerazione.

Ebbene, tale interpretazione, di natura strettamente letterale, è stata disattesa dalla Corte di Cassazione e censurata laddove viene proposta una lettura disgiunta di tutte le tre parti ci cui complessivamente si compone la norma in questione, la quale – per usare le stesse parole dei Supremi Giudici – inevitabilmente finirebbe per trascurare “la discrepanza risultante” dal tenore della terza parte dell’articolo in commento.

Ed infatti, prediligendo un approccio interpretativo dal carattere più sistematico, volto a mettere in connessione ciascuno dei tre periodi che compongono il punto n. 122 della Tabella A, parte III, del DPR n. 633/72 secondo una loro lettura complessiva, la Corte di Cassazione riporta l’attenzione anche sulla terza parte della norma – all’apparenza trascurata dai Secondi Giudici – in base alla quale è previsto che l’aliquota ordinaria si applichi “alle forniture di energia da altre fonti, sotto qualsiasi forma”.

Più in dettaglio, ad Avviso della Suprema Corte la precisazione introdotta dalla terza parte dell’articolo appena richiamata, secondo cui l’aliquota ordinaria è destinata a trovare applicazione alle forniture di energia prodotta da fonti diverse da quelle rinnovabili di cui alla seconda parte rese “in qualsiasi forma”, non in qualsiasi “altra forma” diversa dalla “fornitura di energia termica per uso domestico attraverso reti pubbliche di teleriscaldamento o nell’ambito del contratto servizio energia”, sarebbe, in sostanza, ideona ad escludere che l’agevolazione si possa estendere anche alle forniture di energia provenienti da fonti non rinnovabili rese nelle forme di cui alla prima parte della disposizione.

Non troverebbe spazio nell’ottica della Corte anche l’interpretazione storico-teleologica proposta dalla parte privata controricorrente, secondo cui la modifica legislativa esaminata avrebbe inteso essenzialmente agevolare “tutti i contratti di servizio-energia, che consentono, attraverso l’eventuale riqualificazione degli impianti termici, un risparmio energetico, a prescindere, quindi, dalla fonte utilizzata”, poiché così ragionando la seconda e terza parte della disposizione risulterebbero “prive di contenuto precettivo, atteso che già dalla generale previsione della prima parte, che non distingue con riguardo alle fonti, si può ricavare quella interpretazione”. 

Per il Supremo Collegio, quindi, “le tre parti” della disposizione in commento non possono che interpretarsi unitariamente, come del resto suggerisce lo stesso tenore letterale della disposizione («sono incluse», «altre fonti»), contribuendo ciascuna alla definizione della fattispecie normativa”.

Da tale premessa, ne discente, pertanto, che:

  • la prima parte del punto n. 122) si riferirebbe a determinate cessioni di beni e prestazioni di servizi;
  • le due successive, invece, specificherebbero meglio l’ambito di applicazione dell’aliquota agevolata in relazione alle operazioni indicate nella prima parte;

con la conseguenza che l’aliquota agevolata in questione:

  • sarebbe applicabile alle cessioni di beni e alle prestazioni di servizi di cui alla prima parte della norma, relative all’energia termica prodotta da fonti rinnovabili o da impianti di cogenerazione ad alto rendimento;
  • risulterebbe esclusa per le stesse cessioni di beni e prestazioni di servizi qualora queste si pongano in relazione con la produzione di energia termica da fonti non rinnovabili.

Tracciato nei suddetti termini il perimetro applicativo del punto n. 122 della Tabella A, parte III, del DPR n. 633/72, è, invece, in un altro precedente di legittimità, risalente allo scorso anno, che si possono rinvenire ulteriori precisazioni sul tema di tipo più settoriale, per esempio con riferimento allo specifico ambito – inteso come luogo –  di destinazione della fornitura di energia termica potenzialmente destinataria della misura agevolativa.

Con l’ordinanza Cass. n. 14097 del 21 maggio 2024, infatti, la Suprema Corte ha chiarito come l’aliquota IVA agevolata al 10% non possa essere applicata alla fornitura di energia termica nei confronti di una scuola, risultando la stessa spettante
solamente per l’energia destinata ad abitazioni, ancorché di carattere collettivo.

Ciò in quanto le prestazioni di servizi e forniture di apparecchiature e materiali relativi alla fornitura di energia termica, previste dal n. 122 della Tabella A, parte III, allegata al DPR n. 633/72, sarebbero secondo la Corte  solo quelle “per uso domestico”, con la conseguenza che la condizione per l’applicabilità della aliquota agevolata è che l’energia sia impiegata nell’ambito di un’abitazione, anche se di carattere collettivo, come caserme, case di riposo, carceri, ecc.
In tal senso, il termine utilizzato (“uso domestico”), infatti, limita l’agevolazione al requisito della residenzialità della struttura nei confronti della quale è diretta la prestazione in quanto solo in relazione a questa ricorre la tipologia di utilizzo descritta dalla richiamata previsione normativa, requisito sicuramente non ravvisabile per quanto riguarda le scuole.

Come sopra anticipato in via di premessa, in generale il tema in questione non è nuovo nell’esame della Suprema Corte ed è stato già approfondito anche dalla prassi dell’Agenzia delle Entrate con la Risposta ad interpello n. 163 del 3 giugno 2020 ed ancor prima con la Risoluzione n. 28/E del 1° aprile 2010, successive al significativo precedente interpretativo rappresentato dalla Risoluzione n. 94/E del 10 maggio 2007 intervenuta proprio in materia di aliquota IVA applicabile al “Contratto di servizio energia”.

Anche nell’ambito di tale consulenza giuridica è stato esaminato il perimetro applicativo del punto n. 122 della Tabella A, parte III, del DPR n. 633/72, che individua “Beni e servizi soggetti all’aliquota del 10%”, e con riferimento a tale disposizione è stato precisato che la stessa:

  • da un lato, avrebbe lo scopo di chiarire come l’aliquota agevolata sia applicabile oltre che alle prestazioni di servizi anche alle forniture di apparecchiature e materiali utilizzati per la fornitura di energia termica per uso domestico;
  • dall’altro lato, quello di restringere il campo di applicazione dell’aliquota agevolata all’energia prodotta da fonti rinnovabili o da impianti di cogenerazione ad alto rendimento.

In tale contesto, è stato quindi confermato come il fine della modifica normativa introdotta dall’art. 1, comma 384 della legge 27 dicembre 2006, n. 296 sarebbe quello di incentivare “l’utilizzo di fonti energetiche alternative, importante obiettivo che le istituzioni nazionali e sovranazionali intendono perseguire ai fini di tutela ambientale”, posto che l’agevolazione, con riguardo alla norma novellata, concernerebbe “solo le prestazioni di servizi rese, nell’ambito del contratto servizio energia, per la fornitura di energia termica prodotta da fonte rinnovabile”.

L’Agenzia delle Entrate ha pertanto fornito un’interpretazione restrittiva della nuova disposizione, laddove già con la citata risoluzione n. 94/E del 10 maggio 2007 la stessa, pur riconoscendo che “il n. 122 in esame è formulato in modo non convenzionale”, ha affermato che la novella del 2007 avrebbe ristretto l’alveo di applicazione della norma, con la conseguenza che “l’agevolazione, con  riguardo  alla  norma  novellata, concerne  solo  le  prestazioni  di  servizi  rese, nell’ambito del  contratto servizio  energia,  per  la fornitura di energia termica prodotta da  fonte rinnovabile”.

A ben vedere, però, tale interpretazione – che a quanto pare troverebbe ora conferma nel precedente di legittimità qui commentato – sembra però poco conforme con la ratio della legge e con la stessa funzione del contratto di servizio energia.

Il fine principale della norma entrata in vigore il 1° gennaio 2007 era infatti quello di impedire l’applicabilità dell’aliquota IVA ridotta alle prestazioni di servizi relative alla fornitura di energia termica per uso domestico che non realizzino alcun risparmio in termini energetici e non, piuttosto, quello di escludere da agevolazione le erogazioni di energia prodotte mediante fonti non rinnovabili: ciò proprio al fine di valorizzare la funzione dei contratti di servizio energia, che mirano principalmente all’ottenimento di risultati in termini di risparmio energetico.

Questa finalità era già chiara nella relazione ministeriale, secondo cui: “attualmente l’aliquota agevolata è applicata anche all’energia termica proveniente da combustione di idrocarburi, indipendentemente dall’effettiva realizzazione di interventi di risparmio e dal loro mantenimento in perfetta efficienza. Questo si traduce inevitabilmente in un incentivo al maggior consumo o quanto meno in uno scarso interesse del fornitore al contenimento dei consumi. Nel restringere il campo di applicazione dell’i.v.a. agevolata, si ristabilisce un corretto stimolo all’uso razionale dell’energia e (si) consente l’emanazione del decreto interministeriale citato (dalla norma), peraltro già predisposto in bozza, per la disciplina del contratto servizio energia”.

Del resto, se il Governo avesse voluto limitare l’agevolazione alla sola energia prodotta da fonti rinnovabili, avrebbe forse adottato la medesima formulazione di cui al d.l. n. 223/2006, senza dubbio più chiara e puntuale.

Ebbene, nonostante la formulazione letterale della norma appaia ad oggi tutt’altro che chiara e di poco conforto per l’interprete, ad avviso di chi scrive sembra ancora possibile procedere ad una lettura diversa da quella avallata dall’Agenzia, prima, e dalla Suprema Corte di Cassazione, ora, sicuramente in modo più rispondente all’intentio del legislatore.

Potrebbe infatti ben ritenersi che il secondo inciso si limiti a chiarire in via normativa che le forniture possono godere dell’aliquota ridotta anche se l’energia termica è prodotta da fonti rinnovabili o da impianti di cogenerazione ad alto rendimento (precisazione che, in passato, aveva richiesto l’intervento chiarificatore del Ministero di cui alla circolare n. 113 del 26 agosto 1998) e che il terzo non voglia contraddire quanto stabilito nella prima parte, ma solo chiarire che tutto ciò che esula dal primo inciso (e che quindi prevede altre forme contrattuali, diverse dal contratto di servizio energia) non è meritevole di agevolazione. Così concludendo, rientrerebbero nella norma tutti i contratti di servizio energia, a prescindere dal vettore energetico utilizzato.

Se per l’Agenzia delle Entrate siamo chiaramente ben lontani da un revirement della propria posizione interpretativa appena esaminata, da ritenersi ormai consolidata, non è escluso, però, che ad un “cambio di rotta” in tal senso possa procedere, invece, la Suprema Corte di Cassazione, prossimamente chiamata a pronunciarsi di nuovo sul tema in questione.

Segnaliamo, infatti, che risulta attualmente pendente dinnanzi gli Ermellini un contenzioso avente ad oggetto come principale questione controversa rilevante proprio la condizione di applicabilità dell’aliquota IVA agevolata per energia termica ad uso domestico di cui dell’art. 122 della Tabella A, parte III, del DPR n. 633/72 e che con l’ordinanza di n. 1368/2025, depositata il 20 gennaio 2025, la Sezione Tributaria della Suprema Corte di Cassazione, all’esito dell’adunanza camerale tenutasi il 17 gennaio 2025, ha disposto il rinvio a nuovo ruolo di tale causa per la trattazione in pubblica udienza proprio in considerazione della “particolare rilevanza della questione di diritto” trattata.

Appare difficile immaginare che in tale sede l’ordinanza n. 4831 del 19 febbraio 2025 qui commentata possa non assumere un peso specifico tale da condizionare, inevitabilmente, la prossima decisione della Corte di Cassazione. Tuttavia, riponendo fiducia nella preminente funzione nomofilattica per antonomasia ascrivile al Supremo Collegio, non sembra del tutto irragionevole poter confidare in un ripensamento interpretativo che possa, appunto, riportare ad una lettura dell’art. 122 della Tabella A, parte III, del DPR n. 633/72 più conforme all’intento del Legislatore, nel senso sopra indicato.

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